Funny Games |
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Un film di Michael Haneke.
Con Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Devon Gearhart.
continua»
Thriller,
durata 111 min.
- Gran Bretagna, USA, Francia, Austria, Germania, Italia 2007.
- Lucky Red
uscita venerdì 11 luglio 2008.
- VM 14 -
MYMONETRO
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Sadico cinismo e volgare autocompiacimento
di pb80pb80Feedback: 343 | altri commenti e recensioni di pb80pb80 |
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venerdì 11 ottobre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ci sono fondamentalmente tre modi di accostarsi al problema della violenza. Il primo è quello della compassione e del dramma: vi rientrano i film "drammatici" tradizionali, ma anche i film thriller e horror "seri", che rappresentano in modo diretto le nostre paure più profonde. Il secondo è quello del gioco e dell'ironia, il quale (checché ne dicano i moralisti) è un modo per smitizzare e giocare con la parte più oscura di noi, con i nostri istinti aggressivi, funzionando come valvola di sfogo con un effetto catartico e (secondo me) positivo, sempre alla faccia dei moralisti. Tanto più positivo quanto controbilanciato dal primo modo, che ci riporta alla realtà e alla partecipazione umana alla violenza e al dolore. Vi rientrano i film splatter o pulp, i videogames stile GTA etc. Il terzo modo è invece quello dell'autocompiacimento sadico, dell'efferatezza gratuita ed "estetizzante", del voyeurismo pornografico fine a se stesso, di chi gode realmente della sofferenza altrui. Normalmente, persone sane di mente considerano questo terzo modo del tutto disgustoso e inopportuno, una manifestazione di mentalità distorte e criminali. Normalmente questo terzo modo dovrebbe avere molto poco a che vedere con l’arte e molto più con certi “bulli” che si divertono a riprendere con il cellulare le loro bravate, o il mondo degli snuff movies. Ma evidentemente, nei salotti radical chic di una cultura europea arrivata ormai alla canna del gas, nulla deve rimanere intentato nel disperato tentativo di coprire una penosa mancanza di idee, di valori, e di una seppur minima progettualità costruttiva nell’intendere il lavoro di un artista. Tutto può essere fatto, per “stupire” e per fare scandalo, unico modo ormai per farsi notare e per ricevere prestigiosi riconoscimenti “accademici”. Perché non nascondiamoci dietro un dito: è il terzo modo quello che sceglie Haneke per rappresentare la violenza. Il suo film non disturba affatto per la crudeltà dei suoi protagonisti o per le sofferenze inflitte alla povera famiglia vittima delle loro efferatezze. Il suo film disturba perché chi sta dietro la macchina da presa ha deciso di adottare deliberatamente lo stesso punto di vista degli aguzzini criminali, che godono a provocare sofferenza negli altri. La vittima di Haneke è lo spettatore, al quale viene propinato uno spettacolo sadico e fine a se stesso, per il puro gusto di vedere qual è il limite della sopportazione, godendo nel provocare disgusto. Non c’è alcuna compassione nel suo film, alcun dramma, né alcuna ironia. Haneke non “rappresenta” la crudeltà e la violenza: la mette in pratica. E la “vittima” di questa provocazione gratuita è la dignità stessa della sofferenza e del dolore umano. Quello che mi chiedo è se è necessario arrivare a tanto, per il puro e cinico gusto “estetizzante” della provocazione. Non sto affermando che Haneke abbia una mente sadica e criminale, ma è quasi peggio constatare a che punto si possa arrivare pur di “farsi notare dalla critica”. Tutte le scuse sulla “denuncia della violenza nei media” sono soltanto fregnacce: qua non c’è alcuna intenzione di denunciare niente. Haneke spara sentenze sulla solito “bombardamento” mediatico che spettacolarizza la violenza, e risponde a tutto questo creando la più volgare e la più pornografica delle spettacolarizzazioni. Veramente un ritratto desolante della nostra classe “intellettuale”.
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