L’anticonformista recita l’ordine, la ribelle rappresenta la legge: in Il cartaio, nuovo film di Dario Argento, la poliziotta efficace e turbata, in lotta contro un serial killer romano nella Rete, immersa nel sangue, nelle torture e negli incubi personali quotidiani, è Stefania Rocca, attrice italiana diversa da tutte.
Ragazza per sempre, conserva il suo spirito di contestazione, di opposizione: «Sono lunatica per natura». Nata a Mondovì nel 1971. figlia di una sarta e di un dipendente Fiat responsabile della sorveglianza, sorella di due sorelle (una è fotomodella, l’altra lavora nell’informatica), da piccola era timida, obbediente, laconica: cominciò a 16 anni a fare quello che voleva, aiutandosi con inganni e bugie. Si trasferì a Milano per trovare nella moda un impiego presto abbandonato («È davvero un ambiente squallido»); tentò con la pubblicità (Pavesini, Enel); a Roma, dal 1990, seguì i corsi di recitazione alla Scuola di Cinema e incontrò subito i film.
Ha fatto la barista in un pub, ha lavorato per Toteme per i Centri Sociali. Ha studiato danza, praticato il free-climbing, addestrato il corpo con moltissimo sport nel rapporto amoroso col gestore d’una palestra. Non vota da oltre dieci anni. Evade spesso: otto mesi a New York, quattro mesi a Londra, un lungo stage in Australia e ormai sa parlare inglese. A Roma ha scelto di abitare in posti speciali, una via dietro piazza del Pantheon affollata di stranieri; San Lorenzo, luogo di studenti, pub, artisti. Porta scarpe da basket T-shirt con ideogrammi cinesi, pantaloni kombat al polpaccio, oppure assortimenti di griffe diverse e dissonanti. Capelli corti, niente trucco. Non si nasconde, non si ostenta.
Ha una faccia perfetta per il cinema, con lineamenti minuti e graziosi, occhi ben tagliati, naso delicato, colori tenui: una fisionomia quasi anonima che può essere trasformata nella durezza ipermoderna di Naima dai capelli blu di Nirvana di Gabriele Salvatores come nella dolcezza luminosa della sguattera settecentesca incinta di Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, nell’ottocentesca forza dolente di Katjuscia in Resurrezione dei fratelli Taviani come nella contemporanea energia vitale amorosa di Casomai di Alessandro D’Alatri, come nelle creature di Kenneth Branagh (Pene d’amor perdute) o di Anthony Mingella (il talento di Mister Ripley). Ragazza per tutte le stagioni, brava e apprezzata dai registi più differenti, eclettica e gran lavoratrice, arriva adesso a una fase nuova del suo percorso: smettere di accettare tutto e tutti, cominciare a scegliere i film, a selezionare i personaggi.
Da Lo Specchio, 10 gennaio 2004