Solo due ore

Roberto Nepoti

Alla fine del suo turno alla stazione di polizia Jack Mosley, detective deluso, depresso e alcolizzato, si vede affidare un incarico imprevisto: scortare il detenuto Eddie Bunker fino al tribunale in cui il giovanotto deve rilasciare una testimonianza decisiva. Proprio quel che un gruppo di agenti corrotti vuole evitare; così il percorso, di soli sedici isolati, si trasforma in un inferno metropolitano pieno d'insidie, dove ogni angolo di strada può rivelarsi una trappola.
Il che non impedisce a Mosley di ritrovare in un colpo solo la dignità perduta, eleggendosi a paladino dell'incolumità del petulante delinquentello. Il finale di partita si gioca su un autobus pieno di passeggeri, assediato contemporaneamente da "cops" onesti e malvagi.
Specialista in poliziotteschi basati sulla coppia bianco-nero (la serie Arma letale), il veterano Richard Donner sa come si dirige un film d'azione alla maniera tradizionale, creando un'atmosfera di pericolo, giocando col fuori-campo e le sue risorse, percorrendo le vie trafficate della città (in realtà il film è ambientato a New York, ma girato a Toronto per ragioni di economia) con un sicuro senso dello spazio.
Per il resto, i personaggi sono unidimensionali e l'intonazione "politically correct" appare di pura maniera. Anche in versione baffuta, Bruce Willis continua a riuscire convincente nella parte del poliziotto stropicciato corpo e anima, ma col senso del dovere in perfetto ordine. Altro discorso per Mos Def, fuori posto come quasi tutti i colleghi rapper prestati al cinema.
Da La Repubblica, 31 marzo 2006


di Roberto Nepoti, 31 marzo 2006