Citazioni colte, il divertissement e la camera a mano. Von Trier ricalca se stesso senza innovare. Recensione di Giancarlo Zappoli, legge Sean Cubito.
di A cura della redazione
Jack è un serial killer dall'intelligenza elevata che seguiamo nel corso di quelli che lui definisce '5 incidenti'. Jack ritiene che ogni omicidio debba essere un'opera d'arte.
Lars von Trier torna con il suo cinema in cui genio e follia si contendono lo schermo. Da sempre il regista si spinge a guardare in quell'oscurità nascosta nell'animo umano e, come sempre, non ha mezze misure: ci mette davanti all'orrore, al sangue, alla putrefazione della carne.
C'è questo e molto altro in un film che però fa risuonare un campanello d'allarme.
Von Trier rischia di diventare il manierista di se stesso: le citazioni colte, il divertissement con i cartelli sorretti da Dillon, lo stesso uso della camera a mano ricalcano, senza davvero innovarlo, il già visto.
In occasione dell'uscita al cinema de La casa di Jack, Sean Cubito interpreta la recensione di Giancarlo Zappoli.