luanaa
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domenica 5 marzo 2017
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molto costruito
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MI RIFACCIO ALL'OTTIMA RECENSIONE DI MAUMAUROMA, CHE SPIEGA MOLTO BENE LE SUE PERPLESSITA'. NON VOGLIO ESSERE TROPPO POLEMICA MA MI E' PARSO UN PHAMPLET CONTRO LA POVERTA' E LE INGIUSTIZIE BUROCRATICHE MA NON SOLO AD ESSA COLLEGATE, IN UNA SOCIETA' CHE NON CONSIDERA PIU' L'INDIVIDUO, LA PERSONA. DICIAMO CHE GLI INGREDIENTI CI SONO TUTTI MA FRANCAMENTE LA SCENA DELLA MENSA DOVE LA RAGAZZA APRE UNA SCATOLA DI SUGO E SE LA BUTTA GIU' E' FRANCAMENTE ESAGERATA COME LA SCENA DELLA BOMBOLETTA SPRAY. ARRIVIAMO ALE NOTE POSITIVE CHE HO VISTO. 1) LA COOPERAZIONE TRA GIOVANI E MENO GIOVANI, PROBABILMENTE TIPICA DELLA CULTURA INGLESE 2) LA NEVROSI DEL FIGLIOLETTO A CUI MANCA UNA FIGURA PATERNA DI RIFERIMENTO E CHE TROVA IN DANIEL.
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MI RIFACCIO ALL'OTTIMA RECENSIONE DI MAUMAUROMA, CHE SPIEGA MOLTO BENE LE SUE PERPLESSITA'. NON VOGLIO ESSERE TROPPO POLEMICA MA MI E' PARSO UN PHAMPLET CONTRO LA POVERTA' E LE INGIUSTIZIE BUROCRATICHE MA NON SOLO AD ESSA COLLEGATE, IN UNA SOCIETA' CHE NON CONSIDERA PIU' L'INDIVIDUO, LA PERSONA. DICIAMO CHE GLI INGREDIENTI CI SONO TUTTI MA FRANCAMENTE LA SCENA DELLA MENSA DOVE LA RAGAZZA APRE UNA SCATOLA DI SUGO E SE LA BUTTA GIU' E' FRANCAMENTE ESAGERATA COME LA SCENA DELLA BOMBOLETTA SPRAY. ARRIVIAMO ALE NOTE POSITIVE CHE HO VISTO. 1) LA COOPERAZIONE TRA GIOVANI E MENO GIOVANI, PROBABILMENTE TIPICA DELLA CULTURA INGLESE 2) LA NEVROSI DEL FIGLIOLETTO A CUI MANCA UNA FIGURA PATERNA DI RIFERIMENTO E CHE TROVA IN DANIEL.MA E' UN FILM DOVE I PROTAGONISTI NON FANNO CHE SUBIRE. IL MARXISTA LOACH COSTRUISCE UN CANOVACCIO DISPERATO PER DIMOSTRARE LE SUE TESI.. IL FUNERALE FINALE CON TUTTI I BUONI, IMPIEGATA COMPRENSIVA COMPRESA. FORSE LA PALMA D'ORO GLI E' STATA ASSEGNATA, PER FAR SENTIRE A TUTTI LA COSCIENZA A POSTO.
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degiovannis
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giovedì 19 gennaio 2017
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sulla dignità dell'essere umano
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Ha ragione Zappoli quando parla di mancanza di artificio, anche se la mancanza di artificio è a sua volta un artificio. Mi riferisco per es. all'assenza di musica in questo film, né tragica, né melanconica, nè romantica. La scelta d'altra parte si accompagna anche all'assenza di attori di grido che avrebbero potuto attirare il pubblico indipendentemente dal contenuto del film.
Il primo commento che mi è venuto alle labbra tutte e due le volte che ho visto il film (2 volte per verificare se la prima impressione poteve essere confermata) è stato una sola parola: asciutto! Infatti non si spreca una sola inquadratura e non si concede al gusto popolare nemmeno una sequenza.
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Ha ragione Zappoli quando parla di mancanza di artificio, anche se la mancanza di artificio è a sua volta un artificio. Mi riferisco per es. all'assenza di musica in questo film, né tragica, né melanconica, nè romantica. La scelta d'altra parte si accompagna anche all'assenza di attori di grido che avrebbero potuto attirare il pubblico indipendentemente dal contenuto del film.
Il primo commento che mi è venuto alle labbra tutte e due le volte che ho visto il film (2 volte per verificare se la prima impressione poteve essere confermata) è stato una sola parola: asciutto! Infatti non si spreca una sola inquadratura e non si concede al gusto popolare nemmeno una sequenza. Da questo punto di vista potrebbe ingenerare qualche sospetto il momento in cui la bimba va a casa di Daniel per pregarlo di farsi aiutare. Ma l'equilibrio con cui la scena è girata, la mancanza di retorica e l'assoluta aderenza al vero fanno di questa sequenza una delle più belle del film. Ebbene sì, ci può essere solidarietà tra gli esseri umani, a dispetto di tutte le filosofie politiche e sociali che oggi, nel mondo globalizzato, sovraintendono allla convivenza civile. La Gran Bretagna ha fama di essere un Paese ben governato (c'è sempre dietro l'esperienza imperiale che per ceri aspetti può giustificare perfino la Brexit), ma il prezzo è troppo alto e i costi sociali e umani troppo insopportabili per non porsi alcune domande sul senso della filosofia delle Società più sviluppate del pianeta.
Il messaggio di Loach è racchiuso nella lettera che Daniel aveva preparato per la Commissione che doveva esaminare il suo ricorso: una società che si rispetti dovrebbe essere composta da Cittadini e non da numeri.
Va da sé che il fatto che il film sia ambientato in Inghilterra non è un limite, perché di fatto tale situazione avrebbe potuto verificarsi con piccole sfumature di differenza in qualsiasi democrazia occidentale, cioè in teoria e secondo le statistiche, il meglio che possa esistere sulla Terra!
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sergio dal maso
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domenica 1 gennaio 2017
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la dignità di un cittadino in un film necessario
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In un momento storico in cui una famiglia su quattro ha un tenore di vita prossimo alla povertà o addirittura all’indigenza e al sud un cittadino su due rischia l’esclusione sociale per la mancanza di lavoro o per la precarietà salariale, Io Daniel Blake, l’ultimo capolavoro del maestro Ken Loach, non può che essere un film necessario.
Per la verità l’ottantenne regista inglese racconta storie di disoccupati, di lavoratori sfruttati e di emarginati da almeno cinquant’anni, sempre coerente con i suoi valori e intransigente con i principi di eguaglianza e di solidarietà per i quali è conosciuto come “Ken il rosso”.
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In un momento storico in cui una famiglia su quattro ha un tenore di vita prossimo alla povertà o addirittura all’indigenza e al sud un cittadino su due rischia l’esclusione sociale per la mancanza di lavoro o per la precarietà salariale, Io Daniel Blake, l’ultimo capolavoro del maestro Ken Loach, non può che essere un film necessario.
Per la verità l’ottantenne regista inglese racconta storie di disoccupati, di lavoratori sfruttati e di emarginati da almeno cinquant’anni, sempre coerente con i suoi valori e intransigente con i principi di eguaglianza e di solidarietà per i quali è conosciuto come “Ken il rosso”.
Il suo è certamente un cinema militante ma non nel senso ideologico, al centro ci sono sempre le persone, i loro sentimenti e le loro vite, immerse nella realtà di tutti giorni. Identità precise ribadite spesso fin nei titoli come in La canzone di Carla, My name is Joe o il precedente Jimmy’s hall.
Daniel Blake è un carpentiere sessantenne, senza figli e rimasto vedovo da poco. Suo malgrado deve chiedere l’invalidità al lavoro a causa di un infarto ritenuto inabilitante dai medici. Ottenere quello che è un suo diritto diventerà un calvario burocratico, una via crucis tra uffici di collocamento e agenzie privatizzate dove persone anziane o non sufficientemente scolarizzate sono umiliate e mortificate da procedure informatiche contorte e call center logoranti.
Ma Daniel Blake è un uomo tenace e orgoglioso, non accetterà di arrendersi, opponendo pazientemente la sua mitezza e la bontà d’animo all’arroganza della burocrazia. Nel suo peregrinare tra una pratica e l’altra conoscerà Kate, una ragazza madre con due figli piccoli, anch’essa in difficoltà economiche.
L’aiuto reciproco e la solidarietà di classe tra cittadini emarginati da uno stato sociale sempre più alienante ed escludente daranno a Daniel e Kate la forza di resistere, di continuare a credere in una possibilità di riscatto. La grandezzadi Daniel Blake è proprio quella di opporre la dignità e il rispetto verso se stessi alla disumanizzazione di un sistema tecnocratico dove le persone anziane rappresentano solamente dei costi da tagliare e i cittadini delle risorse da trasformare in profitti.
Come sempre il cineasta inglese lavora per sottrazione, la sua è una regia asciutta e lineare ma, al tempo stesso, assolutamente efficace e coinvolgente. Non c’è spazio per nessun pietismo né retorica.
Il suo cinema non si limita a descrivere il disagio e il dolore dei personaggi, li condivide e li metabolizza, amplificando così l’empatia che lo spettatore prova nei loro confronti. Nella loro semplicità alcune scene hanno una potenza emotiva enorme, si pensi a quando Kate perde il controllo al banco alimentare. I protagonisti non sono solo realistici, sono quasi reali.
Ken Loach e il sodale sceneggiatore Paul Laverty per scrivere la storia hanno frequentato a lungo le agenzie di disoccupazione, le mense dei poveri e i centri di assistenza, conoscendo centinaia di persone in difficoltà. Gli attori non professionisti che fanno i volontari al banco alimentare, per esempio, lo sono davvero, e gli impiegati dei centri di collocamento vi hanno lavorato realmente, salvo poi licenziarsi per il disagio nel rispettare i compiti assegnati.
Davvero bravissimi i due attori protagonisti. Dave Johns nella vita fa il comico nei cabaret di Newcastle, riesce quindi a trasmettere al personaggio anche una dose di amara ironia. Hayley Squires invece è un’attrice teatrale, disoccupata all’epoca del film, cresciuta in una famiglia proletaria.
In una storia apparentemente senza speranza non si può non affezionarsi alla dignità dei protagonisti e alla solidarietà dei tanti gesti quotidiani - anche dei personaggi minori - in cui l’umanità, malgrado tutto, resiste.
Si esce scossi e commossi alla fine del film. Sarà difficile dimenticare Daniel Blake, la sua storia e le sue toccanti parole: “Non sono un cliente, né un consumatore. Non sono uno scansafatiche, uno scroccone, un mendicante e neanche un ladro, non sono un numero di previdenza sociale e neanche un bip sullo schermo di un computer. Ho fatto la mia parte fine all’ultimo centesimo, e ne sono orgoglioso. Non accetto né chiedo carità. Sono una persona, non un cane. E come tale chiedo che mi siano garantiti i miei diritti. Chiedo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino. Niente di più, niente di meno. Grazie.”
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francesco izzo
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domenica 27 novembre 2016
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un film semplicemente stupendo
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E' un film stupendo. Dopo aver annunciato che Jimmy's Hall sarebbe stato il suo ultimo film, Ken Loach torna invece alla grande sul grande schermo per raccontarci la storia di ordinaria follia di un povero falegname cardiopatico letteralmente schiacciato dalla cieca burocrazia di una cittadina dell'Inghilterra contemporanea.
Bellissima e commovente la storia, toccante la magistrale interpretazione dei protagonisti. Sono al solito curati i minimi particolari, e ci sono scene (la povera donna fuggita da Londra che apre la scatola di fagioli alla Banca del Cibo, l'umanità persino del direttore del Supermarket in cui ha rubato, il rapporto che si crea tra il falegname, la donna e i suoi piccoli figli, le parole scritte nell'ultima lettera del falegname e tante altre) che davvero toccano il cuore e fanno capire allo spettatore di non essere solo ad indignarsi per certe vergogne della società attuale.
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E' un film stupendo. Dopo aver annunciato che Jimmy's Hall sarebbe stato il suo ultimo film, Ken Loach torna invece alla grande sul grande schermo per raccontarci la storia di ordinaria follia di un povero falegname cardiopatico letteralmente schiacciato dalla cieca burocrazia di una cittadina dell'Inghilterra contemporanea.
Bellissima e commovente la storia, toccante la magistrale interpretazione dei protagonisti. Sono al solito curati i minimi particolari, e ci sono scene (la povera donna fuggita da Londra che apre la scatola di fagioli alla Banca del Cibo, l'umanità persino del direttore del Supermarket in cui ha rubato, il rapporto che si crea tra il falegname, la donna e i suoi piccoli figli, le parole scritte nell'ultima lettera del falegname e tante altre) che davvero toccano il cuore e fanno capire allo spettatore di non essere solo ad indignarsi per certe vergogne della società attuale.
Il regista inserisce ( a ragione) anche computers e smartphones nella fretta e nell'imbarbarimento dei rapporti attuale, e ci rappresenta nella loro essenza ridicol-tragica workshops (obbligatori) sui curricula, questionari, sanzioni e follie burocratiche varie.
Un capolavoro. Palma d'oro a Cannes strameritata.
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riccardo tavani
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sabato 26 novembre 2016
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la bomboletta di daniel contri il muro dello stato
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Serena l’arte e tremenda la vita: in questo contrasto si può riassumere la forza di I, Daniel Blake, il film che strappa la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2016.
La serenità è nella forma che l’autore conferisce alla sua opera. Alle inquadrature, alla sequenza delle scene, al montaggio, ai dialoghi. Tutto scorre sullo schermo di luce pulita, con toni drammatici, cromatici e acustici discreti, ma proprio questo fa salire meglio – poco alla volta e da dentro l’immagine stessa – la tremenda crudeltà amministrativa dell’assistenza sociale capitalistica, qui nella sua versione più formale, ossia più squisitamente british. Una scelta stilistica, quella di Loach, che gli consente una tale internità alla realtà da sfumare davvero i confini tra questa e il cinema, come mera riproduzione fotografica esterna.
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Serena l’arte e tremenda la vita: in questo contrasto si può riassumere la forza di I, Daniel Blake, il film che strappa la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2016.
La serenità è nella forma che l’autore conferisce alla sua opera. Alle inquadrature, alla sequenza delle scene, al montaggio, ai dialoghi. Tutto scorre sullo schermo di luce pulita, con toni drammatici, cromatici e acustici discreti, ma proprio questo fa salire meglio – poco alla volta e da dentro l’immagine stessa – la tremenda crudeltà amministrativa dell’assistenza sociale capitalistica, qui nella sua versione più formale, ossia più squisitamente british. Una scelta stilistica, quella di Loach, che gli consente una tale internità alla realtà da sfumare davvero i confini tra questa e il cinema, come mera riproduzione fotografica esterna.
Sereni, luminosi, puliti, garbati, sono anche i personaggi messi in scena da Loach. Daniel Blake, un anziano, provetto carpentiere di Newcastle, che ha subito un infarto proprio sul cantiere e ora non può riprendere il lavoro. Daisy, una giovane donna ridotta sotto la soglia di povertà, appena arrivata da Londra con due figli, per un appartamento che le è stato assegnato dall’assistenza sociale. L’avversario tremendo di questi semplici e onesti cittadini inglesi è proprio chi dovrebbe sostenerli nel momento di maggiore bisogno: il servizio di assistenza sociale, lo Stato.
Ricordiamo che lo Stato moderno nasce teoricamente proprio per difendere i cittadini da ciò che minaccia la loro vita. La mancanza di reddito mette radicalmente in forse la possibilità di sopravvivenza delle persone. Dalla perdita del lavoro, alle crisi bancarie e finanziarie, molti sono i fattori che oggi privano di reddito le persone e minacciano direttamente la loro vita. Il Welfare State, lo stato sociale, come forma di sostegno che un Paese deve offrire ai suoi cittadini nasce proprio in Inghilterra, in Europa, a seguito dei conflitti sociali e politici dello scorso secolo. Oggi anche questa forma sociale è messa in discussione, giorno per giorno sgretolata, smantellata, e così lo Stato dalla protezione che dovrebbe garantire, diventa la minaccia più grave nei confronti dei singoli e della collettività. Minaccia più grave perché contro di essa, contro la forza immane del Leviatano di Stato non c’è difesa.
Nell’ordine della cifra stilistica che connota tutto il film, Loach ci fa sentire sulla pelle come questo Moloch non si presenti nelle vesti della brutalità, della prepotenza e del sopruso più appariscente. No, esso si esemplifica nei modi del mondo amministrato, di un muro inaccessibile, sordo, cieco, impassibile. Di un sottile stillicidio di crudeltà – che assumono oggi anche la forma elettronica computerizzata – calibrate per far soccombere lentamente ma inesorabilmente l’individuo. Lo Stato viene così sollevato anche dall’incombenza dell’eliminazione materiale della persona, provvedendo essa stessa ad auto-eliminarsi in modi diversi, dagli espedienti variamente illeciti per sopravvivere alla prostituzione, al proprio improvviso crollo finale.
Serena è l’arte di Ken Loach ma non il senso di giustizia la cui mancanza ci fa sentire come un dolore lancinante, insopportabile, ché basta appena bisbigliarlo, scriverlo con una bomboletta su un muro per ricordarci che le persone hanno un nome e un cognome e l’anonima spietatezza dello Stato non può schiacciarle.
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vincenzo ambriola
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lunedì 14 novembre 2016
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un'imprevista ordalia
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Daniel Blake ha avuto un infarto e da quel momento deve interagire con la burocrazia britannica per ottenere un assegno di invalidità. Le sue vicende kafkiane sono un pretesto per affrontare il tema della povertà, dell'emarginazione, dell'ottusità della burocrazia. Il film scorre veloce, senza usare argomenti demagogici ma mostrando il lato umano di chi si trova a dover affrontare un'ordalia che non aveva previsto. Difficilmente traslabile nel contesto italiano, dove non esiste una vera assistenza alle persone senza lavoro, ci illumina su un futuro prossimo assai probabile.
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guazza da semifonte
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lunedì 14 novembre 2016
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i nuovi schiavi: se la prevenzione sociale evapora
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Ken Loach, l'ottantenne regista britannico, stante l'età, non si tira mai indietro, memore delle sue origini di figlio del popolo, se c'è da denunciare le ingiustizie, le storture, le prepotenze che questa nostra società dal neoliberismo imperante perpetra, giorno dopo giorno, nei confronti degli ultimi, dei più indifesi fra i cittadini. In "Io, Daniel Blake" affronta il tema del crescente, silenzioso venir meno delle coperture dell' assistenza sociale nei riguardi delle classi più umili, quelle, per intenderci, figlie d' un secolo e mezzo di dure e sovente sanguinose lotte operaie. E lo fa ambientando la vicenda in un'Inghilterra relegata in un secondo piano, quasi sfocata, nella provincia più provincia, su al nord, a Newcastle quasi ai confini con la Scozia.
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Ken Loach, l'ottantenne regista britannico, stante l'età, non si tira mai indietro, memore delle sue origini di figlio del popolo, se c'è da denunciare le ingiustizie, le storture, le prepotenze che questa nostra società dal neoliberismo imperante perpetra, giorno dopo giorno, nei confronti degli ultimi, dei più indifesi fra i cittadini. In "Io, Daniel Blake" affronta il tema del crescente, silenzioso venir meno delle coperture dell' assistenza sociale nei riguardi delle classi più umili, quelle, per intenderci, figlie d' un secolo e mezzo di dure e sovente sanguinose lotte operaie. E lo fa ambientando la vicenda in un'Inghilterra relegata in un secondo piano, quasi sfocata, nella provincia più provincia, su al nord, a Newcastle quasi ai confini con la Scozia. Ci sono nazioni, infatti, che vivono due realtà diverse, quella della megalopoli, sia essa Londra, o Parigi o New York, e quella del resto, della campagna, dei paesi , delle comunità montane e sono realtà incredibilmente lontane anche se vivono fianco a fianco, due mondi di due universi distinti e non dello stesso. La prima, però, ha pressoché l'esclusiva dei mezzi di comunicazione e dunque si fa conoscere, fa bella mostra di sé e si promuove e si autocelebra, finendo col sovrapporsi all'altra, con lo schiacciarla, col relegarla sempre più sullo sfondo sino a farla scomparire del tutto, perché ai giorni nostri essere vuol dire apparire, farsi riconoscere con qualche segnale, non importa quale. Daniel Blake,vedovo sessantenne, ammalatosi di cuore, ha perso il lavoro e non ritenendolo i medici ancora idoneo a cercarsene un altro, si avvia a far domanda degli aiuti previsti per il suo caso. Viene, in tale miniera, a imbattersi con la terribile, immodificabile ed invincibile burocrazia telematica che avviluppatolo nei suoi formidabili tentacoli lo trascina nei gorghi d'un labirinto di procedure senza via d'uscita, dove ogni volta si torna al punto di partenza mentre il tempo passa e la situazione si degrada senza speranza, fra l'indifferenza inscalfibile degli addetti, irremovibilmente trincerati nella cittadella dell'infallibilità ed imparzialità delle macchine. Unico conforto è la solidarietà che può esercitare nei confronti d'una giovane madre, sola e disoccupata, esiliata con i suoi bambini da Londra col pretesto di assegnarle un alloggio: i poveri possono scalfire lo scintillio della città, meglio toglierli di torno, allontanarli dalla vista, ci sta che non ritornino, che magari spariscano del tutto. L'unica ed ultima speranza per gli ultimi è l'aiuto reciproco, la reciproca comprensione delle proprie miserie, delle proprie umiliazioni e sofferenze. Lo Stato si è oramai dileguato, si è fatto ombra inafferrabile per sempre maggiori strati di cittadini: il benessere di pochi bisogna pure che qualcuno lo finanzi. Di questi gran bel film chi sa quanti ce ne vorrebbero: dare voce a chi si vorrebbe far muto è pur sempre un nobile compito. Grazie Ken.
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enzo70
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domenica 13 novembre 2016
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un film che va dritto al cuore (del problema)
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Ed eccolo, qua, il solito Ken Loach che va dritto al cuore del problema, quello della gente ai tempi dell’austerità, con un film ambientato a Newcastle, ma che pone un tema attuale senza confini nell’Europa delle paure, da Amburgo a Salonicco, da Lione a Enna; la funzione sociale dello Stato si degrada dietro i tagli dell’efficientamento e persa nei gangli di una burocrazia fine a sé stessa. Daniel Blake è un cittadino europeo, il suo significato morale va certamente oltre la Brexit, pur essendone sicuramente causa. Un infarto lo rende inabile al lavoro, ma non può percepire l’indennità di disoccupazione, in quanto non sufficiente inabile. E quando la storia di Daniel si incrocia con quella di Daisy, una giovane donna con due figli, si entra nel cuore del problema della povertà del vicino di casa.
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Ed eccolo, qua, il solito Ken Loach che va dritto al cuore del problema, quello della gente ai tempi dell’austerità, con un film ambientato a Newcastle, ma che pone un tema attuale senza confini nell’Europa delle paure, da Amburgo a Salonicco, da Lione a Enna; la funzione sociale dello Stato si degrada dietro i tagli dell’efficientamento e persa nei gangli di una burocrazia fine a sé stessa. Daniel Blake è un cittadino europeo, il suo significato morale va certamente oltre la Brexit, pur essendone sicuramente causa. Un infarto lo rende inabile al lavoro, ma non può percepire l’indennità di disoccupazione, in quanto non sufficiente inabile. E quando la storia di Daniel si incrocia con quella di Daisy, una giovane donna con due figli, si entra nel cuore del problema della povertà del vicino di casa. Come al solito il racconto di Loach è asciutto, come asciutte sono le storie che racconta; ma il film è denso non solo per il taglio del regista, ma anche, e soprattutto, per le storie che si intersecano, a volte quasi accennate; e la solidarietà, obbligo dello Stato sociale, diventa una sorta di nenia cantata da alcune persone che non ne parlano, la praticano. Un film necessario in questo momento per riflettere sul problema della povertà che si sta allargando a macchia d’olio tra i cittadini europei; un tema che Loach racconta a modo suo, senza fronzoli e falsi buonismi.
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kleber
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domenica 13 novembre 2016
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e in italia? tutto bene?
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Questo film, visto in Italia, ci fa seriamente interrogare sul "fino a quando" può reggere il sistema sociale italiano, esposto ad ogni abuso, per di più esteso agli immigranti irregolari, con tutele e garanzie impensabili in Gran Bretagna, Paese dal quale importiamo modelli sociali, economici e culturali, senza parlare del vecchio impero USA e del nuovo impero Cina. Questo film è più incisivo di tanti "Report" o "Piazzapulite" nostrani. E quando crollerà lo Stato sociale italiano, non avremo nemmeno quella cornice di rigore protestante, ipocrita ma con una sua cruda coerenza. Da un punto di vista del cinema "sociale", impossibile non confrontare "Daniel Blake" con l'irreale e Placido "7minuti", ove il "sociale" è poco più che una scenografia per una pièce squisitamente teatrale.
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uno sguardo sincero
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giovedì 10 novembre 2016
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vittime dello stato
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La disumanità di una cieca ed esasperata burocrazia miete vittime ogni giorno, sorda alle voci di chi implora aiuto, indifferente e spietatamente impassabile davanti a chi non ne comprende la sua stupida e ferrea complessità.
Daniel Black è solo uno dei tanti che, vedendosi sbattuta la porta in faccia, bussa allo sfinimento in richiesta d'aiuto. Inutile dire che nessuno cercare di aprirla. Non sicuramente le istituzioni, che esigono il rispetto delle regole ma spesso non quello per le persone. Applicandole incondizionatamente sono irriflessive, non vedono l'uomo e mai potrebbero vederlo . Riecheggia allora "la banalità del male" di cui ci ha parlato la Arendt e di come la mostruosità che sta dietro "la normalità" dell'apparato burocratico sia capace delle più terribili atrocità.
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La disumanità di una cieca ed esasperata burocrazia miete vittime ogni giorno, sorda alle voci di chi implora aiuto, indifferente e spietatamente impassabile davanti a chi non ne comprende la sua stupida e ferrea complessità.
Daniel Black è solo uno dei tanti che, vedendosi sbattuta la porta in faccia, bussa allo sfinimento in richiesta d'aiuto. Inutile dire che nessuno cercare di aprirla. Non sicuramente le istituzioni, che esigono il rispetto delle regole ma spesso non quello per le persone. Applicandole incondizionatamente sono irriflessive, non vedono l'uomo e mai potrebbero vederlo . Riecheggia allora "la banalità del male" di cui ci ha parlato la Arendt e di come la mostruosità che sta dietro "la normalità" dell'apparato burocratico sia capace delle più terribili atrocità.
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