
Quando la morte ti fa apprezzare la vita.
di Rudy Salvagnini
Il serial killer è un super uomo
Quando è uscito Saw - L'enigmista, il primo film di quella che sarebbe diventata una lunga serie, ha rappresentato quella rarissima che compare sugli schermi cinematografici solo al coagularsi di determinate circostanze fortunate: un'idea originale sviluppata con capacità.
Il film si inseriva in un filone già molto sfruttato e apparentemente giunto ai limiti dell'autoparodia: quello sui serial killer. Partito, in sostanza, subito con un classico insuperabile come Psyco, il sottogenere dei serial killer, tra opere più o meno legate alla realtà e all'attualità, sembrava aver esplorato ogni possibile combinazione e suggestione. C'erano stati altri film di qualità - basti pensare a Henry pioggia di sangue (sì, proprio quello immortalato da Nanni Moretti) - ma più spesso lo psicopatico assassino si era rivelato una scorciatoia per sceneggiatori pigri che non avevano che da trovare un trauma, anche assurdo ma preferibilmente infantile (in questo senso è imbattibile per insipienza quello dell'assassino seriale di Un grido nella notte, tardo film con lo psicopatico per eccellenza, Anthony Perkins) per imbastire una storia dando una motivazione al pazzoide di turno. L'alternativa, anch'essa altamente praticata, era quella di raccontare le imprese dei veri serial killer in film catacombali e cupissimi. Normalmente, le licenze sulla realtà erano parecchie - aveva cominciato Lo strangolatore di Boston, bellissimo film di Richard Fleischer che si era inventato un'inesistente schizofrenia per giustificare gli omicidi dello strangolatore (che poi forse, a leggere quanto si è scritto dopo, forse non era neanche quello giusto) - ma gli spunti offerti dalla cronaca erano tanti e tali da supplire a qualsiasi carenza di ispirazione e da superare ogni possibile travisamento.
La formula che però si era rivelata vincente era la commistione di elementi dalla realtà con altri scaturiti dalla fantasia degli sceneggiatori. In fondo, anche Psyco era, molto alla lontana, ispirato ai delitti di un vero serial killer, lo stesso che avrebbe poi, sempre molto alla lontana, ispirato Tobe Hooper per Non aprite quella porta. Il serial killer in questione, Ed Gein, ha ispirato anche l'interessante Deranged di Alan Ormsby e Jeff Gillen e ha avuto il suo biopic personale: Ed Gein. Il macellaio di Plainfield di Chuck Parello, dove Steve Railsback ne faceva un ritratto sin troppo dimesso, da quotidianità del male.
Ed Gein ha ispirato anche Il silenzio degli innocenti e qui il cerchio in qualche modo si chiude riportandoci a Saw. Questo perché Il silenzio degli innocenti introduce in modo netto la figura del serial killer come super uomo, un essere intellettualmente superiore che vede le sue vittime come inferiori. Hannibal Lecter non ha solo l'astuzia innata del serial killer proletario, ha anche la cultura, la convinzione, la capacità di prevedere le mosse altrui, la voglia di mettersi in gioco cercando qualcuno che gli sia se non pari, quasi. È un'ambigua - e anche per certi versi pericolosa - idealizzazione dell'omicida seriale. Saw - L'enigmista si è inserito in quest'ottica con un contributo originale, il movente: la vicinanza con la morte che dovrebbe far apprezzare la vita. Jigsaw, l'assassino, sta morendo e perciò sa quanto sia apprezzabile la vita. Certo, la sua dinamica psicologica, visto che ammazza a tutto spiano, non è proprio coerentissima, ma pur sempre di uno psicopatico si tratta.
Jigsaw alla fine ha sempre la meglio
Inoltre, il personaggio in sé ha caratteristiche di originalità che lo hanno reso un'icona riconoscibile quanto Freddy Krueger. La sua fragilità apparente cela una determinazione ferrea e le sue azioni hanno il margine dell'imperscrutabilità che si rivela preveggenza al momento dei fatti. Molte volte le sue vittime credono d'averlo beffato, ma devono sempre ricredersi perché loro non avevano calcolato tutto, ma Jigsaw sì. Tobin Bell, com'era avvenuto con Robert Englund, ha trovato quasi fuori tempo massimo l'occasione della sua carriera e l'ha colta in pieno, con una recitazione dimessa e sotto tono, lontana anche dagli efficacissimi manierismi flamboyant di Anthony Hopkins.
Oltre a tutto ciò, Saw - L'enigmista metteva in scena un meccanismo narrativo a orologeria che rasentava la perfezione e piazzava un ottimo colpo di scena alla fine di una storia ricca di tensione. Forse però la caratteristica vincente è stata porre l'accento sulla crudeltà dei meccanismi operativi di Jigsaw, il suo arzigogolato e barocco sistema di uccidere attraverso congegni terribili da novello De Sade tecnologico. Inutile dire che l'insistenza sulla tortura ha fatto proseliti e ha dato corpo a un fiorente sotto genere orrorifico, grazie all'imprevisto successo commerciale del film.
L'ampliamento dei confini con un tocco soap
Proprio quel successo ha reso anche "necessari" i seguiti che hanno ottenuto, almeno inizialmente, un successo ancora maggiore, a testimonianza della validità della formula. Questo successo ha anche premiato l'approccio diverso da parte degli autori nel pensare i sequel, mostrando l'apprezzabilissimo intendimento di non limitarsi a rigirare la frittata, ma cercando di far proseguire la storia ampliandone i confini via via, mediante l'aggiunta di personaggi, il ritorno di altri e in sostanza la creazione di una continuity in stile soap opera. Questo approccio ha funzionato sino a un certo punto, sinché non ha cominciato ad avvitarsi su se stesso, anche perché l'aver fatto morire Jigsaw pretendendo poi di averlo comunque al centro dell'azione ha creato qualche problema di credibilità narrativa risolto solo parzialmente da artifici come i flashback, i filmati, le registrazioni. I rivolgimenti e gli ampliamenti hanno cominciato a essere uguali a loro stessi e a perdere di significato: Amanda ha subito il carisma di Jigsaw ed è tornata in più episodi, ma lo stesso, per altri versi (più utilitaristici) è accaduto al detective Hoffman. Il meccanismo si è quindi sostanzialmente ripetuto, ma l'efficacia è diminuita perché la ripetizione ha dato luogo a un certo tasso di prevedibilità. E se lo spettatore comincia a intuire le cose prima che avvengano, si perde una delle caratteristiche migliori della serie e cioè la sorpresa. Nel percorso dei vari sequel, inoltre, il finale fulminante del primo episodio ha potuto trovare efficacia analoga solo nei primi seguiti, sostituito poi da una sorta di cliffhanger senza troppo impatto che sembra solo un trailer per l'episodio successivo.
Il quinto e il sesto capitolo hanno in questo senso dato segni di un'involuzione che sembra irreversibile. Ma più di questo per il destino della serie sembra significativo l'andamento del box office che, pur restando positivo per la saggia decisione di mantenere sempre contenuto il budget, è stato in forte calo per l'ultimo episodio. Il dato dimostra come la fidelizzazione attraverso la continuity funzioni solo fino a quando l'artificiosità non diventa troppo palese: un arco narrativo ha una sua vita naturale e allungarlo a dismisura può portare alla disaffezione del pubblico. Ciò non sempre avviene per le soap opera perché sono in onda quotidianamente e mantengono quindi sempre aperto il contatto con gli spettatori, mentre è più facile che avvenga in una sorta di serial ad ampio intervallo temporale come quello della saga di Jigsaw. È stato già comunque annunciato il settimo episodio: staremo a vedere.