Anno | 2025 |
Genere | Commedia |
Produzione | USA |
Durata | 72 minuti |
Regia di | Colin Bucksey, Paul Hunter (II) |
Attori | David Oyelowo, Simone Missick, Kyle Mac, Djilali Rez-Kallah, Jean-Michel Richaud London Garcia, Bob Glouberman, Mark Daneri, Jahi Di'Allo Winston, Evan Ellison, Bokeem Woodbine, Jeremy Bobb. |
MYmonetro | Valutazione: 1,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 22 aprile 2025
Commedia surrealista ambientata nella San Fernando Valley del 1969.
CONSIGLIATO NO
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1969, periferia di Los Angeles. Dopo un periodo in prigione, Hampton Chambers (David Oyelowo) torna a casa con un'invenzione sotto il braccio (un trapano a punta autoaffilante) e l'ambizione di cambiare vita. Vuole riconquistare la fiducia della moglie Astoria (Simone Missick) e dei due figli adolescenti, Einstein (Evan Ellison) e Harrison (Jahi Winston), ma ad accoglierlo trova freddezza, sospetto e una quotidianità che si è già riassestata senza di lui. Hampton si muove, così, come un anti-eroe da commedia morale, barcamenandosi tra buoni propositi e vecchie abitudini criminali che riemergono con prepotenza.
Government Cheese, creata da Paul Hunter e Aeysha Carr per Apple TV+, è curata più nell'aspetto che nella direzione: una serie che si presenta come una comedy surreale punteggiata da elementi retro, ma che rimanda costantemente alla provenienza professionale di Hunter, cioè dal mondo dei videoclip (The Notorious B.I.G., Marilyn Manson).
E come nel migliore dei video musicali, ogni dettaglio visivo cattura l'attenzione, portando in scena una ricchissima composizione: ambientazioni in technicolor, oggetti di scena dal design mid-century, costumi iconici, una fotografia levigata. L'atmosfera estetica è innegabilmente affascinante, con rimandi cinefili evidenti (fratelli Coen, Wes Anderson); ciononostante, questa cura visiva non trova un reale equilibrio con la struttura narrativa, che appare disarticolata, estremamente episodica, un collage di intuizioni visive che, appunto, ben si adatterebbero - singolarmente - a dei video di altra natura e per un altro scopo produttivo. La narrazione, cioè, appare sempre sacrificata a favore dell'effetto scenico o delle gag surreali che si affastellano una dopo l'altra senza una concreta coerenza o giustificazione narrativa.
Nel tentativo di distanziarsi dalla rappresentazione canonica delle famiglie nere negli anni Sessanta - spesso incasellate nel realismo sociale o nel dramma della lotta - Government Cheese sceglie l'assurdo, la fantasia, l'iperbole. Una scelta che potrebbe apparire liberatoria, ma che in questo caso si traduce più in un'esibizione virtuosistica che in una visione solida. Il risultato è un racconto che ondeggia tra mille suggestioni senza mai affondare davvero il colpo: si passa da riferimenti alla morale biblica, abbozzata qua e là, a quelli politici, sempre solo sussurrati e mai veramente articolati.
Similmente, i processi emancipatori - particolarmente rilevanti dato il contesto storico - sia di natura etnica che di genere, compaiono e scompaiono senza lasciare tracce sensibili, senza mai articolarsi o coinvolgere gli eventi - di per sé già particolarmente sconnessi. Le dinamiche familiari sono accennate, lasciate in superficie, in particolar modo sacrificando la bravura di Simone Missick (All Rise, Luke Cage), unico sollievo narrativo di questa serie. Missick si ritrova così a sorreggere (senza poterlo fare dato il suo ruolo secondario) l'intera narrazione, e dà il massimo possibile, mostrando ciò che accade attorno a lei attraverso mimica facciale.
Purtroppo, non è però supportata da un'azione scenica ben governata a livello registico, né da un protagonista che, nonostante le qualità attoriali di Oyelowo (Selma, Lawmen), resta irrisolto a causa di quello stesso impianto narrativo frammentario, che impedisce di immedesimarsi con lui. Il protagonista risulta, così, non centrale, e ogni personaggio - dal più rilevante alle varie comparsate (di un rabbino, di una poliziotta, di un nativo americano, ecc.) - prende troppo spazio narrativo, cercando di colmare l'incolmabile.
La serie non è priva di idee: la metafora del government cheese - il formaggio industriale distribuito alle famiglie povere nel dopoguerra - diventa simbolo di ingegno e resistenza, un elogio alla capacità di "fare molto con poco". Eppure, proprio come quel formaggio, ciò che ci viene offerto è solo confezionato, processato, lontano, decontestualizzato: in più occasioni, scordiamo di essere negli anni Sessanta, oltre alle vicende precedenti che, essendo disarticolate, non sono propedeutiche a quanto viene proposto di volta in volta. A dominare è il pastiche: ironia, nostalgia, stramberia, riferimenti cinefili, tutto assemblato con leggerezza e, parrebbe, una certa superbia compositiva.
È valido, potenzialmente, il tentativo di raccontare qualcosa di diverso, ma non a scapito di un'identità narrativa: Government Cheese sfiora la satira e accenna a un arco narrativo di redenzione, ma non lo fa mai appieno, lasciandoci sospesi in un limbo estetico dove ogni intuizione viene suggerita e poi disinnescata.