Philomena

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Philomena Valutazione 4 stelle su cinque

di catcarlo


Feedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo
lunedì 30 dicembre 2013

Se la ricetta è semplice, contano gli ingredienti. La storia vera di Philomena Lee potrebbe essere perfetta per un settimanale scandalistico (come subito intuisce la cinica Sally) o per un filmone strappalacrime che colpisca basso. Giovane ragazza madre durante gli anni Cinquanta in un’Irlanda bigotta oltre ogni dire, Philomena paga un giorno di gioia alla fiera venendo rinchiusa in un convitto di suore dove è prima costretta a partorire con dolore (figlio podalico e niente anestetico) e poi a vedersi portare via il piccolo Anthony, dato in adozione negli Stati Uniti. Cinquant’anni dopo, la sua strada si incrocia con quella di Martin Sixsmith, giornalista politico rimasto senza lavoro, che si interessa a lei sperando di ricavarne una storia da cui ripartire, ma che ben presto si lascia coinvolgere aiutando la donna nella ricerca del figlio perduto. Ricerca che riserverà piccole gioie e grandi delusioni, oltre a una bella arrabbiatura che scuote Martin al confronto di una pacificata Philomena. Pronti i fazzoletti? Neanche per idea: Stephen Frears tiene con sicurezza le redini alternando il dramma a delicati tocchi di commedia che scaturiscono dall’incontro fra due persone diversissime – il laureato a ‘Oxbridge’ che ha girato il mondo e la donna del popolo, infermiera per una vita, che si entusiasma per i romanzi rosa e le banalità da piccolo schermo – lavorando su una sceneggiatura di Steve Coogan e Jeff Pope, tratta dal libro del vero Sixsmith, tanto efficace da venir premiata a Venezia e costellata di battute da ricordare (tra le più belle dell’anno quella sul suonare l’arpa e i gay, forse non correttissima, ma va ricordato che si tratta di una madre che parla del proprio figlio). Del resto, Coogan, attore e autore comico per la televisione britannica, ha preso talmente a cuore il progetto da esserne anche produttore e interprete: il suo ruolo, però, non può e non vuole essere che quello del comprimario, perché al di là dei meriti di tutti quanti, il vero pilastro su cui il film si regge è l’interpretazione di Judi Dench. La sua Philomena è una donna addolorata ma forte che, quando riesce infine a dare una risposta agli interrogativi della sua vita, trova l’energia per chiudere i conti con il passato e guardare avanti. Nei momenti più intensi, Frears stringe il primo piano e la signora, incurante delle rughe, sa restituire un’emozione (o un mondo di emozioni) con la profondità dello sguardo per poi regalare altrettanta classe a un duetto brillante con Coogan nei momenti più leggeri. I due personaggi principali sono il fulcro della narrazione, il che spinge inevitabilmente gli altri sullo sfondo con la sola eccezione di Sophie Kennedy Clark che interpreta la giovane Philomena: discorso ben diverso, invece, per quanto riguarda una natura che si erge quasi a co-protagonista. Tutta la pellicola si svolge tra l’autunno e l’inverno, ma mentre c’è il gelo nelle immagini che narrano l’adolescenza reclusa di una ragazza sottoposta a regole che, pur solo a pochi decenni di distanza, ci paiono impossibili, sono le più calde tonalità autunnali ad accompagnare gran parte dell’azione nel presente: si passa così dai paesaggi ancora verdeggianti di un’Irlanda umida ma fascinosa al coloratissimo foliage che fa da sfondo alla trasferta negli Stati Uniti raggiungendo il massimo del suo splendore durante la decisiva visita a Pete Olsson. E’ qui che, dopo aver vinto le resistenze dell’uomo, il cerchio si chiude con lo svelarsi di un’ulteriore cattiveria che tira in ballo ancora una volta le colpe della chiesa cattolica in Irlanda, la cui spietatezza controriformistica ha raggiunto livelli abnormi anche a confronto di un Paese cattolicissimo come il nostro. Da quando ‘Magdalene’ ha squarciato il silenzio, si è saputo di tutto e ‘Philomena’ aggiunge un altro mattone: a parte qualche lodevole eccezione, come la levatrice suor Anunciata, il sistema (incarnato da suor Hildegard) era strutturato per ottundere e reprimere perché il peccato va espiato nel dolore (una delle prime battute) e il piacere altrui non è ammesso (una delle ultime).

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