antonello villani
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venerdì 24 novembre 2006
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brutti, sporchi e cattivi. trent'anni dopo.
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Brutti, sporchi e cattivi. A trent’anni da quel film che vide protagonista un Manfredi mai così sgradevole, il regista di “L’uomo in più” e “Le conseguenze dell’amore” si presenta al Festival di Cannes con un noir ambientato nella pianura pontina. Geremia De’ Geremei è un cravattaro che s’intrufola subdolamente nella vita della gente prestando soldi ad interessi. Un amico di famiglia, come ama definirsi. Al suo terzo lungometraggio Paolo Sorrentino affronta il fenomeno dell’usura lanciando un’altra sfida alla criminalità organizzata; ritratto impietoso e al limite del sopportabile, perchè il cineasta napoletano non si ferma alla classica storia di abusi e piccole miserie quotidiane, ma esplora l’animo corrotto di alcuni personaggi che speculano sulle disgrazie altrui.
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Brutti, sporchi e cattivi. A trent’anni da quel film che vide protagonista un Manfredi mai così sgradevole, il regista di “L’uomo in più” e “Le conseguenze dell’amore” si presenta al Festival di Cannes con un noir ambientato nella pianura pontina. Geremia De’ Geremei è un cravattaro che s’intrufola subdolamente nella vita della gente prestando soldi ad interessi. Un amico di famiglia, come ama definirsi. Al suo terzo lungometraggio Paolo Sorrentino affronta il fenomeno dell’usura lanciando un’altra sfida alla criminalità organizzata; ritratto impietoso e al limite del sopportabile, perchè il cineasta napoletano non si ferma alla classica storia di abusi e piccole miserie quotidiane, ma esplora l’animo corrotto di alcuni personaggi che speculano sulle disgrazie altrui. Così apprendiamo la storia di uno strozzino che vive con la madre paralitica a cui deve prestare assistenza, abbandonato dal padre e cresciuto senza l’affetto di una donna, ossessionato dai soldi e dai dolci che consuma con voracità. Sembra una controfigura questo vecchietto dall’aspetto orripilante che si aggira furtivo tra le vie del paese: vestito di stracci e con una camminata da becchino, l’amico di famiglia piomba nelle case delle vittime per riscuotere il denaro, frequenta prostitute e sogna le pallavoliste che giocano nel campetto di fronte, mangia gianduiotti e divora con gli occhi le ragazze distese al sole. Perché Geremia non ha avuto un’infanzia felice, brama una giovinezza mai vissuta e un amore sempre negato. Eppure tutto fila liscio nella vita di questo miserabile, almeno fino a quando una sposina decide di fargliela pagare dopo essere caduta nelle sue grinfie; lo strozzino resta con tanto di naso mentre il gruppo di complici scappa con il malloppo. Ma in un mondo di dannati non esiste redenzione né riscatto, il male corrompe ogni cosa: le vittime diventano carnefici e la speranza lascia il posto alla disperazione. Giacomo Rizzo, nei panni di un moderno Mazzarò che accumula denaro ed oggetti preziosi, è la quintessenza del male con quell’ossessione dipinta sul viso; Fabrizio Bentivoglio è il socio che vive in una roulotte sognando il Tennessee. Da parte sua Sorrentino si crogiola nel fango e non lascia all’amico di famiglia nemmeno l’illusione di una vita migliore: cattivo come il protagonista del suo film, verrebbe da dire.
Antonello Villani
(Salerno)
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(di angelo umana)
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raffaele palazzo
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venerdì 1 febbraio 2008
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amico di famiglia
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Sorrentino è un regista atipico. Sfugge da quelli che sono i più sfruttati clichè della cinematografia italiana cercando di mostrare storie a tratti grottesche ma di una realtà spaventosa che puntano il dito sulla fragilità dell'animo umano. Che poi ci riesca con risultati altalenanti può anche starci anche se questo non è decisamente il caso. Eppoi comunque vale la pena di rischiare purchè le idee ci siano e la mano del regista non sia troppo disarticolata.
Geremia De Geremei lo abbiamo incontrato tutti e forse lo rincontreremo proprio perchè tipicamente italiano e tipico esempio di persona repellente ma che non si tira indietro di fronte ai pericoli. L'amico di tutti e a cui tutti si rivolgono pur sapendo di cosa è capace.
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Sorrentino è un regista atipico. Sfugge da quelli che sono i più sfruttati clichè della cinematografia italiana cercando di mostrare storie a tratti grottesche ma di una realtà spaventosa che puntano il dito sulla fragilità dell'animo umano. Che poi ci riesca con risultati altalenanti può anche starci anche se questo non è decisamente il caso. Eppoi comunque vale la pena di rischiare purchè le idee ci siano e la mano del regista non sia troppo disarticolata.
Geremia De Geremei lo abbiamo incontrato tutti e forse lo rincontreremo proprio perchè tipicamente italiano e tipico esempio di persona repellente ma che non si tira indietro di fronte ai pericoli. L'amico di tutti e a cui tutti si rivolgono pur sapendo di cosa è capace. Ritratto feroce della meschinità della falsità dell'opportunismo ma anche della codardia.
Uno che come altri sfrutta le minaccie per arrivare al suo scopo parallelamente passabile come uomo di mafia che cura i suoi interessi facendo uscire ogni tanto un pò di umiltà che però viene immediatamente nascosta.
A parte lo straordinario Giacomo Rizzo che come tutti i bravi attori riesce a comunicare anche solo con l'espressività, per arrivare ad una convincente( e non me l'aspettavo) Laura Chiatti icona di film mostruosi giovanili, successi commerciali per teen-ager, qui invece in una parte decisamente compromettente.
Bentivoglio è sempre sopra le righe caricaturando un ruolo nuovo e strano nonchè difficile e difficilmente definibile del cow-boy che non tramonta mai.
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mario_platonov
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venerdì 28 gennaio 2011
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l'estetica del brutto e del ridicolo
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Sorrentino riesce, tra i pochi in Italia, a raccontare storie totalmente immerse nel reale attraverso un linguaggio fatto di eccessi e di simboli, con una regia che sembra sempre “oltrepassare” i protagonisti in scena per soffermarsi su una realtà difficile da afferrare.
L’amico di famiglia è un perfetto esempio di questo cinema. La camera ci porta oltre le vicende di Geremia (sarto e usuraio), ampliando con tono amaro e ironico le distorsioni della provincia italiana acuite da un linguaggio cinematografico tendente al grottesco ma proprio per questo più efficace.
E nelle vicende di questo piccolo grande usuraio del basso Lazio - personaggio la cui spregevolezza morale viene esaltata dalla ripugnanza del suo aspetto fisico e dal deterioramento di tutto ciò che lo circonda (la casa, la madre) – Sorrentino riesce a tenere la storia su un piano che esula dal moralismo più facile.
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Sorrentino riesce, tra i pochi in Italia, a raccontare storie totalmente immerse nel reale attraverso un linguaggio fatto di eccessi e di simboli, con una regia che sembra sempre “oltrepassare” i protagonisti in scena per soffermarsi su una realtà difficile da afferrare.
L’amico di famiglia è un perfetto esempio di questo cinema. La camera ci porta oltre le vicende di Geremia (sarto e usuraio), ampliando con tono amaro e ironico le distorsioni della provincia italiana acuite da un linguaggio cinematografico tendente al grottesco ma proprio per questo più efficace.
E nelle vicende di questo piccolo grande usuraio del basso Lazio - personaggio la cui spregevolezza morale viene esaltata dalla ripugnanza del suo aspetto fisico e dal deterioramento di tutto ciò che lo circonda (la casa, la madre) – Sorrentino riesce a tenere la storia su un piano che esula dal moralismo più facile. Il dubbio è atroce: Geremia non sarà semplicemente l’aspetto più evidente, se non addirittura il prodotto, di un mondo consacrato all'apparenza?
La società che Sorrentino ci mostra è una ridicola e penosa messa in scena, un’autocelebrazione continua basata sul nulla, dove l’estetica vagamente surreale dell’autore ha l’abilità di scuotere continuamente lo spettatore tra il sorriso e l’amarezza.
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angelo umana
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lunedì 21 ottobre 2013
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dàgli all'untore
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Variegata l’umanità che si rivolge a un usuraio per soddisfare desideri e bisogni. Un’anziana signora che spergiura di necessitare di soldi per un intervento chirurgico e poi se li gioca in una sala bingo, il figlio non riconosciuto di un nobile che vuole acquistare il titolo nobiliare per accreditarsi presso il Vaticano, una signora ancora piacente che vuole stare in ambienti mondani tra giovani e cocktail, una coppia giovane con bambina che vive al di sopra delle sue possibilità, una coppia matura che desidera un “bel matrimonio” con 200 invitati per la figlia Rosalba (Laura Chiatti), miss Agropontino, la quale considera insensato che il papà s’indebiti “per offrire un pranzo a degli sconosciuti” o “per il vestito bianco”.
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Variegata l’umanità che si rivolge a un usuraio per soddisfare desideri e bisogni. Un’anziana signora che spergiura di necessitare di soldi per un intervento chirurgico e poi se li gioca in una sala bingo, il figlio non riconosciuto di un nobile che vuole acquistare il titolo nobiliare per accreditarsi presso il Vaticano, una signora ancora piacente che vuole stare in ambienti mondani tra giovani e cocktail, una coppia giovane con bambina che vive al di sopra delle sue possibilità, una coppia matura che desidera un “bel matrimonio” con 200 invitati per la figlia Rosalba (Laura Chiatti), miss Agropontino, la quale considera insensato che il papà s’indebiti “per offrire un pranzo a degli sconosciuti” o “per il vestito bianco”. Il genitore si sentirebbe invece umiliato a non farlo e poco tempo dopo il matrimonio avrà bisogno di soldi ancora, per il funerale della moglie.
L’usuraio in questione è, se guardiamo il film come benpensanti, un untore da additare “al pubblico ludibrio”, Geremia de’ Geremei (un grandissimo Giacomo Rizzo): un essere abietto, rivoltante, un mentecatto, irascibile tirchio falso vendicativo logorroico … uno squalo, che però è ben conscio di eccellere nell’”arte della parola, la mia grande arma vincente di seduzione” (e di ricatto). E’ con l’arte della parola e del ricatto economico, condito con parole in apparenza affettuose, che convince le sue vittime di essere L’Amico di Famiglia, il Geremia dal cuore d’oro. Ambisce a godere della bellezza di giovani mogli e ragazze, a cui non arriverebbe mai (“Dio mi avrebbe fatto un po’ più aggraziato se avesse avuto fiducia in me”), per lui esse rappresentano “il paradiso”, che qualche volta sfiora. Ne gode proprio con la più bella, Rosalba, in cambio di una forte diminuzione degli interessi pretesi sul prestito ai genitori (“non confondere mai l’insolito con l’impossibile”). Lei dice di farlo perché “il coraggio è l’unica possibilità che abbiamo di cambiare le nostre vite quando non ci piacciono più. I rimpianti ci fanno morire tristi e soli”. Un paradiso altrimenti intravisto dalle persiane con sguardi alle membra di giocatrici di volley, al rallentatore, come la bellezza di palazzi e di paesaggi che Sorrentino mostra e che mostrerà ancora ne “La grande bellezza”. “Quello che cercate l’avete già trovato” gli dice una giovane moglie (Valentina Lodovini) quando accetta suo malgrado di fargli infilare la mano nella tasca dei suoi jeans aderenti.
Con il potere che il ricatto gli permette, compensa gli affetti mai avuti, il papà a cui vorrebbe assomigliare e con cui si sente in qualche modo in competizione, “tuo padre avrebbe potuto fare un’operazione del genere, tu no”,
gli dice la vecchia madre ammalata e “tu sarai il mio ospizio”. Geremia non lo vede da quando aveva nove anni. Compensare una vita in sé miserabile in una casa malandata e inospitale, con “l’Alka Seltzer cheha raggiunto costi proibitivi”, data la sua avarizia. Mitigare forse l’assoluta mancanza di amicizia, che apparentemente troverebbe in Gino, un Fabrizio Bentivoglio in versione country, sornione come al solito. Ma, quella dell’amicizia, “è un’eventualità alla quale non avevo mai pensato”, gli dice Geremia.
E’ un film-concentrato di miserie umane, perciò simile al più recente “La grande bellezza”. Entrambi sono popolati da cose belle e da maschere umane grottesche e inquietanti. Ambedue i personaggi protagonisti hanno nomi in qualche modo solenni e un mondo mediocre che gli si muove attorno. Sembrano persistere nello scivolare verso l’abiezione (la dissolutezza nel caso di Jep Gambardella), per ritornare infine verso il ricordo della loro fanciullezza, a ripulirsi o forse redimersi: Jep sognando la fidanzata e il mare dei suoi 18 anni e Geremia cercando monete sulla spiaggia col metal-detector, cosa che forse faceva col papà da bambino. Simile a quello contenuto ne “La migliore offerta” è poi il tema dell’uomo ormai anziano, senza attenzioni femminili, che rimane soggiogato e illuso da un amore improbabile per restarne infine tradito.
Come Geremia anche Jep pronuncia sentenze sagaci a ripetizione e senza pensarci su, sembrano entrambi degnarsi di spezzare e distribuire il pane della saggezza all’umile umanità che li attornia. Il nostro raccoglie ampio disprezzo pur di raggiungere la sua preda, la Miss Agropontino, a ciò solo è volta la sua rara disponibilità: “Come si diventa disperati come te?” gli chiede Rosalba quando ancora lo repelle con tutta sé stessa: “Trascorrendo un’infanzia felice”, le fa Geremia, memore del tempo in cui ha avuto accanto suo padre. Lei lo ha apostrofato con parole come “topo, presuntuoso, un niente, non sia indulgente con sé stesso, salvarla sarebbe un delitto”.
Perdoni l’eventuale lettore la lunghezza del racconto del film, una regia e sceneggiatura che si fanno fortemente ricordare, ci sommerge di brutture e bellezze assieme, complesso, ancora più avvolgente de La Grande Bellezza. Non manca un accenno a Fellini, a cui Sorrentino un po’ somiglia per la ricchezza di personaggi e di storie, di “squali” e figure mostruose (viene in mente, chissà perché, la pettoruta di Amarcord). Memorabile la frase con cui Geremia giustifica senza vergogna la sua “funzione pubblica”: “Siete tutti in affitto, il mondo vi è stato dato solo in prestito. Io vi presto il mondo quando ogni tanto lo perdete”. E le frasi che lui pronuncia in un immaginario dialogo col padre, ricordandole come suoi insegnamenti: “Ci siamo seduti dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati, e va bene, ci siamo detti facciamo i cattivi perché i buoni muoiono bambini, e anche questo va bene, ma ci siamo solo dimenticati di dirci qual è il limite, perché c’è il limite, papà, ma io non lo conosco”.
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shiningeyes
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domenica 1 dicembre 2013
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interessante e ci fa anche riflettere.
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Uno dei tratti rilevanti dei film di Paolo Sorrentino è quello si saper dare una precisa e curiosa caratterizzazione psicologica dei personaggi, i quali sono sempre interessanti, imprevedibili e bizzarri. Un esempio lampante è mostrato dal personaggio protagonista del film in questione: Geremia, strozzino di lunga esperienza e uomo di mondo, rappresenta i lati peggiori che si possono trovare in una persona; avidità, cinismo e viscidume sono la sua essenza. Quelli sono gli aspetti che si possono cogliere sin da subito, ma con l’avanzare della pellicola si scopre che in fondo Geremia è una persona triste e dall’animo eroso dai pregiudizi e il brutto trattamento avuto dalle persone della placida cittadina di Sabaudia, che colpevoli della loro cattiveria sono destinate a stare sotto l’usura temibile di Geremia, che in piccola parte tenta di essere caritatevole nei loro confronti solo per sentirsi dire che è una brava persona, anche se non è detto con sincerità.
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Uno dei tratti rilevanti dei film di Paolo Sorrentino è quello si saper dare una precisa e curiosa caratterizzazione psicologica dei personaggi, i quali sono sempre interessanti, imprevedibili e bizzarri. Un esempio lampante è mostrato dal personaggio protagonista del film in questione: Geremia, strozzino di lunga esperienza e uomo di mondo, rappresenta i lati peggiori che si possono trovare in una persona; avidità, cinismo e viscidume sono la sua essenza. Quelli sono gli aspetti che si possono cogliere sin da subito, ma con l’avanzare della pellicola si scopre che in fondo Geremia è una persona triste e dall’animo eroso dai pregiudizi e il brutto trattamento avuto dalle persone della placida cittadina di Sabaudia, che colpevoli della loro cattiveria sono destinate a stare sotto l’usura temibile di Geremia, che in piccola parte tenta di essere caritatevole nei loro confronti solo per sentirsi dire che è una brava persona, anche se non è detto con sincerità. Le cose per Geremia cambieranno con l’incontro della bella Rosalba che sarà il simbolo della purezza che mette in crisi la sporcizia d’animo dello strozzino.
Sorrentino inquadra perfettamente la solitudine e cattiveria di un uomo che è sempre stato bistratto, sia per carattere sia per aspetto – molto brutto esteticamente – che nel suo intimo vorrebbe avere un po’ di compagnia; Sorrentino è valido anche nel riprendere una situazione umana in netta decadenza come quella italiana, nella quale il sacrificio e i vecchi valori sono sottomessi ad arroganza e orgoglio che non può non farci riflettere. Sul lato tecnico c’è ben poco da dire, sennonché, che forse è il film dove ci stanno meno virtuosismi da ripresa, ma che ne denotano un’essenzialità fatta di riprese significative che possono spiegarci i sentimenti dei personaggi, che sono tra l’altro interpretati benissimo (a parte la solita scarsa Laura Chiatti) e che sono resi reali. Non siamo ancora ai fasti e qualità del “Divo” e della “Grande Bellezza”, ma in fatto di sceneggiatura e caratterizzazione della sua regia, ci siamo.
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antrace
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giovedì 6 maggio 2010
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gli abissi dell'uomo
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Il film si apre e si chiude con una testa di donna insabbiata , che ha veste monacale nella prima inquadratura e ne è priva dopo . Questo esordio sembra un disegno bizzarro di Jacovitti , il capo contratto anzichè il piedone delle vignette . Poi si snoda la vicenda di Geremia , un cravattaro dell'agro pontino,
orrido , goffo,malaticcio che vive solo con la madre anziana inferma .Geremia associa ai bassi guadagni minuziosi espedienti quotidiani, nasconde il suo denaro, non ha relazioni sociali , nè tantomeno affettive , consapevole che la sua condizione bruta ha varcato i confini della tolleranza umana. Questua qua e là beni spiccioli , cerca furtivi godimenti erotici con qualche donna , sopravvive a se stesso con una melliflua rete di ammiccamenti , masssime sentenziose,
crudi adescamenti o sorde minacce ai clienti .
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Il film si apre e si chiude con una testa di donna insabbiata , che ha veste monacale nella prima inquadratura e ne è priva dopo . Questo esordio sembra un disegno bizzarro di Jacovitti , il capo contratto anzichè il piedone delle vignette . Poi si snoda la vicenda di Geremia , un cravattaro dell'agro pontino,
orrido , goffo,malaticcio che vive solo con la madre anziana inferma .Geremia associa ai bassi guadagni minuziosi espedienti quotidiani, nasconde il suo denaro, non ha relazioni sociali , nè tantomeno affettive , consapevole che la sua condizione bruta ha varcato i confini della tolleranza umana. Questua qua e là beni spiccioli , cerca furtivi godimenti erotici con qualche donna , sopravvive a se stesso con una melliflua rete di ammiccamenti , masssime sentenziose,
crudi adescamenti o sorde minacce ai clienti . Geremia filosofeggia con le sue vittime , si presenta come l'ineffabile amico di famiglia, disposto a prestare loro soccorso economico , sapendo che per il suo lucro potrà azzannarle . Sembra inossidabile nel cinismo , privo di scrupoli , finchè non cede
al desiderio di una ragazza e non viene ingannato e soggiogato dalla sua avvenenza . Il film è sopra le righe , nello stile di Sorrentino, tenebroso quanto surreale , unisce il gusto teatrale di Fellini alle immagini del neorealismo di De Sica , un romanzo d'appendice tradotto in sequenze spoglie ma non prive di suggestione . Geremia è sempre solo quando esce per strada , sempre curvo e furtivo , va verso casa mentre la folla si assiepa ad un concorso di teen agers portando con sè delle sedie per prendere posto ; non immagina che pure scansando la folla non riuscirà a mantenere il suo beffardo riparo , e poroprio in quella piazza viene premiata la fanciulla che lo colpirà . Ottima l'interpretazione di Giacomo Rizzo , sapiente la sceneggiatura , abile comprimario Fabrizio Bentivoglio -
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franco cesario
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mercoledì 15 ottobre 2014
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l'amico di famiglia
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Molto prima della “Grande Bellezza”, il regista napoletano Paolo Sorrentino ci ha donato un grande film sulla psiche umana: “L’amico di famiglia”.
In una non ben definita zona d’Italia vive un uomo, “zitello”, brutto, antipatico, grottescamente tirchio, con a carico una madre grassa ed immobilizzata a letto.
Una persona che sarebbe reietta in qualsiasi contesto ma non in questo caso: Geremia è un rinomato strozzino con un grande capitale alle spalle ed un vizietto nemmeno tanto nascosto.
Tale e tanta la sua sfrontatezza che si sente libero di entrare nelle decisioni delle famiglie a cui presta il denaro, sentendosi di diritto un amico di famiglia, l’unico modo che ha per essere ascoltato con reverenza e rispetto.
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Molto prima della “Grande Bellezza”, il regista napoletano Paolo Sorrentino ci ha donato un grande film sulla psiche umana: “L’amico di famiglia”.
In una non ben definita zona d’Italia vive un uomo, “zitello”, brutto, antipatico, grottescamente tirchio, con a carico una madre grassa ed immobilizzata a letto.
Una persona che sarebbe reietta in qualsiasi contesto ma non in questo caso: Geremia è un rinomato strozzino con un grande capitale alle spalle ed un vizietto nemmeno tanto nascosto.
Tale e tanta la sua sfrontatezza che si sente libero di entrare nelle decisioni delle famiglie a cui presta il denaro, sentendosi di diritto un amico di famiglia, l’unico modo che ha per essere ascoltato con reverenza e rispetto.
Il gioco dura, e per tanto tempo, fino all’arrivo dell’amore, che evidentemente anche un animale come lui può provare, per una giovane e spregiudicata ragazza bella ed eterea che, dopo il disprezzo iniziale, userà le armi della seduzione femminile per turlupinarlo.
Al di là della trama, ben sviluppata ad avvincente per quasi tutto il tempo, quello che convince del film del futuro premio Oscar partenopeo sono i dialoghi, serrati e sussurrati che presuppongono una grande conoscenza della vita e del suo caotico svolgimento.
Uno su tutti: Laura Chiatti, la femme fatale che imbriglierà Geremia, rimprovera al padre di voler spendere troppo per il suo matrimonio con un uomo di cui nemmeno è molto innamorata, il padre risponde che per troppo tempo ha dovuto sopportare umiliazioni per provvedere al suo sostentamento, cose di cui lei nemmeno è a conoscenza e che per una volta nella vita vuole “apparire”. Quanta conoscenza della vita, dei pensieri reconditi della piccola-media borghesia, addirittura delle migliaia delle cose pensate ma mai pronunciate da tutti i padri delle scorse generazioni!
Il finale un pò troppo rapido e anche un filino non credibile non rovinano un autentico capolavoro del nostro cinema contemporaneo, con un Giacomo Rizzo, nella parte di Geremia, sugli scudi, cattivo e fragile allo stesso tempo.
Un prodotto che fa bene al cinema italico troppo spesso imbrigliato dalle commediole stile americano con belloni di turno scarsamente dotati di talento artistico che ormai anche da noi stanno prendendo troppo piede.
francocesario.altervista.org
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fabio1957
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venerdì 7 agosto 2015
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grande rizzo
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Ottimo film di Sorrentino, con un grande Giacomo Rizzo che dismessi provvisoriamente i panni del comico dimostra di saper fare l'attore a tutto tondo,interpretando un ruolo diverso dai soliti e sicuramente non nelle sue corde.Ma siccome è un grande, supera brillantemente la prova,regalandoci un personaggio indimenticabile,nel suo squallore,mellifluo,viscido,diabolico,perverso e solitario.I dialogi del film sono veramente straordinari."l'ultimo mio pensiero prima di morire sarà per te"ripetutto dall'usuraio alle sue vittime è una fase cult che resterà scolpita nella nostra memoria.
Grande
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goffredo g.
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giovedì 20 dicembre 2007
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il capolavoro di paolo sorrentino
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Paolo Sorrentino ha realizzato un grande capolavoro, di gran lunga superiore alle sue opere precedenti e, nonostante il madornale errore di rimontare il film (la versione di Cannes era infinitamente migliore di quella uscita poi nelle sale), regala al pubblico un film straordinariamente criptico e magmatico, figlio del Bunuel migliore, ovvero del Bunuel dell'ultimo periodo francese (ricordiamo per esempio Il fantasma della libertà). Giacomo Rizzo, attore di vecchi film trash, oltre ad essere l'indiscusso nuovo Totò, è perfetto nella parte del laido Geremia de' Geremei, mentre Laura Chiatti interpreta Rosalba De Luca (che non è affatto vero che si dimostra peggio di lui, anzi è una giovane ribelle e positivamente idealista, che da a Geremia ciò che si merita) e Fabrizio Bentivoglio si diverte nel tuolo di Gino, l'amico country di Geremia.
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Paolo Sorrentino ha realizzato un grande capolavoro, di gran lunga superiore alle sue opere precedenti e, nonostante il madornale errore di rimontare il film (la versione di Cannes era infinitamente migliore di quella uscita poi nelle sale), regala al pubblico un film straordinariamente criptico e magmatico, figlio del Bunuel migliore, ovvero del Bunuel dell'ultimo periodo francese (ricordiamo per esempio Il fantasma della libertà). Giacomo Rizzo, attore di vecchi film trash, oltre ad essere l'indiscusso nuovo Totò, è perfetto nella parte del laido Geremia de' Geremei, mentre Laura Chiatti interpreta Rosalba De Luca (che non è affatto vero che si dimostra peggio di lui, anzi è una giovane ribelle e positivamente idealista, che da a Geremia ciò che si merita) e Fabrizio Bentivoglio si diverte nel tuolo di Gino, l'amico country di Geremia. L'amico di famiglia è un anche un film marxista, e questo è sempre un bene, non è autobiografico, non si perde in psicologismi televisivi, sta dalla parte del torto e si disinteressa del pubblico. In definitiva, Sorrentino potrebbe risollevare il cinema italiano se riuscisse ad acquistare, in futuro, un respiro più internazionale. La fotografia di Luca Bigazzi è straordinaria, l'Agro Pontino è un bellissimo luogo (privo del caos della città, senza automobili nè motociclette) mentre la colonna sonora e le musiche sono davvero brutte. Invece del paragone con la bella e la bestia è migliore quello con Notre Dame de Paris, dove il personaggio di Rizzo sembra un Quasimodo più cattivo, e Laura Chiatti una Esmeralda a tutto tondo. Comunque, rimane la nostalgia della versione di Cannes, di gran lunga migliore.
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katamovies
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mercoledì 2 novembre 2011
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this (should) must be the movie
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in poche parole, questo film ha quello che manca all'ultimo di sorrentino: un personaggio protagonista di grande impatto e forza. al confronto con i personaggi protagonisti di questo film, de "il divo" e de "le conseguenze dell'amore", cheyenne appare sbiadito come una vecchia figurina. privo delle sfaccettature, della complessità degli altri tre.
in questo film abbiamo un anziano sarto, geremia de' geremei, alle prese con la vecchia madre anziana e malata. è brutto, povero, privo di fascino, un essere repellente e penoso. dopo poco si scopre che questo personaggio è molto di più che un povero vecchio inchiodato ad una vita di miseria e solitudine.
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in poche parole, questo film ha quello che manca all'ultimo di sorrentino: un personaggio protagonista di grande impatto e forza. al confronto con i personaggi protagonisti di questo film, de "il divo" e de "le conseguenze dell'amore", cheyenne appare sbiadito come una vecchia figurina. privo delle sfaccettature, della complessità degli altri tre.
in questo film abbiamo un anziano sarto, geremia de' geremei, alle prese con la vecchia madre anziana e malata. è brutto, povero, privo di fascino, un essere repellente e penoso. dopo poco si scopre che questo personaggio è molto di più che un povero vecchio inchiodato ad una vita di miseria e solitudine.
oltre alla forza del personaggio, c'è quella dell'intreccio, cioè la storia di un raggiro (sempre efficacie al cinema, vedere "la casa dei giochi" scritto e diretto da david mamet) che fa emergere i caratteri dei personaggi. ottimo il lavoro sui dialoghi e i personaggi.
per quanto riguarda gli attori, eccellente il protagonista (giacomo rizzo), che lavora sulla fisicità, la mimica, la vocalità e il linguaggio. i comprimari sono fabrizio bentivoglio e laura chiatti, il primo va sicuro forte di una professionalità decennale, e un appeal naturale con la macchina da presa. la seconda, una chiatti giovanissima, da la sensazione di una certa rigidità, ma forse è solo acerba. il suo personaggio non sembra abbastanza incisivo, ed è un peccato.
da vedere assolutamente.
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