Detective Marlowe

Los Angeles, 1939. Il detective privato Philip Marlowe ha lasciato da anni la polizia e lavora in proprio. La ricca e sensuale ereditiera Clare Cavendish si rivolge a lui per cercare il suo amante Nico Peterson, faccendiere e spacciatore di Hollywood apparentemente morto in un incidente. Anche la madre di Clare, l'attrice e diva Dorothy Quincannon, è sulle tracce dell'uomo, intorno al quale si intrecciano interessi diversi e affari pericolosi. L'indagine conduce Marlowe al Corbata Club, frequentato dai potenti di Los Angeles, e gli farà scoprire vizi e segreti dietro la città dei sogni e del cinema.

Con il gusto del gioco e dell'imitazione (senza pretendere oltre), Neil Jordan riprende la figura iconica di Philip Marlowe, muovendo i personaggi in una città nata dal peccato ma senza bisogno di redenzione.

Prima di questa trasposizione firmata Neil Jordan (tratta dal romanzo "La bionda dagli occhi neri. Un'indagine di Philip Marlowe" di John Banville), l'ultima comparsa sullo schermo del detective Marlowe, nato dalla penna di Raymond Chandler negli anni '30 del Novecento, risaliva alla fine del secolo scorso, in Marlowe - Omicidio a Poodle Springs (1998) di Bob Rafelson, con James Caan nel ruolo dell'iconico protagonista. Venticinque anni dopo è Liam Neeson a vestire i panni del personaggio divenuto archetipo del genere 'hard boiled': sigarette, whisky, solitudine, rigore morale e scaltrezza, carattere duro per districarsi in un mondo anche più duro e cinico di lui.

Alle sue caratteristiche peculiari il Marlowe di Neeson e Jordan aggiunge l'uso frequente delle maniere forti. Più violento delle sue versioni precedenti, meno ironico di quello interpretato da Elliott Gould in Il lungo addio (1973) di Robert Altman, e meno dolente e carismatico del modello esemplare di Humphrey Bogart in Il grande sonno (1946) di Howard Hawks, questo nuovo Marlowe sgombra subito il campo dagli equivoci e rifiuta paragoni, eredità o trasformazioni pesanti. Marlowe non è citabile, come lascia intendere di sé il protagonista in uno scambio di battute, se non appunto nella dimensione del gioco, dell'imitazione, in cui Jordan si cala con eleganza rivisitando il genere in chiave moderna senza stravolgerlo.

È tutta una questione di stile, a partire dalla scelta azzeccata degli interpreti: non solo Neeson, che esprime nel volto la giusta disillusione, ma anche Diane Kruger come perfetta 'femme fatale', Jessica Lange nel ruolo della madre che rivaleggia con la figlia a colpi di divismo vamp, Colm Meaney come poliziotto e Danny Huston come gestore malavitoso del Corbata Club.

E poi ancora le canzoni di Billie Holiday, i dialoghi che restituiscono lo spirito dei personaggi («Ho sentito che sei alla ricerca di qualcuno...», «Tutti noi siamo alla ricerca di qualcuno»), e gli ambienti losangelini che tratteggiano una città e un'industria, quella di Hollywood, nate dal peccato ma senza bisogno di redenzione, come dimostra la parabola finale di Clare Cavendish. Per dirla con le parole di un altro celebre Marlowe, il drammaturgo inglese Christopher citato nel film, "questo è l'inferno e non ne sono ancora fuori". 