fabbu
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martedì 14 gennaio 2020
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andare sul sicuro. che rassicura
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Il desiderio, anzi il piacere, di parlare del nuovo film di Ferzan Ozpetek deve farsi a largo un po’ a fatica tra il gran frastuono dei giudizi prêt-à-porter che ne sono seguiti. I cinefili raffinati avevano già trovato, dopo scarsi dieci minuti, tutti i ben noti difetti del suo cinema (dinamiche relazionali ingabbiate negli schemi piccolo-borghesi, la ossessione per l’universo LGBT, una certa allergia per gli elementi sfrangiati ai margini della società). I militanti, al contrario, inneggiavano al suo grande ritorno ai livelli dei suoi “primi grandi film”: è bastata la prima inquadratura della terrazza “come quella delle fate” e tutte le mediocri sperimentazioni delle sue ultime pellicole si sono smaterializzate.
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Il desiderio, anzi il piacere, di parlare del nuovo film di Ferzan Ozpetek deve farsi a largo un po’ a fatica tra il gran frastuono dei giudizi prêt-à-porter che ne sono seguiti. I cinefili raffinati avevano già trovato, dopo scarsi dieci minuti, tutti i ben noti difetti del suo cinema (dinamiche relazionali ingabbiate negli schemi piccolo-borghesi, la ossessione per l’universo LGBT, una certa allergia per gli elementi sfrangiati ai margini della società). I militanti, al contrario, inneggiavano al suo grande ritorno ai livelli dei suoi “primi grandi film”: è bastata la prima inquadratura della terrazza “come quella delle fate” e tutte le mediocri sperimentazioni delle sue ultime pellicole si sono smaterializzate.
Eppure si può. Si può abbassare il ronzio di fondo e provare a descrivere la piacevolissima sensazione di lasciarsi condurre per mano nelle vite di questi normalissimi atipici che si amano e si detestano senza ipocrisia. Senza quella finzione di portamento, e di comportamento, che pure vediamo sempre più inesorabilmente propagarsi attorno a noi. Senza quella anomia individualista, sofferta, che regola le vite nelle nostre folli metropoli. E’ forse questa la cifra più rilucente di Ozpetek (quando fa il proprio mestiere): sapere descrivere e raccontare esistenze che - pur eccedenti rispetto alla solitudine del nostro quotidiano contemporaneo (Ken Loach, ma anche il ‘semplice’ cinema sociale sta proprio da tutt’altra parte) – non ci suonano mai di maniera e hanno sempre qualcosa per lo meno di verosimile. Sarà per questo che in due ore di film la sala rimane in silenzio e, nonostante il freddo invernale, non si ascolta alcun proverbiale colpo di tosse emotivo?
Attori tutti in parte. Edoardo Leo fa il verso a tutti coloro che lo avevano rinchiuso nel ruolo di palestrato lento di pensiero. Gli va dato atto che con questa prova è passato alla maggiore età artistica.
A Stefano Accorsi e a Jasmine Trinca Ozpetek riesce a tirar fuori il meglio di loro stessi. Arturo e Annamaria sono due personaggi diamantini, che lottano dalla prima all’ultima inquadratura per rivendicare un proprio spazio vitale, per concedersi un sano egoismo a dispetto di tutti i dinieghi che la vita puntuale propina a ognuno di loro due.
Certo note stonate ce n’è. Di Barbara Alberti va apprezzato il coraggio e la attitudine provocatoria a non smettere mai di essere se stessa, ma per un ruolo così luciferino serviva uno spessore diverso.
E anche il soggetto, scritto a 4 mani con Gianni Romoli, si dipana un po’ (tanto) prevedibile, accentuando la distanza con una sceneggiatura che invece non appare quasi mai superflua e compiaciuta.
E dunque, chiudendo il cerchio: certamente che nei racconti di Ozpetek non c’è mai un vero derelitto della società; mai che al centro del racconto ci sia nemmeno per errore una mezza inquadratura di Tor Bella Monaca; mai che nei bei salotti si intraveda una macchia sul tavolo, un quadro storto, mai che da qualche scooter penda una freccia o che un piccione impreziosisca qualche tettuccio di automobile. E ugualmente: come si può negare che il nostro sia voluto tornare territori ed atmosfere già rodate, che tanto hanno ringalluzzito i nostalgici di Antonia e Michele e del Gasometro all’orizzonte?
Ma è tutto fatto al meglio.
Fare del buon cinema per il grande pubblico non è forse precisamente questo?
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psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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tiepido ozpetek
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Bentornato, Regno di Oz-petek!
Bentornati i colori, le terrazze, le sfumature delicate e i sentimenti forti.
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Bentornato, Regno di Oz-petek!
Bentornati i colori, le terrazze, le sfumature delicate e i sentimenti forti.
La Dea Fortuna giunge in una coppia che ormai sembra al capolinea.
E con un pizzico di magia, ridisegna i confini di un sentimento ormai stanco, donandogli nuova linfa.
"𝐿𝑎 𝐷𝑒𝑎 𝐹𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑎 𝑒̀ 𝑢𝑛 𝑠𝑒𝑔𝑟𝑒𝑡𝑜, 𝑢𝑛 𝑡𝑟𝑢𝑐𝑐𝑜 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑐𝑜. 𝐶𝑜𝑚𝑒 𝑓𝑎𝑖 𝑎 𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑡𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑜 𝑎 𝑐𝑢𝑖 𝑣𝑢𝑜𝑖 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑜 𝑏𝑒𝑛𝑒?
𝐷𝑒𝑣𝑖 𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑎𝑟𝑙𝑜 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑜, 𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖 𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒, 𝑐ℎ𝑖𝑢𝑑𝑖 𝑑𝑖 𝑠𝑐𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖, 𝑙𝑖 𝑡𝑖𝑒𝑛𝑖 𝑏𝑒𝑛 𝑐ℎ𝑖𝑢𝑠𝑖. 𝐸 𝑙𝑢𝑖 𝑡𝑖 𝑠𝑐𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑎𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 𝑒 𝑑𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑡𝑒".
Bravi Leo, Accorsi e Trinca. Bello anche riscoprire il Santuario della Fortuna Primigenia che si trova a Roma (Palestrina).
Tuttavia il mio giudizio è tiepido, come il film.
Il mio cuore non batte.
Due stelline su cinque.
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jonnylogan
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domenica 10 maggio 2020
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l'amore i tempi della malattia
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A Palestrina, vicino Roma, si trova il Santuario della Fortuna Primigenia ove Arturo e Alessandrosi conobbero molti anni prima. A distanza di molti anni i due ricevono la visita di Annamaria l’amica che li fece conoscere e che questa volta ha bisogno che per tre giorni i due ospitino i suoi due figli mentre lei sarà in ospedale per essere visitata a causa di forti emicranie.
Quando la coppia inizia a scricchiolare dopo anni di convivenza, e nonostante una rete di amicizie dalle maglie folte, è difficile che si possa riprendere nonostante un’abitudine generata da piccole consuetudini e il desiderio di fuga placato da aperture verso l’esterno, con tradimenti della durata di una sola notte.
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A Palestrina, vicino Roma, si trova il Santuario della Fortuna Primigenia ove Arturo e Alessandrosi conobbero molti anni prima. A distanza di molti anni i due ricevono la visita di Annamaria l’amica che li fece conoscere e che questa volta ha bisogno che per tre giorni i due ospitino i suoi due figli mentre lei sarà in ospedale per essere visitata a causa di forti emicranie.
Quando la coppia inizia a scricchiolare dopo anni di convivenza, e nonostante una rete di amicizie dalle maglie folte, è difficile che si possa riprendere nonostante un’abitudine generata da piccole consuetudini e il desiderio di fuga placato da aperture verso l’esterno, con tradimenti della durata di una sola notte. A nulla pare servire anche il diversivo dato dalla presenza di due adolescenti figli di un’amica storica, che cede volentieri loro la prole certa che i due sapranno cavarsela egregiamente. Özpetekincornicia ancora una volta la storia di una coppia e di una famiglia differente e al tempo stesso molto attuale, dove la cura degli interni, il legame fatto di amicizie e rapporti umani la fanno come sempre da padrone. Una trama quindi comune ad altri sforzi del regista d’origine turca, a cominciare da Saturno Contro, ma una narrazione che ancora una volta riesce a stupire per come amicizia e amore possano essere declinati sempre sotto una nuova luce, difatti il vero distinguo in tal caso lo fa un’esplorazione dell’animo umano che passa attraverso lo sguardo non certo disincantato di due ragazzi cresciuti in situazioni di fortuna e che finalmente nella coppia composta d’Arturo e Alessandro trovano una famiglia capace d’accoglierli. Menzioni particolari per Stefano Accorsi, capace d’incorniciare alla perfezione l’intellettuale con problemi d’insoddisfazione professionale e per Barbara Alberti, nel ruolo di una madre mefistofelica e molto ben caratterizzata. Una pellicola che piacerà decisamente molto a chi crede in nuove possibilità e in un domani carico di nuove speranze.
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sergio ialacci
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lunedì 27 gennaio 2020
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il mestiere c è; la propaganda, pure.
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Si torna indietro nel tempo guardando questo ultimo film di Ozpetek, non tanto per gli ambienti, la fotografia ed i personaggi ormai interpretati dai medesimi "iconici" attori, quanto per quel senso di retorica propagandistica, che si avverte palesemente nel guardare questo lavoro. Ci sono tutti i canoni, niente sembra lasciato al caso. Epperò, da un regista intelligente come questo forse ci si aspettava una esposizione, seppur di parte, alquanto elegante e sottile, ovvero agli antipodi di quello che invece è stato fatto. Tra tutte, si arriva alla demonizzazione figurativa della famiglia tradizionale in un contesto problematico di adozione con la grottesca scena della nonna-orco; la Alberti, non a caso, è poi perfetta per il ruolo, strega quasi fiabesca.
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Si torna indietro nel tempo guardando questo ultimo film di Ozpetek, non tanto per gli ambienti, la fotografia ed i personaggi ormai interpretati dai medesimi "iconici" attori, quanto per quel senso di retorica propagandistica, che si avverte palesemente nel guardare questo lavoro. Ci sono tutti i canoni, niente sembra lasciato al caso. Epperò, da un regista intelligente come questo forse ci si aspettava una esposizione, seppur di parte, alquanto elegante e sottile, ovvero agli antipodi di quello che invece è stato fatto. Tra tutte, si arriva alla demonizzazione figurativa della famiglia tradizionale in un contesto problematico di adozione con la grottesca scena della nonna-orco; la Alberti, non a caso, è poi perfetta per il ruolo, strega quasi fiabesca. A questa viene contrapposta la soluzione che deve "passare" come più normale, come l'amore omosessuale che salva i bambini e che quindi è capace - più di tutti - di garantire un lieto futuro ai pargoli. Si arriva ai buoni e i cattivi per la causa, e senza tanti complimenti: a mio avviso, caduta di stile notevole per un regista di questo spessore. Rimane un lavoro ovviamente ben strutturato, con attori bravi ma che cominciano a soffrire dei medesimi ruoli nei medesimi film. C'è il contesto, ma anche, e soprattutto, bassa propaganda.
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lucky italian movies
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giovedì 28 maggio 2020
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miglior film italiano del nuovo millennio
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Cosa dire di più oltre al titolo e al voto? Storia profonda, coinvolgente, scene commoventi come lo sfogo di Arturo a Martina sul traghetto, con tutto il carico emotivo di un adulto che racconta i propri sogni, le ambizioni e i rimpianti ad una bambina e quest'ultima che risponde con la spiazzante naturalezza tipica dell'età, oppure quella in cui Annamaria legge il suo testamento, ma anche tante altre.
Un continuo susseguirsi di emozioni, di riflessioni, di immedesimazione nei personaggi, di gioia e sofferenza per le loro sorti e poi quel finale, quel bagno a mare liberatorio, consolatorio, con una nuova famiglia che nasce dopo la tragedia e forse un grande messaggio che Ozpetek ha voluto lasciare: l'amore per i bambini è universale e non guarda agli
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Cosa dire di più oltre al titolo e al voto? Storia profonda, coinvolgente, scene commoventi come lo sfogo di Arturo a Martina sul traghetto, con tutto il carico emotivo di un adulto che racconta i propri sogni, le ambizioni e i rimpianti ad una bambina e quest'ultima che risponde con la spiazzante naturalezza tipica dell'età, oppure quella in cui Annamaria legge il suo testamento, ma anche tante altre.
Un continuo susseguirsi di emozioni, di riflessioni, di immedesimazione nei personaggi, di gioia e sofferenza per le loro sorti e poi quel finale, quel bagno a mare liberatorio, consolatorio, con una nuova famiglia che nasce dopo la tragedia e forse un grande messaggio che Ozpetek ha voluto lasciare: l'amore per i bambini è universale e non guarda agli orientamenti sessuali di chi lo prova, può essere dato da una madre e un padre, ma anche da una coppia omosessuale! Da vedere e rivedere!
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felicity
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mercoledì 17 marzo 2021
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le molte direzioni in cui si imprigiona l''amore
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Un film civile. Un film militante. Ma soprattutto un film umano. Umanissimo. Senza tradire le proprie scelte di campo (anche qui, al centro del film c’è una coppia omosessuale), Ferzan Ozpetek lascia fuori campo un certo simpatico folclore gay d’antan per scavare dentro i nodi dell’amore, passionale e filiale insieme, e andare dritto al cuore: cosa conta davvero quando si ama? Che cosa si è disposti a mettere in gioco in nome dell’amore? Fino a dove si è capaci di rischiare?
Dietro un titolo vagamente antifrastico — la «dea fortuna» va letta come casualità, nel senso del destino che apre tante strade possibili senza indicarne davvero una — il film scava nelle molte direzioni in cui si può imprigionare il sentimento dell’amore, come per mettere alla prova chi lo usa come uno scudo, dietro cui difendersi o nascondersi.
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Un film civile. Un film militante. Ma soprattutto un film umano. Umanissimo. Senza tradire le proprie scelte di campo (anche qui, al centro del film c’è una coppia omosessuale), Ferzan Ozpetek lascia fuori campo un certo simpatico folclore gay d’antan per scavare dentro i nodi dell’amore, passionale e filiale insieme, e andare dritto al cuore: cosa conta davvero quando si ama? Che cosa si è disposti a mettere in gioco in nome dell’amore? Fino a dove si è capaci di rischiare?
Dietro un titolo vagamente antifrastico — la «dea fortuna» va letta come casualità, nel senso del destino che apre tante strade possibili senza indicarne davvero una — il film scava nelle molte direzioni in cui si può imprigionare il sentimento dell’amore, come per mettere alla prova chi lo usa come uno scudo, dietro cui difendersi o nascondersi. Senza mai scene madri ma ogni volta spingendo i personaggi a mettere in gioco quell’umanità che sola può aiutare a vivere davvero. E ad affrontare gli ostacoli con cui ogni rapporto — affettivo o sentimentale fa poca differenza — deve fare i conti.
Proprio come quelli che Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi) si trovano ad affrontare quando l’amica Annamaria (Jasmine Trinca), che vive a Palestrina, chiede loro di occuparsi dei suoi due figli senza padre, Martina (Sara Ciocca) e Alessandro (Edoardo Brandi). Per pochi giorni, giusto il tempo di fare qualche esame in ospedale e capire l’origine di certi noiosi mal di testa.
Compagni da quindici anni, i due adulti non stanno attraversando il miglior momento della loro unione: la passione è tramontata, le tentazioni sono all’ordine del giorno e vecchi risentimenti tornano a farsi sentire, come il rimpianto di Arturo per aver abbandonato una possibile carriera universitaria e aver seguito a Roma Alessandro, che invece esercita con soddisfazione il mestiere di idraulico. E quando nella loro vita entrano all’improvviso la preoccupazione per la salute di Annamaria (l’amica del cuore di Alessandro, all’origine del suo incontro con Arturo) e l’impegno quotidiano per i due bambini, ecco che l’equilibrio su cui si regge con qualche fatica il loro rapporto inizia a scricchiolare.
Ed è qui che Ozpetek (anche sceneggiatore insieme con Gianni Romoli e Silvia Ranfagni) mostra tutta la sua bravura, nel tratteggiare con giustezza e verosimiglianza il percorso verso una nuova assunzione di responsabilità affettiva. Non verso i due bambini, si badi bene, ma verso loro stessi, verso il loro legame. Che dovrà fare i conti non con la stanca routine di una coppia più o meno affiatata (come mostrano le prime scene, quelle della festa di un matrimonio altrui), ma con un nuovo aspetto dell’amore, una nuova e diversa scommessa.
Naturalmente il film non tralascia i colpi di scena, cui il prolungarsi delle analisi di Annamaria in ospedale costringerà le due «coppie», quella adulta e quella infantile. Entrerà in gioco anche la nonna dei bambini, una Barbara Alberti degna delle più temibili streghe dei fratelli Grimm, con la sua reggia semiabbandonata (la villa Valguarnera di Bagheria) e la sua opprimente volontà di potere. Ma diversamente dal passato, Ozpetek sceglie di resistere al romanzesco, salta i passaggi e gli snodi per andare diritto a quello che gli sta a cuore: la scoperta di un nuovo modo di amarsi, che non passa attraverso la tensione erotica (non c’è una sola scena di sesso. Anche questa è una prima volta) ma attraverso la riscoperta e la rivalutazione della tenerezza, dell’affetto familiare, del proprio ruolo di soggetti d’affetto e non di oggetti del desiderio.
Una conquistata maturità narrativa (non può essere un caso che Ozpetek abbia dovuto riflettere su qualcosa di simile, dopo la scomparsa del fratello) che riverbera anche sulla direzione degli attori e naturalmente sulla loro convincentissima prova. Dai ruoli «minori» (gli amici Pia Lanciotti e Filippo Nigro, lui segnato da una demenza senile che lei protegge con amore) a una giustamente malinconica Trinca, fino alla superba interpretazione di Accorsi e della «novità» Leo, la cui giustezza di tocco si fissa nella memoria. Fossero sempre così gli attori italiani.
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elgatoloco
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lunedì 27 gennaio 2020
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dea fortuna letteralmente intesa
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Questo"La Dea Fortuna"di Ferzan Ozpetek, anche come sempre cosceneggiatore(2019)è veramente il film della riconciliazione con la vita, nel senso della sua necessaria accettazione, à la Friedrich Nietzsche(amor fati)e non importa poi sapere se il regista turco naturalizzato italiano ne sia un appassionato cultore o meno. Certo è che"Fortuna"qui è letteralmente o meglio etimologicamente intesa, come la dea della srote, buona o cattiva che sia, mentre nelle lingue moderne, in specie in italiano, l'accezione del lemma sembra virare troppo facilmente solo verso la direzione postiiva: qui, nel film c'è una morte(l'attrice Jasmine Trinca interpreta molto bene il ruolo, come in quello della madre baronessa è più che notevole Barbara Alberti), i suoi due figli, un bambino e una preadolescente, rimasti orfani e una coppia composta da Alessandro e Arturo(non si dirà più"coppia gay"(insopportabile sem0lificazione dei sentimenti), anch'essa resa ottimamente da Stefano Accorsi e Edoardo Leo, che vive l'alternanza di affetti e rovesci sentimentali che caratterizza ogni coppia più o meno(qui siamo in questo secondo versante, in modo anche abbastanza deciso), c'è il pianto, il riso, la ribellione, contro l'avita dimora e l'avita anziana signora, resa appunto, irosamente(ma con sciuro humor)dalla scrttrice Alberti.
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Questo"La Dea Fortuna"di Ferzan Ozpetek, anche come sempre cosceneggiatore(2019)è veramente il film della riconciliazione con la vita, nel senso della sua necessaria accettazione, à la Friedrich Nietzsche(amor fati)e non importa poi sapere se il regista turco naturalizzato italiano ne sia un appassionato cultore o meno. Certo è che"Fortuna"qui è letteralmente o meglio etimologicamente intesa, come la dea della srote, buona o cattiva che sia, mentre nelle lingue moderne, in specie in italiano, l'accezione del lemma sembra virare troppo facilmente solo verso la direzione postiiva: qui, nel film c'è una morte(l'attrice Jasmine Trinca interpreta molto bene il ruolo, come in quello della madre baronessa è più che notevole Barbara Alberti), i suoi due figli, un bambino e una preadolescente, rimasti orfani e una coppia composta da Alessandro e Arturo(non si dirà più"coppia gay"(insopportabile sem0lificazione dei sentimenti), anch'essa resa ottimamente da Stefano Accorsi e Edoardo Leo, che vive l'alternanza di affetti e rovesci sentimentali che caratterizza ogni coppia più o meno(qui siamo in questo secondo versante, in modo anche abbastanza deciso), c'è il pianto, il riso, la ribellione, contro l'avita dimora e l'avita anziana signora, resa appunto, irosamente(ma con sciuro humor)dalla scrttrice Alberti. "Le vie c'est toujours amour et misères, la vie c'est toujours la me^me chanson"(La vita è sempre amore e miserie, èp sempre la stessa canzone)-Paul Fort dixit, da"Comme hier"e questo potrebbe essere un suggello al film di questo autore ormai tra i più importanti di quanto rimane di un cinema italiano che ha da tempo, a parte questi pochi film, perso la sua"spinta propulsiva"per usare un'espressione ormai consolidata in ambito politologico... invece. Intepreti azzeccati, sceneggatura ben scrtta, idea di fondo precisa, per non dire della location (Locus mortuorum, viene da dire)precisa e archittettoniucamente e in genere artisticamente più che adeguata. Uno di quei film difficili fa scordare,,, El Gato
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pintaz
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mercoledì 1 gennaio 2020
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come tutti...
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... è l'ultima frase che Annamaria, una delicata Trinca, dedica ad Alessandro e Arturo.
I personaggi interpretati da Accorsi, grande per misura e maturità, e Leo, semplicemente straordinario nel trovare quell'equilibrio tra la regia leggera e drammatica, sono una coppia che sta insieme da oltre 15 anni. Nel tempo la passione si è trasformata lasciando spazio a molteplici discussioni.
Un giorno Annamaria, migliore amica di Alessandro (solo?), lascia in custodia i due figli Martina e Alessandro e dà, senza volere, una svolta decisiva alla coppia attanagliata da una routine che avrebbe portato inesorabilmente alla separazione.
Alessandro e Arturo partoriranno una scelta drastica, folle ma talmente grande che solo un indissolubile legame può far compiere.
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... è l'ultima frase che Annamaria, una delicata Trinca, dedica ad Alessandro e Arturo.
I personaggi interpretati da Accorsi, grande per misura e maturità, e Leo, semplicemente straordinario nel trovare quell'equilibrio tra la regia leggera e drammatica, sono una coppia che sta insieme da oltre 15 anni. Nel tempo la passione si è trasformata lasciando spazio a molteplici discussioni.
Un giorno Annamaria, migliore amica di Alessandro (solo?), lascia in custodia i due figli Martina e Alessandro e dà, senza volere, una svolta decisiva alla coppia attanagliata da una routine che avrebbe portato inesorabilmente alla separazione.
Alessandro e Arturo partoriranno una scelta drastica, folle ma talmente grande che solo un indissolubile legame può far compiere.
Ecco il grande cinema di Ozpetek!
L'amore in tutte le forme che segna il destino di ognuno. Alla base della pellicola c'è l'esperienza del regista turco che aveva il fratello gravemente ammalato; la cognata chiese di occuparsi dei due nipoti insieme al proprio compagno.
Il film prende il titolo dal Santuario della Fortuna dedicato alla Dea che non indica solo la buona sorte ma la nostra reazione al caso che può sconvolgere la vita.
Non esiste attore che sia solo un protagonista. È un coro di voci uniche che rende il film davvero speciale. Tutti contribuiscono alla comprensione del sottile filo che lega il significato di tenerezza, forza di volontà e speranza.
Come ci dice Annamaria la Dea Fortuna è un segreto, un trucco magico. Come fai a tenere sempre con te qualcuno a cui vuoi molto bene? Devi guardarlo fisso, prendi la sua immagine, chiudi di scatto gli occhi, lì tieni ben chiusi. E lui ti scende fino al cuore e da quel momento quella persona sarà per sempre con te.
Appena terminato il film non ci si alza subito. Ci si rende conto come certi sassi che ci portiamo appresso siano solo il pretesto per la nostra debolezza. Se il primo pensiero, aprendo metaforicamente gli occhi, è anche per noi stessi allora potremmo dedicare, non solo a chi ci sta accanto, ma anche alle persone più care quella luce, il vero bagliore, che ogni giorno vivido e forte ci ricorda il significato della nostra vera esistenza.
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christian liguori
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mercoledì 29 gennaio 2020
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tra “realismo” e “simbolismo”: un film che fa bene all’anima
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L’inizio è la fine e la fine è l’inizio. Una sequenza nei primi minuti dal sapore macabro e spettrale, consequenziale anche alla misteriosa presenza di un individuo ignoto che inquadra, da dietro una macchina da presa, stanze oscure di una villa buia che sembra infestata da fantasmi, ma le urla finali della stessa sequenza da thriller sono reali, di umani. E s’interrompe poi improvvisamente lasciando spazio, per contrasto, all’esordio di una nuova e seconda sequenza completamente differente, gioiosa, allegra, festiva, come se si stesse nella medesima dimora, ma è evidente che è solo illusione, e quella di prima apparteneva a un passato evocato, raggelante, vero che infatti infine ritorna, e così verso la conclusione un’analoga sequenza, che rimanda a quella, ad un passato che, come spesso in effetti si verifica, si ripete tragicamente.
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L’inizio è la fine e la fine è l’inizio. Una sequenza nei primi minuti dal sapore macabro e spettrale, consequenziale anche alla misteriosa presenza di un individuo ignoto che inquadra, da dietro una macchina da presa, stanze oscure di una villa buia che sembra infestata da fantasmi, ma le urla finali della stessa sequenza da thriller sono reali, di umani. E s’interrompe poi improvvisamente lasciando spazio, per contrasto, all’esordio di una nuova e seconda sequenza completamente differente, gioiosa, allegra, festiva, come se si stesse nella medesima dimora, ma è evidente che è solo illusione, e quella di prima apparteneva a un passato evocato, raggelante, vero che infatti infine ritorna, e così verso la conclusione un’analoga sequenza, che rimanda a quella, ad un passato che, come spesso in effetti si verifica, si ripete tragicamente. Soltanto da questa premessa si potrebbe già cogliere la qualità estetica di un film come “La dea fortuna”, la commedia con la “C” maiuscola uscita lo scorso Dicembre 2019 nelle sale italiane e diretta da Ferzan Ozpetek, regista ormai consolidato e maturo. Ma c’è di più: coerentemente ai continui colpi di scena che sviano di continuo lo spettatore creandogli spasmi emotivi interiori di notevole portata, tali da “condannarlo” magicamente al costante pensiero di quel che ha potuto vedere in questo calibratissimo lavoro persino il giorno seguente, il regista qui sorprende pure se stesso, superandosi e superando l’ultimo suo prodotto artistico, “Napoli Velata”.
Sebbene uno dei due attori protagonisti, or dunque non Stefano Accorsi, ma Edoardo Leo, con la sua vis e il suo viso comico non riesca ad essere efficacemente credibile nei momenti drammatici ben presenti durante la visione, il film è un inno alla spontaneità e alla naturalezza come forse non si vedeva ormai nel panorama della commedia italiana da diversi anni.
A tal proposito, la seconda sequenza significativamente è girata con un cellulare: riprende il personaggio interpretato da Accorsi, calzante perfettamente nel ruolo dell’intellettuale freddo e frustrato, aggiudicandosi la palma vincente di migliore attore della pellicola, sempre però dopo i due bambini che possono diventare senz’altro una futura scommessa nel nostro panorama filmico nazionale, sempre più arido.
Vengono fuori le parole più banali perché adatte ad un momento conviviale come possa essere una festa, un ricevimento tra amici. Il bello, però, coerentemente con le continue sorprese che qui il regista ci regala è che spesso durante la visione siamo catapultati in immagini e riprese che richiamano volutamente quella stessa fatta col telefonino, con continui zoom e passaggi da un fuoco ad un altro. È o non è questa una splendida esaltazione anche visiva della naturale spontaneità la quale è “sceneggiata” durante tutto il film?
D’altra parte, la vicenda è ispirata ad una storia vera, e più reale di così non poteva restituircela un professionista della macchina da presa, nonché un maestro dell’equilibrata concertazione di tutti gli strumenti che consentono di produrre quella sinfonia che si chiama cinema. E stando alla prima affermazione, è per questo che la commedia non annoia mai, mentre tenendo conto della seconda è possibile dire che Ozpetek sia in grado di comporre un puzzle, a cominciare da una storia i cui tasselli si rivelano piano piano, per poi smontarsi e rimontarsi da sé fino a raggiungere quell’armonia che è magicamente racchiusa nella sequenza finale al mare, un quadretto di genuina poesia esistenziale, che dimostra quanto l’affetto e l’amore, se davvero prevalessero un po’ più spesso in ognuno di noi potrebbero renderci persone migliori e consentire l’emersione (altamente significativa la scelta di girarla in acqua) di quel bambino che un tempo eravamo e che ancora siamo, dentro, nel profondo. Ma l’armonia non è solo derivante da una sceneggiatura quasi perfetta, è anche visiva di certe scene che sono un contributo alla realizzazione di un collage che è opera di spontanea vitalità e riflessiva psico-presa di coscienza, tutto materia d’indagine di un’esistenza che, difatti, non è mai stata facile. Eppure, due anime innocenti, due piccole creature mature forti e indifese sembrano appartenere da sempre al destino dei due protagonisti, una coppia gay in crisi, che ritroverà la forza di ricominciare e amare grazie all’affetto, grazie all’amicizia, grazie a due bambini, e in una sola parola che le racchiude tutte e tre: grazie all’amore! Diverse scene nel corso del film, di giochi spensierati, ore di studio alternative e litigi devastanti dimostrano come quei due bambini possano essere ricondotti a simboleggiare una sorta di proiezione all’esterno della realtà interiore dei due protagonisti (che è anche la nostra, perché siamo tutti bambini), che solo quando verrà da loro con costrizione del destino (la dea Fortuna è anche questo) pienamente ascoltata, saranno capaci di cambiare quell’esterna, pur limitandosi ad accettare l’inevitabile e l’irreversibile processo “vita-morte” racchiuso nella perdita del loro “caro Cupido” che li ha fatti incontrare, la forza devastante dell’amore dalle mille e labili sfaccettature, che il Caso, la Fortuna, appunto, da dea vuole che siano così. Stiamo parlando della madre dei due bambini.
L’amore nelle sue mille componenti vince nel film, specialmente attraverso una moderna sublimazione del “Fanciullino” del poeta Pascoli, e pertanto, la sfera erotica della stessa forza universale resta giustamente in superficie, solo citata, nominata, riferita, perché nella sua genuina naturalezza “La dea fortuna” è una commedia pura. Perché, in fondo, tale è il nostro destino, crudele e buono, docile e violento, tenero e selvaggio, sintesi di opposti infiniti di cui solo a noi tocca scegliere da che parte stare.
Nella seconda parte della pellicola compare Barbara Alberti, nota maggiormente come scrittrice e sceneggiatrice, ottima nella resa d’un personaggio aristocratico, finto e formale, stonante tuttavia con tutto quanto finora descritto e visto prima della sua comparsa come nonna dei bambini nel film. Ma è personificazione del male, bugiardo ingannatore, doppia faccia di quella stessa dea Fortuna presente sin dal titolo, doppia faccia maligna da non evitare, ma affrontare, e così allontanare.
Una commedia così tesa in equilibrio tra “realismo” e “simbolismo” non poteva non accogliere tra i suoi caratteri fondamentali anche quello della sensibilità, che conduce spesso lo spettatore alla commozione, soprattutto quando il bambino ripete un gesto analogo a quello che gli aveva insegnato tempo prima uno dei due protagonisti (Edoardo Leo alias Alessandro), denso di metafora e pietà, tenendo anche conto dell’obiettivo sperato e non raggiunto, quindi infranto (almeno in quel momento) da parte del bambino.
Per non parlare poi della sensibilità adottata come strada maestra alternativamente alla denuncia sociale programmatica per comunicare finalmente e in conclusione di tutta questa meravigliosa storia che, analogamente a quanto ha dichiarato lo stesso regista di recente, “si è genitori dalla cintura in su!”. Insomma, qui è possibile ed opportuno azzardare che Ozpetek ha, attraverso una sola pellicola, innovato completamente il paradigma di fondo della vera Commedia all’Italiana, proponendo una via forse anche più efficace, sempre tenendo conto dei tempi che stiamo vivendo: ha cioè sostituito la poesia alla denuncia per condannare ugualmente un aspetto sociale contemporaneo molto forte e dibattuto, ossia il “problema” delle coppie omogenitoriali. Quindi, incredibilmente il regista si ispira alla realtà e propone un cambiamento della stessa facendo breccia nel cuore con l’arma più nobile per comunicare un messaggio di denuncia: l’arte, la poesia, la musica. Perché è rilevante assai anche la colonna sonora, che tocca livelli aulici ed emozionanti quando si sente cantare “Luna diamante” da un’icona della storia della musica italiana quale debba essere considerata Mina.
E, forse inconsapevolmente, nel tentativo di rinnovare con audacia ed efficacia i moduli stilistici della “Commedia d’oro”, Ozpetek non la stravolge del tutto, consapevole della sua importanza aurea nella storia del nostro cinema, e così inserisce all’interno del cast una serie di personaggetti vivaci e divertenti (l’infermiera su tutte) che sono una valida riproposizione in tempi moderni dei caratteristi che fecero grande il genere “magno” del cinema nazionale.
Pur subendo un rallentamento di montaggio nelle sequenze del viaggio e dell’arrivo in Sicilia (tentativo forse di rendere la visualizzazione di un viaggio dell’anima intorno a se stessa?), stando alla luce di tutte queste considerazioni, concludo affermando che “La dea fortuna” è uno dei capolavori del cinema contemporaneo, e non solo italiano: meriterebbe almeno una Nomination all’Oscar. Dubitando che questo possa accadere, sono però altrettanto sicuro che in futuro di un film che fa bene all’anima e al cuore non si potrà tacere: mai…
P.S- Fine la scelta del nome di “Lega lombarda” per la via presso cui risiede la coppia gay.
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tmpsvita
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martedì 24 dicembre 2019
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arriva dove vuole arrivare e un pochino più in là
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"La dea fortuna" nella sua corsa talvolta inciampa ma, nonostante ciò, riesce a raggiungere il traguardo a testa alta.
Non si tratta infatti di un film perfetto ma ha la fortuna e l'intelligenza di non avere la presunzione di pensare di esserlo, non sempre almeno.
Il problema di base è uno scontro interno tra il suo voler essere umano e vero e l'esigenza di creare qualcosa di estremamente cinematografico. Uno scontro che vive principalmente nella regia che si muove con eleganza tra gli spazi, non sempre facili da gestire sia per le dimensioni che per il numero di persone che li occupa, e che bilancia perfettamente i cambi di tono che il film richiede, spesso infatti si passa da atmosfere leggere e comiche più vicine alla commedia a toni più densi e profondi che invece sono propri del dramma.
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"La dea fortuna" nella sua corsa talvolta inciampa ma, nonostante ciò, riesce a raggiungere il traguardo a testa alta.
Non si tratta infatti di un film perfetto ma ha la fortuna e l'intelligenza di non avere la presunzione di pensare di esserlo, non sempre almeno.
Il problema di base è uno scontro interno tra il suo voler essere umano e vero e l'esigenza di creare qualcosa di estremamente cinematografico. Uno scontro che vive principalmente nella regia che si muove con eleganza tra gli spazi, non sempre facili da gestire sia per le dimensioni che per il numero di persone che li occupa, e che bilancia perfettamente i cambi di tono che il film richiede, spesso infatti si passa da atmosfere leggere e comiche più vicine alla commedia a toni più densi e profondi che invece sono propri del dramma. Passaggi sempre ben calibrati mai netti che si percepiscono in maniera sorprendentemente organica.
Regia che però, vuoi per motivi estetici, artistici vuoi per motivi di virtuosismo registico, in due o tre occasioni cade nella banalità di scegliere di arrivare a trasmettere le emozioni in maniera più cinematografica, artificiosa, ovvero attraverso la via più semplice, si arriva così alla classica scena del ballo sotto la bioggia tra sorrisi e sguardi, al ricordo dell'appuntamento al bagno al mare.
Scene tutto sommato ben realizzate e anche se vogliamo efficaci ma che vanno in contrasto con lo spirito con il quale tutto il resto si muove, basato sulla più pura semplicità dei sentimenti, degli errori, dell'amore, sui piccoli ma grandi fenomeni della vita quotidiana come uno sguardo, un tocco o un sorriso. Uno spirito che spinge specialmente in sceneggiatura, anch’essa però vittima del solito problema, ad un approccio più viscerale e umano che cerca di rendere il tutto il più credibile possibile, soprattutto nei dialoghi che scorrono perfettamente, senza essere ridondanti, pomposi o inutilmente decorati, arrivano all'essenziale dei concetti che per questo arrivano diretti e senza attrito; e nei personaggi ben caratterizzati, ricchi di sfaccettature, mai superficiali o dati per scontato.
Merito anche delle interpretazioni, in particolare quella di Edoardo Leo che si supera in un ruolo affatto semplice ma assorbito da lui con grande naturalezza, dando vita ad un'interpretazione emozionante, sentita e vera; ottima anche quella di Accorsi che risulta però leggermente meno a suo agio e naturale rispetto alla succitata controparte.
Merita uno speciale riconoscimento la piccola Sara Ciocca che spicca per il suo talento naturale, un vero prodigio che merita di avere in futuro diverse opportunità.
Alla fine bisogna ammettere che il film arriva dove vuole arrivare, coinvolge quanto basta per far arrivare le emozioni in maniera nitida e talvolta intensa ma soprattutto è un film che è stato capace di affrontare temi con coraggio, ma non quel coraggio vistoso, affatto con un coraggio semplice che è riuscito a rappresentare le cose nella loro reale normalità priva di pregiudizi, stereotipi, maschere, esagerazioni convenzionali, senza strumentalizzare né approfittarsi, con estremo rispetto, contegno e umanità. Ed è per questo che in realtà "La dea fortuna" si distingue e merita di essere visto.
7,5/10.
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