paola di giuseppe
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venerdì 27 novembre 2009
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“quell’uomo è già morto”
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Dalla nebbia in cui si sono persi mentre trasferivano un convoglio militare,emergono nella terra di nessuno,fra le linee nemiche,soldati bosniaci(siamo nel ’93,guerra serbo-bosniaca)che una pioggia di fuoco,tanto improvviso quanto inaspettato e sproporzionato,spazza via appena torna la visibilità.
Sopravvive Ciki, riparato dentro una trincea da dove vede il cadavere dell’amico Cera.
Dei due serbi mandati in ricognizione dopo l’assalto e presi a fucilate da Ciki,sopravvive Nino,anche lui ora in trappola nella trincea.
Il terzo a far compagnia sarà Cera,creduto cadavere e sistemato dal serbo,prima di essere colpito a sua volta,su una mina che ha una caratteristica tutta particolare:esplode solo se il peso appoggiato sopra viene sollevato e non è una di quelle che si possano disinnescare.
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Dalla nebbia in cui si sono persi mentre trasferivano un convoglio militare,emergono nella terra di nessuno,fra le linee nemiche,soldati bosniaci(siamo nel ’93,guerra serbo-bosniaca)che una pioggia di fuoco,tanto improvviso quanto inaspettato e sproporzionato,spazza via appena torna la visibilità.
Sopravvive Ciki, riparato dentro una trincea da dove vede il cadavere dell’amico Cera.
Dei due serbi mandati in ricognizione dopo l’assalto e presi a fucilate da Ciki,sopravvive Nino,anche lui ora in trappola nella trincea.
Il terzo a far compagnia sarà Cera,creduto cadavere e sistemato dal serbo,prima di essere colpito a sua volta,su una mina che ha una caratteristica tutta particolare:esplode solo se il peso appoggiato sopra viene sollevato e non è una di quelle che si possano disinnescare.
Dunque,dice il serbo,quando i bosniaci verranno a prendere i cadaveri,ci sarà festa per cinquanta metri all’intorno.
Il problema è che Cera non è morto,è solo svenuto.
Dovrà dunque restare lì,immobile,appena ripresi i sensi,e lo farà,sotto un sole spietato,ferito senza possibilità di cure,fino alla dissolvenza finale che riprende dall’alto la trincea,dove ormai è rimasto solo lui, un puntino sempre più lontano,mentre il sole tramonta.
Se c’era bisogno di trovare un modo ancora per parlare di guerra fuori dai luoghi comuni,Danis Tanovic l’ha trovato,con questa sua opera prima,una storia circoscritta nell’arco di una giornata,che ripristina le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione per una concentrazione ad alta densità di orrore, follia e pietà.
Girato a sei anni dalla fine di quel conflitto che negli anni novanta rinnovò i fasti del Vietnam,con l’aggravante della cosiddetta “pulizia etnica”decisa a tavolino e perpetrata a spese di donne e uomini inermi,diffuso dai media mondiali con cospicua dovizia di particolari che solo l’era della tecnologia ormai avanzata poteva permettere,questo film non cerca rimozioni,non segna demarcazioni fra colpe e ragioni,fra amici e nemici.
Si tuffa,anzi,nel pieno dell’orrore,non fa sconti a nessuno,sceglie,se mai,il sarcasmo,cifra stilistica quanto mai adeguata nel suo etimo greco di sarkàzein,“mordersi le labbra per la rabbia” e,per slittamento semantico, “tagliare un pezzo di carne da qualcuno”.
Tanovic ha vissuto da cittadino di Sarajevo quel teatro tragico e mette nella buca bosniaci e serbi che si capiscono benissimo ("La lingua parlata dai Serbi, dai Croati e dai Bosniaci è di fatto la stessa. Oggi i Serbi la chiamano serbo, i Bosniaci bosniaco e i Croati croato. Ma quando parlano si capiscono perfettamente tra loro") ma la lite,fra Ciki e Nino, si sviluppa intorno al problema “Chi ha cominciato per primo la guerra?”.
Si ammazzeranno fra loro su questa aporia, mentre sul bordo della trincea arrivano,in ordine sparso, gli uomini dell’Unprofor dai caschetti blu (i cosiddetti Puffi) sul bianco thank/similgiocattolo a dichiararsi incompetenti e impotenti,troupes televisive in cerca di scoop sensazionali,a proporre interviste che sembrerebbero paradossali se non ne avessimo ascoltate tante,anche in tempi successivi e in altre guerre,capi di Stato Maggiore preoccupati di non perdere la faccia di fronte al pubblico televisivo e alla comunità internazionale.
Il tutto mentre un condannato a morte sta per trascorrere la notte sdraiato sulla mina e, caso unico nella storia, sarà lui stesso a decidere quando staccare la corrente.
Un film che non ha bisogno di dire niente di più sulla guerra e sulla follia dell’uomo.
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anna scotton
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mercoledì 20 febbraio 2008
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in guerra si muore soli
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“No man's land” è un film molto avvincente, che racchiude scene d'azione e allo stesso tempo momenti che aiutano a riflettere sulla stupidità della guerra: infatti raffigura uno scontro in cui i soldati delle due fazioni nemiche non sanno chi abbia iniziato la guerra e per quale motivo.
Il film spiega inoltre come in una guerra tutto sia lecito e che anche le persone che dovrebbero aiutarti, possono abbandonarti in una situazione drammatica, come quella in cui l' uomo, finito accidentalmente su una bomba, viene piantato in asso dalle forze dell'ONU, che invece avrebbero dovuto soccorrerlo, per non rischiare a loro volta la vita nella rimozione della mina.
“L'uomo sulla bomba” assume molti significati: innanzitutto allude alla situazione senza via d'uscita in cui si potrebbe trovare l'umanità nel caso di un nuovo conflitto mondiale.
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“No man's land” è un film molto avvincente, che racchiude scene d'azione e allo stesso tempo momenti che aiutano a riflettere sulla stupidità della guerra: infatti raffigura uno scontro in cui i soldati delle due fazioni nemiche non sanno chi abbia iniziato la guerra e per quale motivo.
Il film spiega inoltre come in una guerra tutto sia lecito e che anche le persone che dovrebbero aiutarti, possono abbandonarti in una situazione drammatica, come quella in cui l' uomo, finito accidentalmente su una bomba, viene piantato in asso dalle forze dell'ONU, che invece avrebbero dovuto soccorrerlo, per non rischiare a loro volta la vita nella rimozione della mina.
“L'uomo sulla bomba” assume molti significati: innanzitutto allude alla situazione senza via d'uscita in cui si potrebbe trovare l'umanità nel caso di un nuovo conflitto mondiale. Inoltre si può considerare una metafora della precarietà e dell' imprevedibilità della vita. Può anche significare che a volte certe decisioni possono farci “esplodere” in un momento indefinito, come una bomba che non si sa quando scoppierà.
Nel film non è precisata la localizzazione del conflitto sostanzialmente per due motivi:
- Perché dà idea di spaesamento
- Perché una vicenda come questa potrebbe accadere in qualunque luogo.
In “No man's land” il registro linguistico è grottesco, infatti i dialoghi sono spesso ironici e sdrammatizzano l'atmosfera cupa e tesa del film.
Il ritmo è lento. Crea tensione ed ansia nel pubblico, ma consente anche di percepire meglio le sensazioni e i sentimenti dei protagonisti.
Un ruolo importante nel film appartiene ai mezzi d'informazione, infatti è grazie a loro che l'opinione pubblica inizia a preoccuparsi della situazione che si è venuta a creare.
Invece il regista esprime una critica nei confronti dell'Onu: i suoi carri armati sono ripresi dal basso verso l'alto, a conferirgli grandezza e ad infondere inizialmente sicurezza nel pubblico; ma l'organismo internazionale tradisce, purtroppo, la sua missione, in quanto i suoi funzionari mentono e abbandonano il protagonista al suo destino.
L' ultima scena è sicuramente quella che fa più riflettere perché rappresenta “l'uomo sulla bomba” con un'inquadratura dall'alto che man mano si allontana. Questa inquadratura significa che l'uomo è stato lasciato completamente solo e il suo destino sembra drammaticamente segnato, anche se comunque il finale aperto lascia un filo di speranza allo spettatore.
Data 13/02/08 A cura della 2°A liceo – Istituto “J.C. Maxwell” Nichelino (TO)
(Rifinitura e scrittura finale di F. Baldi,D. Formigaro e M. Farina)
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francesco2
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lunedì 17 ottobre 2011
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fa riflettere, ma senza sopravvalutarlo
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Quando ancora non realizzava film discussi (Ed in qualche misura discutibili, come "Triage", un piccolo disastro prsentato al Festival di Roma qualche anno fa), questo antipatico regista(Stando alle interviste che ho letto), faceva del cinema cui vanno riconosciuti motivi di interesse; ma senza, secondo chi scrive, "giustificare" l'entusiasmo suscitato a certuni.
All'inizio mi era sembrato che il film anticipasse di qualche anno il desolante "Lebanon", che la Giuria di Venezia due anni fa preferì a "Lourdes", e le sue generose banalità sulle "casualità della guerra". Era un film magari più sincero di questo ,sentendo parlare il premiato regista; tuttavia, a differenza di "Lebanon", che però strada facendo trova una sua chiave di interpretazione della guerra.
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Quando ancora non realizzava film discussi (Ed in qualche misura discutibili, come "Triage", un piccolo disastro prsentato al Festival di Roma qualche anno fa), questo antipatico regista(Stando alle interviste che ho letto), faceva del cinema cui vanno riconosciuti motivi di interesse; ma senza, secondo chi scrive, "giustificare" l'entusiasmo suscitato a certuni.
All'inizio mi era sembrato che il film anticipasse di qualche anno il desolante "Lebanon", che la Giuria di Venezia due anni fa preferì a "Lourdes", e le sue generose banalità sulle "casualità della guerra". Era un film magari più sincero di questo ,sentendo parlare il premiato regista; tuttavia, a differenza di "Lebanon", che però strada facendo trova una sua chiave di interpretazione della guerra. Ovvero, trovare l'ironia presente nei paradossi dei conflitti bellici (E non, forse), esemplificata al meglio dal soldato sdraiato ssulla mina: potrebbe essere, e lo dico in totale diaccordo coi pacifisti, una metafora sull'assurdità di tutte le guerre. Vicini ed insieme lontani nell'avere convissuto in uno stesso Stato, che però ospitava almeno tre etnie diverse, Ciki e Nino (con) dividonoa nche los tesso spazio fisico, consapevoli però della fugacità di questo: quando uno dei due risponde all'altro "E'inutile presentarci, quando poi lotteremo su fronti opposti", il film si
serve di trovate, talora un pò sbrigative, per evidenziare l'assurdità della guerra in un non-stato, come la ex-Jugoslavia: dove alla disgregazione segue l'esplosione violenta di tensioni covate per anni. Nella "No Man's Land", c'è solo, in definitiva, il malcapitato sdraiato sulla mina, ma la Jx-Jugoslavia era anche una "No-Lans", improvvisato alla bell'e meglio dopo la seconda guerra mondiale.
Un altro risvolto del film riguarda la coesistenza tra istituzioni politiche e mondo mediatico: nell'ormai lontanissimo '93, distante da Internet e dove i telefonini rappresentevano ancora un'esperimento embrionale, Tanovic evita (Ma fino in fondo?) di scomodare quelle categorie "Baudrillardiane e viriliane" di cui, non benissimo, si servirà Joe Dante nel suo curioso "La seconda guerra civile americana", limitandosi (sic!) ad evidenziare quel misto di cinismo, indifferenza (Ed in qualche caso impotenza) che accomuna gli uni e gli altri. Pensandoci bene, sarà un caso, anche il regista di "Greemlins" si soffermerà anche sulle divisioni tra tribù ed etnie.
Ma come mostrerà il (Quasi) finale, che riassumerà in forma didascalica e plateale questi rancori protrattisi per decenni, persino in un cinema (Auto?)ironico come questo il didascalicismo contro i media e le istituzioni sono in agguato, come anche le trovate ad effetto. Nella "Medietà" o poco più di un film non necessario, ma comunque corrosivo, che dovrebbe spingere tutti noi a riflettere.
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anders
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martedì 2 aprile 2002
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particolare
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Film su cui meditare,certo...però voglio ribadire il mio sdegno per la mancata vittoria de"Il favoloso mondo di Amélie"che,a mio parere,dopo aver subito un ignobile smacco ai Golden Globe da quell'obbrobrio di"Moulin Rouge",meritava di vincere al posto di "No man's land" come miglior film straniero...comunque,a pensarci bene,tralasciando il lato esclusivamente artistico,è abbastanza comprensibile,giustificabile che abbia vinto:visti gli attentati alle Twin Towers era giusto che vincesse un film sulla guerra come questo...bello,per carità,ma comunque anche"politically correct"...come d'altronde è più e più volte successo nella storia degli Oscar...
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(di francesco2)
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