Poteva cadere nel patetico drammatico, poteva cadere nel buonismo, oppure nel “riscatto meritato che giustifica la vendetta”, ma Stephen Frears ha costruito il film ed i personaggi, cercando un equilibrio possibile che andasse in coppia senza eccessi con la storia vera.
Molto, se non tutto, è sulle spalle di Judi Dench, Philomena, che raggiunge una capacità espressiva notevole e sempre con molto equilibrio. Difficile ruolo il suo, ma nella ragnatela di rughe del suo volto, i suoi occhi sanno dare corpo a quei sentimenti impossibili da tradurre a parole per un dramma così profondo come quello accaduto alla reale Philomena.
Molto gradevole l’impatto iniziale che mette al corrente dell’origine del dramma, con un’immagine riflessa che quasi quasi da spettatore vi si scivola dentro, dentro a quel lontano passato, raccogliendo poi il dolore di Philomena nel viso rugoso dell’oggi, senza bruschi passaggi. Una Philomena che ha celato per anni la sua verità, invecchiando silenziosamente, ma non può più farlo da quando sente una forte necessità di un contatto, di una notizia, di ritrovare quell’esistenza che le è stata strappata. L’impatto con questa sua necessità è immediato anche se non se ne percepisce il motivo certo.
Inizialmente c’è solo un desiderio di figlio, ma pian piano, mentre s’incontrano i personaggi coinvolti e si va a sbattere sugli avvenimenti, di delinea meglio cosa cerca la donna, la madre da quel figlio, cosa vuole sapere. La donna è ritratta in tutte le sue sfumature di persona semplice, culturalmente limitata, prigioniera di dogmi vili e superati dal tempo stesso in cui adesso vive, eppure lei a quei principi è legata quel tanto che basta per non avere desideri di vendetta.
La sceneggiatura tiene e il ritmo, tranne qualche piccolo cedimento, ed è sufficientemente sostenuto da trattenere l’attenzione. La fotografia è molto buona nella ricerca di luci che spesso delineino i personaggi mentre per le location, i paesaggi sono splendidi quadri autunnali, e gl’interni perlopiù meno saturi di atmosfera, incidono meno dei personaggi o dell’evento che vi si consuma: ottime scelte.
Steven, il giornalista scrittore, è leggermente sopra le righe, molto meno “duro” di come potrebbe essere stato il vero giornalista e il suo sfogo finale risulta un po’ scontato e leggero nonostante il volume alto della voce, gli manca il tono, la solenne pesantezza delle parole scagliate anziché pronunciate.
Il finale non è scontato, anche se ci si arriva per gradi, anzi, proprio per questo si comprende meglio il percorso interiore di Philomena, incomprensibile per il giornalista - che mantiene come tale il suo scopo di “usare” il dramma – ma che alla fine capirà e sarà disposto a capitolare. E’ un continuo ribaltamento di dichiarazioni d’intenti, un palleggio che si snoda fluido senza eccedere nello svolgersi delle situazioni anche se a chi guarda dalla poltrona, vorrebbe alla fine un po’ più di soddisfazione, una piccola piccola vendetta..una punizione che tolga l'amoro di bocca..
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