Hiroshima mon amour |
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Un film di Alain Resnais.
Con Emmanuelle Riva, Bernard Fresson, Eiji Okada
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 91 min.
- Francia 1959.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 28 aprile 2014.
MYMONETRO
Hiroshima mon amour
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Amore senza patria che sfida la potenza dell'oblio
di Great StevenFeedback: 70008 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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domenica 3 gennaio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
HIROSHIMA MON AMOUR (FR/GIAP, 1959) diretto da ALAIN RESNAIS. Interpretato da EMMANUELLE RIVA, EIJI OKADA, STELLA DASSAS, PIERRE BARBAUD, BERNARD FRESSON
Un’attrice francese va a Hiroshima per girare un film, e là s’innamora di un architetto giapponese. Tuttavia il ricordo del suo passato, e unico, amore, per la precisione con un soldato tedesco ucciso sotto i suoi occhi, offusca e complica la sua nuova relazione, nella quale la donna vede una sorta di reincarnazione del primo amante con quello attuale, benché egli cerchi di farle capire che il suo attaccamento al passato è illusorio e ingannevole. Quel che comunque appare chiaro fin da subito è che il rapporto è destinato ad essere solamente una storia fuggevole e inconsistente, come tutte le altre vissute dall’attrice, costituita interamente di sentimenti che, col tempo e l’oblio che esso porta con sé, verranno dimenticati. È la pellicola che ha aperto ufficialmente il periodo della Nouvelle Vague, la corrente cinematografica francese che, con grande probabilità, ha avuto i suoi due picchi artistici più brillanti ed efficaci con questo eccelso capolavoro, insieme con I quattrocento colpi di François Truffaut. Hiroshima mon amour racconta, dietro un apparente velo di leggerezza e addirittura anche di noia (ma tutto rimane sulla superficie), un amore impossibile che sposa l’intensità della sua essenza contemporaneamente intima ed esteriore con la veridicità degli eventi disastrosi che gli fanno da sfondo, i quali non si limitano ad un esame autoreferenziale e vacuo dell’esplosione atomica e delle conseguenze che ripercosse tanto sui risvolti vitali dei giapponesi quanto sul morale che produsse nelle visioni non poi così distanti dei soldati delle armate Alleate, fra cui appunto i francesi che, per quanto riguarda la superba e magnifica vicenda del film, ammazzarono il soldato con cui la protagonista aveva intessuto un fugace rapporto amoroso, finendo poi per recluderla in una cantina, tagliarle a zero i capelli e offrirle infine una possibilità di fuga a Parigi. Indimenticabili i momenti progressivi e sempre più insistenti in cui il vero motivo di risentimento che la donna nutre verso Nevers viene a galla attraverso la rievocazione dei ricordi patriottici, abilmente articolata mediante una complessa struttura di flashback e incastri che avvince lo spettatore in una ricostruzione magari faticosa, ma che corona il suo scopo grazie all’interesse che gli instilla per assistere alla fine di un travaglio sentimentale che, con ogni minuto di proiezione, cresce di levatura morale. Si sviluppa in tal modo fino ad una maturazione narrativa che, eludendo sugli stessi nomi dei personaggi principali come sui rumori effettuati dagli oggetti e dalle persone nelle analessi, tocca il suo culmine in un finale straordinariamente acceso e vivificante, reso tale sia dai contributi tecnici di meravigliosa qualità (un’irripetibile fotografia in bianco e nero) che dalla perizia recitativa di due attori il cui sesso opposto, abbinato con elevata efficienza alla maestria registica e alla bravura autorale di Marguerite Duras (la romanziera che ne scrisse la sceneggiatura avendone avuto l’idea originale grazie ad una felice intuizione), mette in campo un pezzo di novanta minuti che si distingue con la sua graziosa eccezionalità e il suo inconfondibile stile dal sapore d’altri tempi. E. Riva, dopo quest’opera monumentale di A. Resnais, ebbe poche occasioni per replicare un successo di critica così stratosferico, e anche, in generale, rare opportunità per recitare sul grande schermo, finché nel 2012, con Amour di Michael Haneke, il suo talento artistico ha riacquistato visibilità presso il pubblico, oltre che una naturale e innegabile luce propria. Vinse nel 1959 il Grand Prix del Sindacato Belga della Critica Cinematografica e, un anno più tardi, fu pure inserito nel National Board of Review of Motion Pictures nella lista dei miglior film stranieri dell’anno. Entrambi i riconoscimenti meritatissimi. Ha fatto scuola non soltanto nell’ambito della corrente artistica di cui fu parte integrante, ma anche per l’impiego rivoluzionario e innovativo del flashback, il cui ampliamento fu di capitale importanza per i cineasti che ne adottarono gli insegnamenti. Resnais, dal canto suo, fa comprendere che tutte le perdite causate da un conflitto nucleare, come è stata parzialmente la Seconda Guerra Mondiale, per quanto atroci e dolorose, non equivarranno mai alla perdita della persona che si ama. Sia che questo amore abbia una cospicuità propria, sia che possegga invece una caratura aleatoria, arrendevole o mutevole. M. Duras candidata all’Oscar 1961 per la migliore sceneggiatura originale.
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