| Anno | 2022 |
| Genere | Teatro |
| Produzione | Italia |
| Durata | 84 minuti |
| Regia di | Caterina Shulha |
| Attori | Stefano Fresi, Ambra Angiolini, Luca Argentero, Ivano De Matteo, Giacomo Ferrara Caterina Shulha. |
| MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 24 marzo 2023
La registrazione della piece teatrale che porta in scena la difficile situazione politica che sta vivendo la Bielorussia.
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CONSIGLIATO SÌ
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In principio era un testo teatrale, firmato dal drammaturgo Andrej Kurejcik, rappresentato in venticinque paesi diversi e tradotto da Giulia Dossi in italiano. È diventato un documentario di denuncia e sensibilizzazione per mano dell'attrice bielorussa Caterina Shulha, che per il suo esordio dietro la macchina da presa sceglie una storia che conosce da vicino.
Si tratta delle elezioni dell'agosto 2020, che hanno confermato il sesto mandato presidenziale di Aleksandr Lukashenko. Il popolo bielorusso è sceso in strada a manifestare contro il dittatore, ma quando ci si allontana dalla democrazia ogni protesta viene messa brutalmente a tacere.
L'intento del documentario di Shulha è nobile e la sua forma austera e priva di orpelli è dichiarata sin dalla prima scena, con Stefano Fresi che interpreta un monologo indossando una t-shirt con la scritta Free Belarus. Sbaglia chi lo immagina come manifestante: lui è "Il Vecchio", ovvero Lukashenko. Suo figlio è interpretato da un attonito Giacomo Ferrara, che tra un lamento sul wireless bloccato e l'altro, chiede al padre che cosa sia la libertà.
La struttura del film prosegue identica e inalterata: una sequenza di monologhi, in totale assenza di musiche e rumori, in cui si insiste molto sui primi piani di attori tutti, va detto, ineccepibili.
Colpisce l'umanità vibrante di Ambra Angiolini, che dà voce a Svetlana Tichanovskaja, presidente "in controllo di nulla", moglie, madre, di fatto vincitrice delle elezioni e per questo pesantemente minacciata. Una donna convinta che una donna possa essere presidente e che sia impossibile fermare un popolo che reclama giustizia. A rappresentare quest'ultimo c'è Luca Argentero nei panni del manifestante, apprendista meccanico, pestato a sangue mentre grida "Lukashenko in galera" e "Bastardi" ai poliziotti che picchiano le donne.
Tra loro c'è Ivano De Matteo, bravissimo a rappresentare tutto il marciume di chi indossa una divisa abusando del potere con indicibile violenza. Ne fa le spese la stessa Shulha, che si ritaglia la parte dell'osservatrice "positiva" con le unghie bianche, rosse e bianche, le cui speranze verranno presto infrante. Finirà caricata sul furgone dai poliziotti insieme alla "Bielorussia vera", quella che combatte e si ribella malgrado tutto.
C'è anche un'altra Bielorussia, quella che si piega al peso del regime e finisce per appoggiarlo, sostenerlo, favorirlo. Come la fanatica preside interpretata da Carla Signoris, che incita le colleghe a contare i voti "come serve al Paese", guidato dal "più intelligente di tutti". Sarà la prima a battersi per difendere le mosse del dittatore e l'ultima a scontare sulla sua pelle la cocente delusione della realtà: il suo grido "Ridateci i nostri figli" fa rabbrividire.
Non potrebbe essere altrimenti, Insultati. Bielorussia è un film militante di grande attualità, che sacrifica l'estetica sull'altare della denuncia. Diversamente dai Sei pezzi facili di Sorrentino, anch'esso di impianto teatrale, Shulha non tenta neanche una messa in scena cinematografica. Non fa indossare ai suoi personaggi costumi o trucchi, non li fa muovere neanche. Questa staticità illuminata solo da una luce rossa - scelta registica radicale che rischia di risultare monotona - è leggibile come metafora della feroce staticità a cui è costretto ogni paese sotto dittatura.
Il ritmo del film ne risente, le parti che funzionano di più sono quelle in cui gli attori interagiscono tra loro, maggiore dinamismo avrebbe senz'altro giovato, come pure l'inserimento di musiche per incorniciare momenti clou, o magari l'introduzione di materiali di repertorio utili a contestualizzare visivamente i monologhi e alternarli.
Resta tuttavia un documento visivo importante e vibrante di appassionata protesta firmato da una regista appena trentenne. Resta, soprattutto, l'ottima prova di un cast di livello, capace di trascinare chi guarda nella lotta di un popolo ancora costretto a battersi per la propria libertà.
Pensavo che in Italia avessimo toccato il fondo con "troppo belli" di Costantino Vitagliano e Daniele interrante. Ma poi ho letto, Caterina shulha "regista"??