giovanni morandi
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mercoledì 12 febbraio 2025
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un padre prigioniero di un incubo
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Prima di dirigere grandi successi cinematografici come Arrival, Blade Runner 2049 e Dune, il regista canadese Denis Villeneuve ha fatto il suo esordio con questo "superbo" thriller, che, quando usci' fece conoscere ed apprezzare il suo regista, fino allora conosciuto solo "dagli addetti ai lavori"
Ve lo ripropongo, perché, in programmazione in questi giorni anche su Sky Suspense.
Questo film ruota attorno alla disperazione di un padre che cerca di ritrovare la figlia scomparsa, affrontando anche questioni morali complesse. La storia, all’apparenza semplice, che, secondo qualcuno sarebbe tratta da un fatto vero, si arricchisce di significati più profondi, trattando temi universali come la natura umana e le sue contraddizioni.
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Prima di dirigere grandi successi cinematografici come Arrival, Blade Runner 2049 e Dune, il regista canadese Denis Villeneuve ha fatto il suo esordio con questo "superbo" thriller, che, quando usci' fece conoscere ed apprezzare il suo regista, fino allora conosciuto solo "dagli addetti ai lavori"
Ve lo ripropongo, perché, in programmazione in questi giorni anche su Sky Suspense.
Questo film ruota attorno alla disperazione di un padre che cerca di ritrovare la figlia scomparsa, affrontando anche questioni morali complesse. La storia, all’apparenza semplice, che, secondo qualcuno sarebbe tratta da un fatto vero, si arricchisce di significati più profondi, trattando temi universali come la natura umana e le sue contraddizioni.
Una sceneggiatura ispirata a classici letterari
A scrivere la sceneggiatura di Prisoners è stato Aaron Guzikowski, già conosciuto per aver creato la serie Raised by Wolves. Il film si basa su un cortometraggio scritto anni prima e trae ispirazione, secondo "quelli più bravi di me", addirittura da "Il Cuore Rivelatore" di Edgar Allan Poe.
Dopo un lungo periodo in cui il progetto sembrava bloccato, l’interessamento di Villeneuve ha permesso la sua realizzazione, grazie al suo desiderio di cimentarsi con tematiche profonde.
La regia ha mirato fin dall’inizio a sottolineare come ogni personaggio sia, a suo modo, "prigioniero" di qualcosa.
Prisoners è stato uno dei film più acclamati dell’anno della sua uscita. Il direttore della fotografia, Roger Deakins, ha ottenuto una nomination all’Oscar per il suo lavoro nel creare le atmosfere cupe che caratterizzano il film.
La storia racconta le vicende terribili di Keller Dover (Hugh Jakman), un padre di famiglia della Pennsylvania, che si trova ad affrontare il rapimento della figlia di sei anni, Anna, e della sua amica Joy Birches. Le indagini, guidate dal Detective Loki (Jake Gyllenhaal), si concentrano su un camper sospetto e il suo proprietario, Alex Jones, una persona con ritardi mentali. Quando le prove si rivelano insufficienti per trattenere Alex, Dover decide di agire da solo, entrando in un tormentato e dolorosissimo viaggio che lo porterà a confrontarsi con gli aspetti più oscuri della sua personalità.
Il cast stellare del film
Il ruolo di Keller Dover è interpretato da Hugh Jackman, mentre Maria Bello interpreta sua moglie, Grace Dover. Nel cast troviamo anche Dylan Minnette come Ralph, il figlio maggiore dei Dover. Nel cast di prim ordine anche Terrence Howard e Viola Davis, ma, a parte la figura del detective, quella più azzeccata e profonda è quella di Jakman, nella parte di un padre ostinato e determinato, fino a mettere in serio rischio la sua stessa incolumità, ma non solo, anche lui "prigioniero" degli incubi peggiori.
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matteo manganelli
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domenica 17 novembre 2013
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solito thriller girato con grande mestiere
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Thriller dal ritmo posatissimo che racconta la scomparsa di due piccole bambine e le conseguenti indagini da parte del padre di una delle due e di un poliziotto. Prisoners è un buon film, c'è poco da dire. Il regista canadese Villeneuve desatura tutti i colori, non muove mai la macchina da presa (a meno che non sia proprio necessario) e dirige i suoi attori in maniera sobria, lasciando spazio alla loro bravura. E sono proprio regia e fotografia a rendere questo film veramente discreto, perchè, se mi fossi basato unicamente sulla sceneggiatura, non sarei andato oltre le 2 stelle.
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Thriller dal ritmo posatissimo che racconta la scomparsa di due piccole bambine e le conseguenti indagini da parte del padre di una delle due e di un poliziotto. Prisoners è un buon film, c'è poco da dire. Il regista canadese Villeneuve desatura tutti i colori, non muove mai la macchina da presa (a meno che non sia proprio necessario) e dirige i suoi attori in maniera sobria, lasciando spazio alla loro bravura. E sono proprio regia e fotografia a rendere questo film veramente discreto, perchè, se mi fossi basato unicamente sulla sceneggiatura, non sarei andato oltre le 2 stelle. Personalmente non ci ho visto tutti i messaggi velati che molta gente si è imposta di vedere all'interno di una pellicola classica, che risplende unicamente grazie al buon mestiere di chi l'ha girata. Tanto di cappello per la confezione, ma quello che c'è dentro il pacchetto è visto e rivisto. Consigliato agli amanti del genere.
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peninsula.eu
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giovedì 21 novembre 2013
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vietatissimo a donne e minori di 40 anni
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Durissimo, angoscioso, ho una figlia piccola, ho sofferto come un cane ...
Le due scene che mi sono piaciute di più:
1) quando Jake Gyllenhaal va a bussare a casa di un sospetto e, sull'uscio, gli fa alcune domande in tono apparentemente cordiale;
2) la geniale allusione anti-religiosa del regista che, a un personaggio centrale del film, fa confessare le proprie efferatezze col desiderio di vendicarsi contro Dio, per il male subito, sequestrando i bambini altrui e trasformando i genitori in diavoli.
Nessun accanito, coltissimo mangia-preti avrebbe potuto fare meglio.
VOTO: 7-
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sands
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giovedì 7 novembre 2013
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buon film!
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Non dirò molto su questo film. Godibile, con una buona durata che promette comunque di non stancare mai. Ottima recitazione per due attori che comunque apprezzo molto. Per quanto riguarda la trama secondo me niente di che, comunque ben costruita e con un finale soddisfacente. Buon film!
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germano f.
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domenica 10 novembre 2013
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il detenuto villeneuve
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Ci troviamo nella profonda, profondissima provincia americana con tutti i suoi equivoci e strumentali clichè. Due famiglie si ritrovano per festeggiare il giorno del Ringraziamento in serenità e amicizia, ma anche in una dignitosa e molto americana austerità. A un certo punto le due bambine più piccole spariscono, non si riescono più a trovare. Frenesia, angoscia e poi disperazione prendono sempre più piede nelle due famiglie scardinandone certezze e serenità. Le indagini vengono condotte da un poliziotto intelligente, esperto, affidabile, ma i risultati latitano. E il padre di una delle due bambine decide un colpo di mano : rapisce e tortura l'unico sospettato, un ragazzo ritardato e incapace di comprendere ciò che gli capita.
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Ci troviamo nella profonda, profondissima provincia americana con tutti i suoi equivoci e strumentali clichè. Due famiglie si ritrovano per festeggiare il giorno del Ringraziamento in serenità e amicizia, ma anche in una dignitosa e molto americana austerità. A un certo punto le due bambine più piccole spariscono, non si riescono più a trovare. Frenesia, angoscia e poi disperazione prendono sempre più piede nelle due famiglie scardinandone certezze e serenità. Le indagini vengono condotte da un poliziotto intelligente, esperto, affidabile, ma i risultati latitano. E il padre di una delle due bambine decide un colpo di mano : rapisce e tortura l'unico sospettato, un ragazzo ritardato e incapace di comprendere ciò che gli capita. Il regista Villeneuve da tutto questo tenta di produrre una critica, o meglio una metafora, della società americana, delle sue paure, delle sue fobie, delle sue scarne e, a volte, assurde certezze. Ma è evidente un certo imbarazzo, una certa difficoltà nel riuscire a produrre un'opera dalle molteplici sfacettature. La sceneggiatura a volte fatica, stenta a dare ritmo ad un thriller che vuole essere accattivante e simbolo della famiglia americana. L'idea delle molteplicità di reazioni alla tragedia che colpisce le due famiglie funziona fino a un certo punto : la personalità e la necessaria presenza di Keller fagocita tutti gli altri ( al punto che ad un certo punto ci si chiede che fine abbia fatto Maria Bello, che interpreta la moglie di Hugh Jackman). L'unico che sembra tenergli testa è il detective Loki (un ottimo Jake Gyllenhaal), ma anche qui la sceneggiatura non riesce a trovare momenti di reale confronto dialettico o di profondità psicologica. Il fulcro del film è il rapimento da parte di Keller dell'unico sospettato (Paul Dano), la segregazione e le torture che gli infligge, i dubbi dell'altro padre (Terrence Howard). L'idea di fondo è sicuramente quella di enfatizzare i dubbi che una simile azione porta in sè, soprattuto negli Stati Uniti post 11 Settembre, post Iraq, post Guantanamo. Ma l'operazione fallisce miseramente : le torture sono solo immaginate, mai realmente mostrate (una sorta di pudore o di autocensura per non urtare la sensibiltà del perbenismo americano); i dubbi di Terrence Howard e di Viola Davis (sempre comunque molto brava) sono solo accennati, mai approfonditi, appannati da lacrime e disperazione, non riescono di certo a confrontarsi con la granitica certezza di Keller, il quale può contare su una fede religiosa sconfinata e quasi ossessiva. Ma forse quello che più indispone di questa metafora è che alla fine il personaggio di Hugh Jackman ha ragione : il ritardato sa veramente dove sono le bambine, le convinzioni di Keller, le sue certezze, il suo istinto, sono stati più accorti, sono arrivati più lontani della razionalità del dective Loki (simbolo di intelligenza e di riflessività). In poche parole sembra che il film tenda ad enfatizzare questo tipo di pratiche, piuttosto che a condannarle. Villeneuve in questo fallisce, si allontana di migliaia di miglia dal suo capolavoro "La donna che canta", si perde sicuramente (e amaramente) in quelli che sono i dettami hollywoodiani e di commercializzazione di un prodotto che si è cercato di destinare ad un pubblico più ampio possibile. Il finale ne è l'esempio più eclatante e fa scivolare un film che fino a quel punto si era mantenuto su un precario equilibrio di profondità introspettiva e di azioni calibrate e coerenti. Le motivazioni di Melissa Leo sono quanto meno ridicole, quasi insulse. La lunga corsa contro il tempo di Jake Gyllenhaal cerca improvvisamente di dare ritmo ad un finale di per sè piatto e che non riesce a coinvolgere a pieno. Il suono del fischietto che attira l'attenzione del detective Loki nel finale conduce più al sorriso che alla speranza. Ci rimangono comunque alcune discrete intuizioni cinematografiche e qualche buona scena : la location innanzitutto, ottimo esempio di provincia americana nell'era Obama, la pioggia e il grigiore di un tempo metafora di una situazione disperata e senza luce, senza via di uscita (immensa prigione delle nostre angosce); il sorriso di Jake Gyllenhaal al momento dell'arresto del secondo sospettato; il modo in cui è vestito quest'ultimo; il personaggio di Keller, comunque ottimo esempio di americano medio di provincia post Bush. Ci rimane il titolo "prisoners" : prigionieri riferito alle bambine segregate, ai genitori prigionieri della loro disperazione e delle loro differenti, tragiche reazioni, del detective Loki, prigioniero di un lavoro sempre a contatto con angoscia e paure. Ma forse prigionero è stato lo stesso Villeneuve, rinchiuso nelle gabbie commerciali e di controllo delle grandi major : spero vivamente che faccia un passo indietro e ritorni a produzione più intime, ma più interessanti.
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(di hollyver07)
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des esseintes
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venerdì 8 novembre 2013
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brutto e cattivo
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E' fatto bene, recitato bene, troppo lungo ma insomma non è un prodotto discount. Però è brutto ma di un brutto tale che è evidente che debba essere intenzionale. Non è una amara tranche de vie, è il tentativo di persuadere con ogni mezzo gli spettatori che "il mondo fa schifo", "che il più pulito c'ha la rogna" e altri non profondissimi "topoi" del genere. E naturalmente in un contesto simile è ovvio che si finisca per dire che l'unico che in qualche modo abbia manenuto una parvenza di eticità e umanità è il rappesentante delle foze dell'ordine. Ovvio, perché per far passare il messaggio integralmente nichilista è necessario affermare che "l'uomo è in balia dei suoi istinti animaleschi" e l'unica salvezza viene "dall'ordine costituito".
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E' fatto bene, recitato bene, troppo lungo ma insomma non è un prodotto discount. Però è brutto ma di un brutto tale che è evidente che debba essere intenzionale. Non è una amara tranche de vie, è il tentativo di persuadere con ogni mezzo gli spettatori che "il mondo fa schifo", "che il più pulito c'ha la rogna" e altri non profondissimi "topoi" del genere. E naturalmente in un contesto simile è ovvio che si finisca per dire che l'unico che in qualche modo abbia manenuto una parvenza di eticità e umanità è il rappesentante delle foze dell'ordine. Ovvio, perché per far passare il messaggio integralmente nichilista è necessario affermare che "l'uomo è in balia dei suoi istinti animaleschi" e l'unica salvezza viene "dall'ordine costituito".
Quanti secoli sono passati dagli anni '70 del '900 e chi ha una certa età sa a cosa mi riferisco nella fattispecie.
Ma al di là della perdita dello spirito di ribellione in questo film c'è un'imperdonabile mancanza di umanità; il regista "giudica" in ogni inquadratura, ogni gesto viene rappresentato secondo la sua valenza di giusto e buono o sbagliato e cattivo, non c'è un sentimento o un moto dell'animo che dimostri la com/passione, l'immedesimazione, l'empatia la consapevolezza di condividere con i disgraziati soggetti del film la stessa umanità animalesca e violenta ma fragilissima e disperatamente impotente di fronte alla caducità della propria esistenza. Ma siamo nel XXI secolo e questo tipo di messaggi iper nichilisti sembra (stranamente...) diventato la regola, quasi un "tentativo organizzato" di impedire sul nascere il formarsi di un autentico ethos o senso di appartenenza o coscienza morale nato direttamente dal popolo. Sì, gli anni '70 sono lontani secoli e secoli.
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