Crash - Contatto fisico

Liana Messina

Crash è un film scomodo, una storia dove la politically correttness è messa sotto i piedi dal primo istante, dove si parla di razza, classe, stranieri, senza remore o eufemismi, dove gli stereotipi non sono ignorati ma accentuati. 24 ore a Los Angeles, un puzzle di vita in cui neri e bianchi, latini e asiatici, ricchi e poveri si scontrano e s’incrociano, esercitando gli uni sugli altri varie forme di intolleranza. Un’America post-11 settembre dove la paura dello straniero invade ogni ambito quotidiano. In questa girandola di destini ognuno dà il peggio, ma anche il meglio di sé, può riscattarsi o perdersi in un istante, spinto da piccole svolte casuali. Con tali premesse poteva esser rifiutato da diverse comunità etniche, ritenuto offensivo: è successo il contrario, ha trovato la strada del pubblico grazie al passaparola, diventando un caso da 50 milioni di dollari (ne è costato 7) e vincendo Black Film Award e Grand Prix al Festival di Deauville. A firmare la regia (la prima) e la sceneggiatura è Paul Haggis, l’autore del film trionfatore agli Oscar dell’anno scorso, Million Dollar Baby, uno che ha dimostrato di saper maneggiare sentimenti ed emozioni, di saper scavare con sottigliezza nei personaggi. Il progetto di Crash, ispirato a un’esperienza personale, è nato però molto prima, quando Haggis era un produttore- autore tv quasi sconosciuto. Don Cheadle ci ha scommesso subito: «Non mi mandano tante sceneggiature da leggere», dice l’attore, «ancor meno intelligenti, con qualcosa di importante da dire. Per caso, una dietro l’altra, sono arrivate Hotel Rwanda e Crash: una specie di miracolo. Quest’ultimo può sembrar difficile, ma è tutto il contrario. Ho pensato subito che dava l’opportunità di mostrare cose che non avevo visto spesso al cinema. Di solito, sono temi di cui non si parla: al massimo la gente ne discute in privato, nel suo ambiente, nel proprio gruppo ristretto. Non in pubblico. La società proibisce di usare la parola razza, io credo invece che ignorare il problema non lo risolve, non fa sì che la gente cominci a capirsi. Si lascia solo prosperare il pregiudizio. Parlarne può essere il primo passo. lo sono interessato alle differenze, voglio discutere del fatto che non siamo tutti uguali. E il film lo fa, è una specie di schiaffo in faccia, ti mette davanti alla realtà, ti obbliga a farti certe domande. Chi va a vederlo, lo ama o lo odia, certo non resta indifferente». Cheadie si è impegnato anche come produttore, coinvolgendo come protagonisti amici/colleghi famosi: Matt Dillon (fa un odioso poliziotto razzista), Sandra BuIlock, Thandie Newton. Brendan Fraser, Ryan Phillippe. «Tutti si sono appassionati, convinti, come me, di avere in mano un materiale speciale da cui essere coinvolti». Un successo inaspettato: «Pensavo a un piccolo fenomeno di nicchia, invece è esploso di vitalità propria».
Cheadle, nominato all’Oscar per Hotel Rwanda, accetta però senza problemi anche blockbuster («basta che non siano troppo ovvi»), rimanda il sospirato debutto in regia (con l’adattamento del romanzo di Elmore Leonard Tishomingo Blues) e coltiva il sogno di una biografia di Miles Davis. Ma il progetto più imminente, da produttore, è una serie tv ispirata proprio a Crash: «Così gli stessi problemi arriveranno all’attenzione di un’audience ancor più grande».
Da D di Repubblica, 3 dicembre 2005


di Liana Messina, 3 dicembre 2005