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brian77
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giovedì 18 marzo 2010
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solito precotto
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Ozpetek è sempre stato un bluff. Il livello è quello di un buon prodotto televisivo, ma tutto è scontato, ovvio, banale. C'è una buona professionalità, quella sì, e permette al film di stare in piedi, risultando a volte anche divertente. Però è girato e raccontato come una serie tv ben fatta, è quella la sua dimensione: e i personaggi sono superficiali, rappresentano tutti qualcosa, anziché essere qualcuno...
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massimiliano morelli
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giovedì 18 marzo 2010
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negli occhi quella dolce morte dolce
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Dicono che l'ora blu sia quel particolare momento crepuscolare della giornata in cui c'è troppa poca luce per essere giorno e troppo poco buio per essere notte. Il derviscio di celluloide Ozpetek vi si poggia con l'ambigua delicatezza dei veli trasparenti e sanguigni del suo Sud, per tessere un film sapientemente blu, in cui la palese dominante cromatica è la stessa delle storie che si va a raccontare. Non ci sono vincitori, né vinti, e la buona morale per una volta non ha fissa dimora, né interessa sapere dove sia. L' apprezzabile sforzo di autoresettaggio di un proprio mondo e del proprio modo di fare cinema, sta nell'aver messo attorno ad una delle sue celeberrime tavolate un girotondo di maschere brillanti, che vagano leggere, senza enfatizzare, né imporre la direzione etica a lui storicamente più cara.
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Dicono che l'ora blu sia quel particolare momento crepuscolare della giornata in cui c'è troppa poca luce per essere giorno e troppo poco buio per essere notte. Il derviscio di celluloide Ozpetek vi si poggia con l'ambigua delicatezza dei veli trasparenti e sanguigni del suo Sud, per tessere un film sapientemente blu, in cui la palese dominante cromatica è la stessa delle storie che si va a raccontare. Non ci sono vincitori, né vinti, e la buona morale per una volta non ha fissa dimora, né interessa sapere dove sia. L' apprezzabile sforzo di autoresettaggio di un proprio mondo e del proprio modo di fare cinema, sta nell'aver messo attorno ad una delle sue celeberrime tavolate un girotondo di maschere brillanti, che vagano leggere, senza enfatizzare, né imporre la direzione etica a lui storicamente più cara.
La filigrana calda e splendidamente ocra del fondale, restituisce la giusta dimensione ad un meridione troppo spesso messo in scena con mitologia campagnola eccessivamente grossolana, e dischiude per una volta il sipario su di un target medio-alto borghese, ricco di fallimenti e contraddizioni.
Le azzeccatissime spruzzate sonore vintage, lasciano affiancano la storia nella sua corsa verso direzioni molteplici sia narrative che interpretative, come in una grande burla collettiva che si prende gioco delle tante tragedie personali pur in essa inscatolate.
Le voci confuse dell'esterno, di quei tutti "che sanno", lambiscono, feriscono, ma lasciano in una piacevole vaghezza il tormentato godimento della grande famiglia del pastificio Cantone. Una famiglia che è allargata nei volti, ma anche nel tempo, con un ripetuto rientrare in scena del rimpianto del passato, in forma di flashback e svariate fotografie.
A proposito di fotografia: splendida. Il sole che non tramonta mai e schizza sulle bianche pietre del Salento ci mette luce e colore, ma gli occhi da spettatore hanno tanta voglia di portarsi dietro quei primi piani sbilenchi in successione, che diventano deliziosi ritratti da incorniciare, rumorosi fermi immagine in movimento.
Per tutto il film si grattugia alla ricerca del vero destinatario e mittente della poetica delle mine vaganti. Ed è pur vero che sembrano tutti un po’, dalla zia Luciana pateticamente ninfomane, ai due fratelli frastornati dal dover fingere di tener nascosta l'evidenza, al papà che vede sbriciolarsi sotto i piedi l'impasto di una vita già canalizzata, fino ad Alba, forse la più delicatamente esposta alla mancanza di un reale premio di consolazione.
Ma poi c'è una scena che regala il vero tocco d’ autore al più solare e giocosamente mediterraneo dei film di Ozpetek.
La delicata eutanasia glicemica della nonna è una poetica rivendicazione di una vita spesa da mina vagante, sbagliando per conto proprio, ed orgogliosamente fiera di averlo fatto.
Fino all' ultima pasta. Questa volta, in senso dolciario.
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maxaquila
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giovedì 18 marzo 2010
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cinquantamila lacrime non basteranno perchè....
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"Gli amori impossibili sono quelli che durano per sempre" dice Scamarcio alla Grimaudo che, squadrandolo per bene da dietro quello sprofondo di nero dei suoi occhi, gli risponde "che fregatura..."
Ozpetek torna a toccare le corde vibranti dello sconvolgimento dell'armonia familiare: gli uomini non vedono ciò che le donne sentono, così che l'omosessualità dei due fratelli, già nota alla sorella così come intuita da madri, nonne e cameriere è invece una dura scoperta per il padre e per i due stessi fratelli, divisi dalla vita quanto uniti dalla nuova consapevolezza reciproca scaturita dal voler gridare al mondo la propria condizione.
Un contesto universale come l'estrema propaggine italica del Salento, drammaticamente bello quanto lontano, un cast di attori stupendo, dai più avvezzi come Ilaria Occhini ed il perfetto Ennio Fantastichini, ai più giovani Preziosi, Scamarcio e Grimaudo, belli e dannati tanto quanto bravi, passando per una autoironica e seducente Elena Sofia Ricci.
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"Gli amori impossibili sono quelli che durano per sempre" dice Scamarcio alla Grimaudo che, squadrandolo per bene da dietro quello sprofondo di nero dei suoi occhi, gli risponde "che fregatura..."
Ozpetek torna a toccare le corde vibranti dello sconvolgimento dell'armonia familiare: gli uomini non vedono ciò che le donne sentono, così che l'omosessualità dei due fratelli, già nota alla sorella così come intuita da madri, nonne e cameriere è invece una dura scoperta per il padre e per i due stessi fratelli, divisi dalla vita quanto uniti dalla nuova consapevolezza reciproca scaturita dal voler gridare al mondo la propria condizione.
Un contesto universale come l'estrema propaggine italica del Salento, drammaticamente bello quanto lontano, un cast di attori stupendo, dai più avvezzi come Ilaria Occhini ed il perfetto Ennio Fantastichini, ai più giovani Preziosi, Scamarcio e Grimaudo, belli e dannati tanto quanto bravi, passando per una autoironica e seducente Elena Sofia Ricci.
Un ambientazione tanto rurale quanto industriale, come solo un pastificio tradizionale può essere, in un divenire tra antico e moderno accompagnato da dejavù onirici commisti ad una colonna sonora che fa tornare alla mente gli altri film di questo appassionato regista.
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c-claudia
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mercoledì 17 marzo 2010
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quando leggerezza è sinonimo di grazia
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2010, Puglia. 2010, non 2000. Il duemila era l'anno della novità, era l'anno dove barriere europee, culturali, mondiali, almento idealmente, sarebbero dovute precipitare per dar spazio a libertà e anticonformismi vari. Un regredimento, quindi, quello che mestamente fa osservare il protagonista? Un regredimento verso la società ben compatta, verso il perbenismo, verso la paura di mettere il naso fuori se la gente dovesse chiacchierare troppo?
Tommaso è il figlio più giovane dei Cantone, un'agiata famiglia con tanto di cameriere che abita nella soleggiatissima Puglia. Sensibile e incompreso, sfugge al destino familiare che prende la forma di un pastificio rifugiandosi a Roma, zittendo remissivo la famiglia con la scusa dell'economia e commercio, assecondando combattuto la sua indole con una laurea in lettere e il sogno dello scrittore.
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2010, Puglia. 2010, non 2000. Il duemila era l'anno della novità, era l'anno dove barriere europee, culturali, mondiali, almento idealmente, sarebbero dovute precipitare per dar spazio a libertà e anticonformismi vari. Un regredimento, quindi, quello che mestamente fa osservare il protagonista? Un regredimento verso la società ben compatta, verso il perbenismo, verso la paura di mettere il naso fuori se la gente dovesse chiacchierare troppo?
Tommaso è il figlio più giovane dei Cantone, un'agiata famiglia con tanto di cameriere che abita nella soleggiatissima Puglia. Sensibile e incompreso, sfugge al destino familiare che prende la forma di un pastificio rifugiandosi a Roma, zittendo remissivo la famiglia con la scusa dell'economia e commercio, assecondando combattuto la sua indole con una laurea in lettere e il sogno dello scrittore. C'è un terzo, inoltre. A Tommaso piacciono gli uomini. E' omosessuale, orrenda parola che provoca l'orticaria (e un infarto, seppur lieve) addosso al padre dalla risata forzata, la faccia pulita ma la coscienza che si infanga quando sostituisce la solida moglie con una melensa adultera. Quando il giovane sta per decidersi a dare la sconcertante rivelazione, il fratello Antonio ne trae spunto, e rivela anticipandolo di essere anch'egli afflitto da quella grave, gravissima e impronunciabile "malattia". Ed è così che Tommaso è costretto a restare a vestire i panni di quello che non è, troppo altruista, o forse troppo spaventato, per farsi sbattere la porta in faccia dalla famiglia così perbene.
Ozpetek calca un tema delicato come quello della diversità con eleganza e leggerezza, non per questo banale o comica. Almeno, quasi mai. Il tormento interiore di un uomo non diventa un'angoscia drammatica ed esasperante, bensì un malinconico e pacato riflettere, senza incatenarsi egoisticamente in sé stessi, ma continuando a osservare i drammi di un fratello diseredato, di una zia cieca e alcolizzata e quelli di una ragazza segnata e sola.
La commedia all'italiana non sfocia così in un'esilaranza forzata né in una scadenza inutile (sorvolando sulle decisamente divertenti, ma altrettanto decisamente inappropriate gag degli amici di Tommaso), mantenendosi su un tono scorrevole e misurato, condito piacevolmente da tiepide battute, e portato avanti dal ritmo gentile e spontaneo di un cast italiano nel vero senso della parola, dalla straordinaria Lunetta Savino alla tristemente comica Elena Sofia Ricci, passando per la drammaticità fiera della Occhini fino a un inaspettato, piacevole Scamarcio.
I flashback silenziosi della giovane nonna che vaga nella Puglia con tutto il suo assolato splendore, la danza impacciata finale, la Occhini che, fiera e diritta, si trucca dinanzi a uno specchio nonché tante, delicatissime frasi quasi impercettibili, conferiscono al tutto una gradevolissima poeticità. Poeticità che continua nel, forse, più giusto senso di questo morbido, malinconico schiaffo alla società delle apparenze. La liberazione di sé stessi, dei propri sogni e del coraggio necessario a prendere la decisione di crearsi un destino pur incerto, come quello già programmato non lo sarà invece mai. Senza alcuna fremente o scenografica ribellione, è ovvio. E senza aver bisogno di precisare i gusti sessuali. Solo una caratteristica, come tante altre.
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angero
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mercoledì 17 marzo 2010
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segreti di famiglia
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Ozpetek con questo film, dimenticato l'inciampo di Un giorno perfetto, è ritornato a mostrarci la sua vena migliore di regista con la coralità di persone che -con i difetti, i segreti le ipocrisie- bene o male,con paradossi o realtà, rappresenta la vita quotidiana.
Ottimo nella scelta degli attori - grande Ricci etilista, dolce Savino capofamiglia,stupenda nonna Occhini, bella e brava Grimaudo, Fantastichini ottuso macho, espressivo Scamarcio - riprende il rito della grande tavola attorno alla quale vengono dette vere menzogne e false realtà.
Commedia triste o dramma leggero? Così è la vita di famiglia..........
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ross20
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mercoledì 17 marzo 2010
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da vedere
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Bel film, forse non originalissimo, ma interessante e - a tratti - davvero divertente (gli amici romani e il personaggio della zia-Elena S.Ricci...).
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thx1138
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mercoledì 17 marzo 2010
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mine vaganti: niente di nuovo dal fronte.
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La tranquillità dei Cantone, famiglia dell'alta borghesia salentina, proprietaria di un industria di pasta, viene irrimediabilmente infranta dall'annuncio dell'omosessualità del figlio maggiore,Antonio (Preziosi), nel bel mezzo di una cena di famiglia, anticipando il fratello Tommaso(Scamarcio)che nello stesso convivio avrebbe dovuto fare il medesimo annuncio: Antonio verrà estromesso dagli affari di famiglia e buttato fuori di casa,mentre suo fratello nasconderà i propri gusti sessuali, spaventato dalle reazioni clamorose della famiglia a seguito dell'annuncio di Antonio. Il nuovo film di Ozpetek non riesce a trovare quasi mai un degno equilibrio tra drammone e frivola commedia italiana di serie b: si passa con semplicità disarmante da struggenti conflitti interiori e passioni travolgenti a scene comiche degne de "Il vizietto" o nella peggiore delle ipotesi de "La moglie in bianco.
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La tranquillità dei Cantone, famiglia dell'alta borghesia salentina, proprietaria di un industria di pasta, viene irrimediabilmente infranta dall'annuncio dell'omosessualità del figlio maggiore,Antonio (Preziosi), nel bel mezzo di una cena di famiglia, anticipando il fratello Tommaso(Scamarcio)che nello stesso convivio avrebbe dovuto fare il medesimo annuncio: Antonio verrà estromesso dagli affari di famiglia e buttato fuori di casa,mentre suo fratello nasconderà i propri gusti sessuali, spaventato dalle reazioni clamorose della famiglia a seguito dell'annuncio di Antonio. Il nuovo film di Ozpetek non riesce a trovare quasi mai un degno equilibrio tra drammone e frivola commedia italiana di serie b: si passa con semplicità disarmante da struggenti conflitti interiori e passioni travolgenti a scene comiche degne de "Il vizietto" o nella peggiore delle ipotesi de "La moglie in bianco...l'amante al pepe" con Lino Banfi.Una marea di banalità e luoghi comuni ("siamo nel 2010 papà"),gag comiche già viste (il mormorio della Gente) o ampiamente preannunciate, fanno da sfondo a un dramma familiare e corale che sarebbe stato anche valido di per sè. Insomma al tema dell'omosessualità già trito e ritrito di questi tempi, non viene aggiunto nulla di nuovo o nulla che non sia stato già visto,mentre al contempo viene quasi esaltato in modo farsesco la versione di orgoglio gaio,per nulla politicamente scorretto, che da Ozpetek non ci si aspetterebbe. Una fantastica Ilaria Occhini (memorabile la scena del suo suicidio che richiama "La grande abbuffata") e una sorprendentemente brava Elena Sofia Ricci non riescono a riscattare un abulico e assente Scamarcio, un Fantastichini caricato all'eccesso e una Savino in formato "Medico in famiglia". Nel finale tutte le mine vaganti verranno magicamnte disinnescate e questo è davvero troppo conciliante, troppo facile, troppo corretto.
Ben confezionato, ben musicato in perfetto stile ozpetekiano e ottime le scenografie, anche se la salentinità non viene come al solito nè colta nè esaltata: i personaggi parlano a volte in barese, a volte in napoletano e troppo spesso in siciliano.
Di certo un'involuzione nel dramma umano e corale del cinema di Ozpetek.
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(di gio...)
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(di bearshunter73)
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olgadik
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mercoledì 17 marzo 2010
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incontaminata natura e naturali persone
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E’ probabile che il fascino delle pietre color oro morbido e dei tronchi espressivi e secolari degli olivi pugliesi, nonché lo smeraldo del mare, mi abbiano disposto a una visione da spettatrice emozionata e partecipe. Ma ciò non toglie che, secondo me, quest’ultimo, sia insieme al primo (Le fate ignoranti) uno dei film migliori del regista turco. Perché esso sembra autentico, scritto con naturalezza, anche con alcune pecche di sceneggiatura, magnifico nell’uso degli attori, commosso in quanto l’autore mostra anch’egli di aver ritrovato, nel farlo, qualcosa di profondamente suo. Tutto questo ce l’ha trasmesso con chiarezza e divertita ispirazione. Pur con qualche punta retorica, con qualche stonatura (la figura del padre simpaticissima è di un maschilismo anacronistico nel sud dei benestanti attuali), la narrazione svolge con disinvoltura e piena libertà mentale un tema impegnativo al di là dei momenti farseschi o volutamente scorretti sessualmente e sociologicamente.
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E’ probabile che il fascino delle pietre color oro morbido e dei tronchi espressivi e secolari degli olivi pugliesi, nonché lo smeraldo del mare, mi abbiano disposto a una visione da spettatrice emozionata e partecipe. Ma ciò non toglie che, secondo me, quest’ultimo, sia insieme al primo (Le fate ignoranti) uno dei film migliori del regista turco. Perché esso sembra autentico, scritto con naturalezza, anche con alcune pecche di sceneggiatura, magnifico nell’uso degli attori, commosso in quanto l’autore mostra anch’egli di aver ritrovato, nel farlo, qualcosa di profondamente suo. Tutto questo ce l’ha trasmesso con chiarezza e divertita ispirazione. Pur con qualche punta retorica, con qualche stonatura (la figura del padre simpaticissima è di un maschilismo anacronistico nel sud dei benestanti attuali), la narrazione svolge con disinvoltura e piena libertà mentale un tema impegnativo al di là dei momenti farseschi o volutamente scorretti sessualmente e sociologicamente. La tesi è semplice: nessuno può imporci o stabilire per noi che cosa vogliamo essere nella vita. Nostra la scelta, nostra la responsabilità. Tutto è legittimo, niente è anomale nell’essere se stessi, perché anche i disagi che i nostri desideri o comportamenti possono creare in altri a noi cari, non valgono l’amarezza, l’ipocrisia, la slealtà sostanziale dell’aver abdicato alla propria identità. La realtà, a cominciare da quella familiare, come Ozpetek ce la presenta, è sfaccettata, le storie di ognuno diverse, le pulsioni più autentiche spesso insondabili. Dietro apparenze e regole e perbenismo si celano drammi che possono portare ad eccessi che incrinano la facciata (la zia alcolista), a una saggia rassegnazione (la nonna che custodisce l’anima della famiglia), a un furore nascosto che corrode i sentimenti e rende difficili le relazioni (la giovane e bellissima Alba). Accanto a queste riflessioni c’è poi quella abituale per il regista sulle scelte omosessuali. Questa volta però, accanto ai dolori e alle tensioni generate dalla non accettazione dei genitori, l’autore non disdegna di dipingere anche il gruppetto “frocio”, preda di stereotipi come quello sulla lite per la maglietta da indossare, quello sulle competenze modaiole o sull’istinto al ballo sculettante. Egli dimostra così di essersi liberato, lui per primo, dalla paura di rappresentare un quadretto fuori regole, che ostenta le sue preferenze sessuali anche esagerando fino alla macchietta. Ma come negare che nella realtà esista anche questo? Della trama non anticipo nulla, visto che da uno svelamento iniziale prende il via tutta l’azione. Dico solo che questa volta si parte da una tavolata a famiglia riunita più il nuovo socio che amplierà il business del pastificio, visto che il padre vuole lasciarne la guida ai figli maschi che peraltro conosce molto poco. Chi ama questo regista sa che, posta in genere nel mezzo del racconto, una tavola apparecchiata non manca mai ed è un grumo di socialità attorno al quale si condensano o si sciolgono nodi di ogni genere. Le Mine vaganti non fa eccezione, poiché tutto comincia da una mina che sta per essere disinnescata. Per concludere, 8 alla musica e alla fotografia, 10 al cast interpretativo e alla sensibilità nel guidarlo di Ozpetek.
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johnny1988
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mercoledì 17 marzo 2010
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la miglior coralità di ozpetek
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Trovo che questa pellicola possa inserirsi come uno dei migliori capitoli nella filmografia di Ozpetek. Le mine vaganti del titolo sono le protagoniste di una storia che si bilancia sulla doppia polarità intima e corale, e dove gli antagonismi si toccano, "esplodono" e si annullano. Punto di partenza: una giovane donna che tenta il suicidio il giorno delle sue nozze e un giovane neolaureato, Tommaso, che dopo diversi anni fa ritorno nel Salento per dichiarare la sua omosessualità alla famiglia. Queste due sequenze accomunate dalla terra assolata della Puglia mettono a confronto due realtà tanto lontane in senso cronologico quanto vicine sul piano intimo. Il flashback iniziale infatti non è che un ricordo della nonna del protagonista, la quale non ha mai potuto coronare il suo sogno d'amore.
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Trovo che questa pellicola possa inserirsi come uno dei migliori capitoli nella filmografia di Ozpetek. Le mine vaganti del titolo sono le protagoniste di una storia che si bilancia sulla doppia polarità intima e corale, e dove gli antagonismi si toccano, "esplodono" e si annullano. Punto di partenza: una giovane donna che tenta il suicidio il giorno delle sue nozze e un giovane neolaureato, Tommaso, che dopo diversi anni fa ritorno nel Salento per dichiarare la sua omosessualità alla famiglia. Queste due sequenze accomunate dalla terra assolata della Puglia mettono a confronto due realtà tanto lontane in senso cronologico quanto vicine sul piano intimo. Il flashback iniziale infatti non è che un ricordo della nonna del protagonista, la quale non ha mai potuto coronare il suo sogno d'amore. Ed è la stessa nonna (il probabilissimo alter-ego dello spettatore) che sollecita il nipote a non sottrarsi alla felicità a favore delle convenzioni. L'amore che quindi non si può scegliere e neppure sradicare come "un albero dalla sua terra" è il vertice a cui puntano inevitabilmente i diversissimi personaggi di questo affresco agrodolce, dagli spunti talvolta virziniani: i genitori borghesi primordiali e ottusi, la cognata alcolizzata, le cameriere pettegole, gli amici effemminatissimi di Tommaso, il fratello, gay anche lui, che fa outing a tavola davanti a tutti in una delle scene più divertenti. E questi sono pochissimi fra i diversi protagonisti di questa vivace commedia. Il film non propone certo una riflessione profonda sui classici temi ozpetekiani dell' incomunicabilità e dell'accettazione, ma soffermarsi con uno sguardo dolce e quasi compassionevole su due mondi, quello altolocato borghese patriarcale, tanto ricco quanto comicamente ingenuo, e quello dei figli, ansiosi di realizzarsi. Lo stile di Ozpetek questa volta è più che mai armonioso e solare e prende il meglio dalla sua cinematografia: Il Bagno Turco (l'inquadratura su Scamarcio e Carmine Recano di spalle e coi parei non vi ricorda nulla?), il ruolo della pioggia, presente in modo sistematico nei film del regista, che metaforicamente incoraggia i personaggi a riverlarsi; le carrellate fluide sulla tavola, spesso luogo motore dell'intera azione e di serena - non sempre! - convivialità (si ricordi Fate ignoranti e Saturno Contro in primis). Poetiche le scene del "suicidio" bulimico della nonna e il finale risolutivo. La sceneggiatura è spumeggiante, ottima la colonna sonora che vanta fra i brani 50000 Lacrime e Pensiero Stupendo. Scamarcio convince - e sorprende! -con la sua elegante interptretazione.
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ciccioaffare
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mercoledì 17 marzo 2010
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ozpetek pungente e ironico. cast non all'altezza
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Mine Vaganti o petardi? Film di altri tempi che avrebbe incontrato un maggior elogio se interpretato da attori degli anni '50 come Totò e Peppino.. Il film non trasmette molta comicità per via degli attori stessi: ci hanno provato a divertirsi, ma pochi, forse solo i più sconosciuti, ci sono riusciti. Scamarcio mi sembra la peggiore scelta, ma forse la più commerciale per far vendere il film nelle sale. Tutto sommmato il film è gradevole anche se a tratti troppo pesante.. sembra più un film Drammatico che una Commedia.
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