Il regista che con il suo film The New World (Il nuovo mondo, ora nei cinema), storia della nascita di una nazione e della leggendaria principessa Pocahontas, vuole riscoprire l’America («deve ancora venir scoperta», dice, «sulle origini del Paese sono noti soltanto pregiudizi, favole, menzogne») si chiama Terrence Malick, e pochi lo conoscono. Non va alla tv né alle cerimonie della gente di cinema, non concede interviste, non posa per le fotografie, dice di non fare alcuna fatica a difendere la propria riservatezza («Se davvero non vuoi farti trovare, presto si stancano di cercarti»). Ha 60 anni portati bene, gli occhi limpidi, il colorito roseo di chi mangia sano e non è sedentario, una bella faccia simpatica e strana: il padre era un geologo di origini libanesi, la madre un’irlandese, lui è nato a Waco in Texas, un mix davvero insolito.
In 33 anni di carriera, dal 1973 del suo debutto, La rabbia giovane, ha diretto soltanto 4 film. Non è un caso unico (Gillo Pontecorvo, per dire, in quasi 50 anni ha diretto appena 5 film), ma è assai raro: la quantità della produzione è un elemento decisivo, nell’economia del cinema americano. Ma lui, autoproducendo il proprio lavoro (I giorni del cielo nel 1978, La sottile linea rossa nel 1998, adesso The New World) ha vinto un FilmFest di Berlino, un festival di San Sebastian, il premio per la miglior regia al festival di Cannes, ha avuto una decina di candidature all’Oscar. Quando non sta realizzando un film (quasi sempre), lavora; prima del cinema e dopo essersi laureato in filosofia a Harvard ha lavorato come giornalista, docente, agricoltore, operaio ai pozzi di petrolio texani; adesso viaggia, studia, scrive, fa il birdwatcher, legge, insegna. Il primo amore nella vita di Terrence Malick è l’America: vede il suo Paese come una immensità calma, un paradiso perduto o addormentato lacerato dalla violenza, una distesa naturale bellissima che non prevede civilizzazione né progresso come vengono comunemente intesi. Il secondo amore della vita è un odio, l’odio perle banalità ignoranti, per i luoghi comuni, la prepotenza arrogante, il male radicato nella natura dell’uomo, I suoi film molto belli somigliano a racconti morali e a paesaggi dipinti da un Maestro: i suoi attori sono perfetti. e quasi sempre giovani.
Da Lo Specchio, 21 gennaio 2006