Illusioni mortali

Mary Morrison, scrittrice di gialli a sfondo erotico di straordinario successo, dopo un lungo periodo d'inattività in cui si è dedicata ai figli e al marito Tom è costretta a mettersi al lavoro su un nuovo romanzo. Pressata dalle difficoltà finanziarie del marito e in crisi d'ispirazione, decide di assumere una baby sitter che badi ai bambini e si occupi della casa. Nella sua vita entra così Grace, ventenne brillante e bellissima nella quale Mary rivede sé stessa da giovane. Gentile e premurosa, Grace s'insinua nella vita e nelle fantasie di Mary, influenzando anche la trama del romanzo. Ma sono solo sogni quelli di Mary o in Grace c'è qualcosa di imperscrutabile e disturbante? Chi è Grace? E perché anche Tom è attratto da lei?

A partire dai classici temi della scrittura che confonde realtà e immaginazione e dell'estranea che sconvolge la tranquillità di una famiglia borghese, un thriller psicologico piuttosto risaputo e mal scritto.

L'abbinamento di sostantivo e aggettivo nel titolo di Illusioni mortali rimanda a un'epoca in cui i thriller psicologici erano il prodotto seriale per eccellenza di Hollywood. Torbido inganno, Analisi finale, Attrazione fatale, Doppio taglio... tutti film distanti anni luce se presi singolarmente, ma capaci di evocare un universo cinematografico piuttosto riconoscibile di sospetti e perversione, morte e di mistero. Universo che il film di Anna Elizabeth James richiama in maniera esplicita, salvo restare alle pure e semplici intenzioni.

La natura derivativa del progetto è anzi la colpa minore (ma basterebbe confrontarlo con Swimming Pool di Ozon per accantonarlo immediatamente), mentre tutto il resto, dalla regia meno che compilativa alla scrittura (della stessa James) tirata via nei passaggi chiave, alla recitazione sotto la soglia di guardia del cast, ha il tipico aspetto di una produzione di serie C.

Un tempo film come Illusioni mortali si definivano sprezzantemente straight to video, cioè così trascurabili da saltare la sala e finire diretti nei cestoni del supermercato, ora invece capita che approdino su Netflix e finiscano pure nella lista dei più visti in Italia. Difficile spiegarne il motivo, se non la presenza della Kristin Davis di Sex and the City nella parte di Mary, donna creativa e materna che dovrebbe rivelare il lato oscuro della celebre Charlotte York e invece finisce per esserne una replica altrettanto incolore.

Non è da meno, comunque, la prova della rivale e amica/nemica Greer Grammer, mai credibile o affascinante come ragazza acqua e sapone che nasconde un lato diabolico, e proprio per questo incapace di rendere sconvolgente l'evoluzione della sua Grace.

E pensare che la sceneggiatura fa di tutto, non tanto per depistare lo spettatore, quanto per portarlo a spasso tra le varie declinazioni del thriller: dall'attrazione fra la donna matura e quella giovane (con tanto di scene softcore) allo scambio di ruoli fra moglie e amante, scrittrice e personaggio; dalla confusione fra immaginazione e realtà, vita e scrittura, alla risorsa del disturbo mentale e della doppia personalità. E proprio con un espediente alla De Palma (si fa per dire...) il film scioglie il mistero sull'identità di Grace, come risorsa finale di una serie di luoghi comuni affastellati a casaccio, senza tentare né la strada della rivisitazione né quella della riflessione concettuale. Semplicemente, con Illusioni mortali siamo nel regno del brutto cinema. 