dandy
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domenica 15 maggio 2011
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una corsa folle e caotica nella comicità marxiana.
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I Fratelli Marx tornano a farsi dirigere da Sam Wood(la seconda volta dopo "Una notte all'Opera")e il loro personale e incontenibile umorismo rinvigorisce e scuote i limiti di una trama piuttosto scontata.I numeri musicali tipici nei film del quartetto,appesantiscono la storia,ma Groucho,veterinario sotto le mentite spoglie di un medico per compiacere la ricca cliente(come sempre la povera Dumont)è in gran forma,e Chico non gli è da meno.Memorabile la scena in cui truffa Groucho al botteghino riuscendo a vendergli man mano un'intera biblioteca sui cavalli per rimediare i soldi con cui scommettere.Assieme a diverse altre scene ovviamente, tipo Chico e Harpo che suonano alla festa sorvegliati dal poliziotto che vuole acciuffarli,o sabotano il piano della bellona O'Sullivan per sedurre Hackenbush.
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I Fratelli Marx tornano a farsi dirigere da Sam Wood(la seconda volta dopo "Una notte all'Opera")e il loro personale e incontenibile umorismo rinvigorisce e scuote i limiti di una trama piuttosto scontata.I numeri musicali tipici nei film del quartetto,appesantiscono la storia,ma Groucho,veterinario sotto le mentite spoglie di un medico per compiacere la ricca cliente(come sempre la povera Dumont)è in gran forma,e Chico non gli è da meno.Memorabile la scena in cui truffa Groucho al botteghino riuscendo a vendergli man mano un'intera biblioteca sui cavalli per rimediare i soldi con cui scommettere.Assieme a diverse altre scene ovviamente, tipo Chico e Harpo che suonano alla festa sorvegliati dal poliziotto che vuole acciuffarli,o sabotano il piano della bellona O'Sullivan per sedurre Hackenbush.E non dimentichiamo lo stravolgimento finale della corsa.Divertimento assicurato,come sempre se si è disposti ad entrare nell'irriverente caustico universo dei Marx.E se si è disposti ad accettare i limiti imposti dal doppiaggio,che non riesce a rendere tutti i giochi di parole.In alcune copie non è presente per "correttezza politica" il lungo numero musicale in cui i protagonisti si dipingono il viso e con un coro di neri ballano "Who Dat Man?",dove i movimenti eccessivi dei ballerini rivelano l'adesione dell'epoca agli stereotipi razziali.
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gianni lucini
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mercoledì 14 dicembre 2011
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ivie anderson, la voce dello swing
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La cantante che appare nel film è Ivie Anderson, considerata per molto tempo "la voce più bella della big band di Duke Ellington". In realtà nel 1931, quando entra nell’orchestra di Duke Ellington, ha già alle spalle un'infinità di esperienze musicali con band minori, ma anche in teatro, dove si è imposta come showgirl. È la vedette di un teatro musicale nero che, partendo da Harlem, sta rapidamente imponendosi in un genere che, fino a quel momento, è stato appannaggio pressoché esclusivo dei bianchi. Sono personaggi come Ivie Anderson a impersonare la capacità di rivalsa di Harlem e degli afroamericani sul music business che li vede ancora come elemento marginale e di contorno.
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La cantante che appare nel film è Ivie Anderson, considerata per molto tempo "la voce più bella della big band di Duke Ellington". In realtà nel 1931, quando entra nell’orchestra di Duke Ellington, ha già alle spalle un'infinità di esperienze musicali con band minori, ma anche in teatro, dove si è imposta come showgirl. È la vedette di un teatro musicale nero che, partendo da Harlem, sta rapidamente imponendosi in un genere che, fino a quel momento, è stato appannaggio pressoché esclusivo dei bianchi. Sono personaggi come Ivie Anderson a impersonare la capacità di rivalsa di Harlem e degli afroamericani sul music business che li vede ancora come elemento marginale e di contorno. Il suo momento magico arriva, però, quando, dopo una tournée in Australia e una permanenza come vedette al Grand Terrace Cafè di Chicago con l’orchestra di Earl Hines, viene scritturata da Duke Ellington, da tempo alla ricerca di una voce particolare, capace di integrarsi con gli impasti sonori dei suoi arrangiamenti orchestrali. È il mese di febbraio del 1931, anno di svolta per la creatività di Ellington che ha ormai completato la sua prima opera musicale dal respiro più ampio rispetto alle normali esecuzioni di due o tre minuti. La voce di Ivie si lega così alla magia della "Creole rhapsody", considerata il primo brano capace di saldare la musica nera d’America con le strutture compositive di largo respiro della scuola europea. In questo clima musicale la personalità della cantante sembra essere l'ideale completamento delle sofisticate ricerche impressionistiche di Duke. C'è chi sostiene che la Anderson abbia contribuito in modo determinante a diffondere il concetto di swing. Probabilmente non è così, ma è certo che il brano It don’t mean a thing if it ain't got that swing, considerato una sorta di manifesto dell’era dello swing, deve molto a lei. Il suo vocalizzo collocato in mezzo agli assoli del sassofonista Johnny Hodges e del trombone di Tricky Sam Nanton, provoca ancora oggi un'emozione forte in chi l'ascolta. Ivie resta con Ellington per ben dodici anni. Chiusa la sua straordinaria avventura con la Big Band del Duca continua a esibirsi fino all'ultimo giorno di vita. Muore a Los Angeles, in California, Il 28 dicembre 1949 a soli quarantacinque anni
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