Duplicity

L'agente K Gosling va alla ricerca del suo predecessore

Cominciamo da lontano poiché senza antefatto non si può seguire il sequel diretto dal canadese Denis Villeneuve, sensibile ai registri e ai codici di "genere" e già regista di bei film come La donna che canta, Sicario, Arrival. Quello che doveva essere un clamoroso riscatto si risolse per Philip K. Dick nella cristallizzazione della sua fama di maledetto, condizionato dalla dipendenza dalle anfetamine. Il prolifico autore di fantascienza non fece in tempo a vedere l'uscita del film di Ridley Scott Blade Runner nel 1982 poiché in quello stesso anno morì 54enne senza godere - anche finanziariamente: era addirittura finito a vivere da barbone - della risonanza e del successo (non immediatamente universale) del cult movie ispirato al suo romanzo del 1968 Do androids dream of electric sheep? (dove il "sognare pecore elettriche" evoca il fatto che nella Los Angeles distopica del racconto non esiste più vita vegetale né animale; e il fatto che ai "replicanti" non è dato possedere sogni propri e autentici). Il nodo centrale risiede nella possibilità di ricordare, amare e dunque anche soffrire come condizione per una vita vera e degna. In assenza di questi requisiti non è vera vita. Nel 2019 Los Angeles è una buia, sporca, fradicia accozzaglia di detriti e rovine. Chi può si trasferisce nell'extra mondo, e la Tyrell Corporation detiene l'esclusiva della produzione di replicanti. Soggetti non umani, programmati per una vita breve ma superdotata, lavoratori forzati e anzi schiavi ideali. L'imprevista rivolta di alcuni di loro cambia lo scenario e scatena la caccia. Devono essore localizzati e neutralizzati. Tra gli addetti al compito l'ex poliziotto Deckard (Harrison Ford), il migliore dei cacciatori di replicanti. Ma Deckard s'innamora di Rachael, replicante inconsapevole, e la protegge. Il capolavoro di Ridley Scott non ebbe una storia facile. Fu manipolato, montato, distribuito in diverse versioni. E doveva concludersi con il suggerimento che lo stesso Deckard fosse in realtà non umano, non dotato di memoria propria ancorché toccato dal cortocircuito dei sentimenti, ma replicante. È da questo dato acquisito che si parte trent'anni dopo, in Blade Runner 2049. Quando un poliziotto-cacciatore-schiavo di nuova generazione è incaricato di trovarlo e spegnerlo o "ritirarlo". Va da sé che si rinnovi e si riproponga la stessa dinamica. Della nostalgia del mistero e del miracolo della vita, quella che conosce felicità e infelicità. Ryan Gosling nei panni del neo-replicante senza nome "agente K" si confronta alla pari, per fissità e per statura iconica, con il predecessore (che in realtà appare poco). Le grandi intuizioni di design, di scenografia, di look dell'impasto vintage-avveniristico che tanto contarono per il culto dell'originale, sono state appunto già inventate allora. E il pur suggestivo e anzi fastoso impianto del sequel non aggiunge molto. Ritorna uno degli sceneggiatori, Hampton Fancher, e torna Scott come produttore esecutivo. Amara ironia: le innumerevoli traversie che impedirono a Scott di dare al suo film la durata che egli avrebbe voluto non hanno impedito al sequel di allungarsi oltre le due ore e mezza.
Da La Repubblica, 5 ottobre 2017


di Paolo D'Agostini, 5 ottobre 2017