Cina, l’addio alle fabbriche tra sogno e realtà
di Roberto Nepoti La Repubblica
Si aprono i cancelli di una fabbrica, gli operai ne varcano le porte per tornare a casa. Non si tratta dell’ “Uscita dalle officine Lumière”, capostipite della storia del cinema, ma di 24 City, film cinese in concorso. Questa volta, però, le porte si chiuderanno per sempre; come è successo realmente alla fine del 2007,quando la fabbrica militare 420 di Chengdu, città operaia modello, è sparita per lasciare il posto a un complesso residenziale di lusso. Il regista Jia Zhangke non avrebbe potuto trovare caso più emblematico per rappresentare le metamorfosi di una Cina, oggi, sospesa tra la nostalgia del vecchio socialismo e lepulsioni capitalistiche di nuove generazioni proiettate alla conquista del denaro e del successo personale.
La forma cinematografica adottata dal regista è. d’indubbia originalità. Potremmo chiamarla docu-fiction; in realtà, è qualcosa di più nuovo e di più complesso. Il film, infatti, si compone d’interviste, otto per la precisione; ma mentre cinque sono testimonianze di fatti reali, affidate ad altrettanti ex-operai, le tre rimanenti riguardano donne e sono del tutto immaginarie; fiction, insomma, però difficile a distinguersi dalla realtà. Non fosse che una delle intervistateè la star cinese Joan Chen nella parte di un’operaia nota per la sua somiglianza con l’attrice. Il regista ha ritenuto che sia questo il modo migliore per comprendere la storia cinese degli ultimi cinquant’anni, sospesa com’è tra fatti e immaginazione.
Da La Repubblica, 18 maggio 2008
di Roberto Nepoti, 18 maggio 2008