Le donne e il desiderio

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Il desiderio motore della vita (e della storia) Valutazione 4 stelle su cinque

di ValterChiappa


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giovedì 1 giugno 2017

Il desiderio femminile, universo insondabile. Tomasz Wasilewski vi si addentra per provare ad esplorarlo e descriverlo. Lo fa ponendosi nel cono ottico di tre donne.
Agata (Julia Kijowska) è irresistibilmente attratta da un giovane parroco. Lo osserva, lo pedina, sviluppa fantasie erotiche, accumula una tensione insostenibile, che nel fallimentare rapporto col marito diventano sesso focoso ed asettico o rancoroso gelo.
Iza (Magdalena Cielecka) è un’algida direttrice scolastica; quando il suo amante diventa vedovo reclama un ruolo ufficiale, ma viene rifiutata. La passione diventa allora ossessione ed infine desiderio di vendetta.
Renata (Dorota Kolak) è un’insegnante prossima alla pensione. Si invaghisce di Marzena (Marta Nieradkiewicz), una giovane vicina con aspirazioni artistiche. Farà di tutto, inventando anche sotterfugi, per attrarre le sue attenzioni e cercare un contatto con il suo corpo.
Nonostante la linearità della narrazione, ridotta alla semplice esposizione delle situazioni con una minima evoluzione dei fatti, “Le donne e il desiderio” ha una spessa stratificazione.
Innanzitutto la teorizzazione del desiderio femminile, che appare completamente disgiunto dal suo oggetto, sempre inattingibile. Con esso Agata ha rapporti solo formali, che peraltro tende a rifuggire; Iza ne è respinta; Renata trova un muro invalicabile nella differenza d’età. Desiderio quindi come prodotto esclusivamente mentale, che cerca la reificazione nell’altro, mero schermo ove proiettarsi. Per contro il desiderio maschile, che appare incidentalmente, sembra segnato da un’imprescindibile violenza emergente dal corpo, per un corpo si accende e nello sfogo del corpo si esaurisce, in maniera assolutamente solipsistica. Emblematica la scena in cui un fotografo, fatta ubriacare Marzena, monta sul suo corpo addormentato per masturbarsi e cospargerlo di sperma.
In sintesi, per Wasilewski, è sul campo del desiderio che si concretizza nella maniera più drammatica l’incomunicabilità, che pervade il suo mondo ed il film. Le protagoniste, riunite nella scena iniziale intorno al tavolo, nel seguito si passeranno affianco senza più interagire: le loro storie, che nello svolgersi della pellicola si succedono in sequenza, in realtà procedono parallelamente senza sovrapporsi, nella medesima unità di tempo e di spazio.
L’ambientazione è in una Polonia agli inizi del rinnovamento democratico dei primi anni ’90. La collocazione storica fornisce un ulteriore piano di lettura. La nuova era si annuncia con i suoi simboli (cantanti pop, sceneggiati televisivi), che emergono chiassosi all’interno della rigidezza delle strutture sociali create dal regime comunista e dell’invariabilità dei riti del cattolicesimo. L’apertura alla cultura globalizzata quindi come l’irrompere del desiderio: un’emersione incontenibile, destinata a rompere gli schemi che hanno in qualunque modo garantito un equilibrio consolidato.
In questo parallelo è sottesa la severa critica storica del regista. Perché il desiderio può essere distruttivo: di sé stessi, come per Agata, condotta verso la disperazione esistenziale; del prossimo innocente, come esplicitamente mostra l’episodio di Iza. Ma l’orizzonte non è cupo: la scena in cui l’anziana Renata monda il corpo della giovane Marzena dalle tracce del desiderio maschile, nella sua poeticità, esprime comunque la speranza che l’energia vitale possa essere indirizzata verso un fine salvifico.
Il linguaggio stilistico adottato è coerente con i temi esposti, ma in modo innovativo e fortemente impattante. La fotografia di Oleg Mutu, grazie all’utilizzo di una spinta desaturazione dei colori, fa sì che essi sembrino emergere da un nitido bianco e nero. Il colore come il desiderio. La stessa regia di Wasilewski ha un elevatissimo contenuto tecnico: inquadrature perfettamente calibrate, di taglio pittorico; un intenso lavoro sul corpo, reso nella sua stereometria, in opposizione ad un gelido paesaggio scandito delle sagome squadrate dei palazzi dell’architettura sovietica; piani sequenza che seguono il convulso muoversi delle protagoniste nell’immobilità circostante.
Questa la forza del Desiderio. Può riempire di colore la nostra vita; oppure, diventato hybris, può distruggerla. A noi purificarlo da ogni violenza. Ed allora rinnoverà, vincerà il gelo, libererà dai lacci, donerà libertà.

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