La macchina infernale

Bruce Cogburn, autore di un solo romanzo, il celebre "The Infernal Machine" che, a inizio anni '80, ispirò un lettore a compiere una strage di civili, vive da tempo isolato dal mondo, in una casa nel deserto della California meridionale, con la sola compagnia di un cane e della bottiglia. Perseguitato da un fan che gli invia continuamente lettere minatorie e inviti a riprendere a scrivere, Bruce è costretto a mettersi a contatto con la sua casa editrice e con il suo stesso stalker, cercando nel frattempo di scoprirne l'identità. La ricerca lo porterà a rinvangare un passato a lungo rimosso, risalendo all'origine della sua opera maledetta, che prima ancora di innescare una furia omicida poggiava su un misfatto inconfessabile...

Guy Pearce interpreta la classica figura dello scrittore travolto dalla sua stessa opera, con echi delle ossessioni tipiche di Stephen King e, come a un certo punto si sente dire, «il look di Sam Shepard, la passione per il bere di Truman Capote e lo stile di vita di Jim Thompson».

Scritto dallo stesso regista Andrew Hunt, all'opera seconda dopo l'inedito Miles Between Us (2016), The Infernal Machine ci porta nel mondo fisico e mentale di uno scrittore in maniera non troppo diversa da quanto fatto in passato da film di diretta ispirazione "kinghiana", come La metà oscura o Secret Window. Immerso però in atmosfere da noir californiano, in paesaggi assolati e desertici (o al massimo in desolati contesti suburbani - e la descrizione di questo mondo periferico è la cosa migliore del film), non è tanto la messinscena di una mostruosa confusione tra realtà e immaginazione - in cui di norma sono i fantasmi dell'autore a prendere vita - quanto la spietata disamina di un fallimento esistenziale.

Bruce Cogburn, tipico scrittore maledetto della tradizione americana, la cui scelta di autoreclusione rimanda anche al destino di Jerome D. Salinger (il cui "Il giovane Holden", non dimentichiamolo, era tra le letture predilette dell'assassino di John Lennon, Mark David Chapman), è costretto a portare sulle spalle un fardello morale che con il dipanarsi della trama diventa sempre più greve. Dall'iniziale dialogo a distanza fra il protagonista e il suo persecutore (che dice di chiamarsi William Dukent), tra lettere, pacchi consegnati misteriosamente, piccole intromissioni e crescente paranoia da parte dell'ex celebrità braccata dal passato, il gioco si sposta sul piano dell'indagine.

Cogburn, interpretato da un provato ma convincente Guy Pierce, indaga in parte solo e in parte con l'aiuto di una poliziotta, l'ufficiale Higgins, e fa da guida a una trama in cui l'azione prende via via il sopravvento, chiarendo sia le sempre più torve responsabilità dello scrittore, sia l'identità di Dukent, prima rifranta in diversi sospettati, poi chiarita dall'inevitabile agnizione finale.

La trama di The Infernal Machine s'ingarbuglia così in modo inutilmente confuso, dal momento che la soluzione è talmente ovvia - non tanto per lo spettatore quanto per il protagonista - che viene da chiedersi come sia possibile che l'esasperato Cogburn non ci abbia pensato fin dalla prima apparizione delle lettere minatorie...

Se dunque il film sa costruire un'atmosfera piuttosto efficace di minaccia e tensione, pur senza rinunciare agli stereotipi sul cinema che racconta il lavoro del romanziere (lanciando inoltre qua e là vaghi indizi decisivi, a cominciare dalla domanda con cui Cogburn era solito introdurre i suoi corsi di scrittura, e cioè «Chi sono io?», riferito ai protagonisti di ogni storia raccontata...), con il passare dei minuti personaggi, bugie, congetture e scontri si accumulano in maniera confusa, facendo perdere al regista il controllo di una trama senza più mistero.

E alla fine è come se la dannazione dello scrittore tradito dalle sue parole colpisse lo stesso Andrew Hunt, vittima anch'egli, consapevolmente o meno, della sua stessa creatura. 