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Se la favola è per antonomasia il luogo degli archetipi a cui facciamo riferimento per il racconto, possiamo affermare che l'operazione di Garrone sia riuscita. Le metafore della società contemporanea, ci sono tutte:l l'edonismo erotico, l'estranea indifferenza dei padri che preferiscono mostri alle figlie devote, la narcisistica pretesa materna che scavalca il sacrificio del marito per poter amare un figlio braccato dal suo possesso, la pervicace pretesa della giovinezza eterna, e cosi via.
Operazione intellettuale questa, che grazie al tocco d'artista, estirpa dal piattume televisivo il genere torbido, riproponendolo con inquietante verità. Il risultato è notevole: un fastidio denso, un disagio plumbeo e profondo suscitato da un senso di repulsione che disturba per tutto il film.
Costumi, luci , scene incorniciano questa deriva dell'umanità, evocando lo Scola più cinico e la"trilogia della vita" di Pasolini.
Questa volta siamo lontani dall'orrore di "Gomorra" o dello squallido ritornello dell'ignoranza di "Reality"; la chiave è diversa, certo, ma il messaggio, sembra sempre lo stesso.
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