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Going Underground, 50 anni di musica punk e new wave in Italia. In streaming su MYmovies

Arte, droga, ribellione. Gli storici Gaznevada raccontano le origini della band nella Bologna infuocata di fine anni Settanta e quella musica iconica che ha incendiato l’Italia underground. GUARDA ORA »
di Emanuele Sacchi

martedì 22 luglio 2025 - mymoviesone

“Questa è una storia che sa di eroina e di amaro in gola”. Ci ha provato Brizzi in "Bastogne", forse il suo romanzo migliore, a raccontare la Bologna a cavallo tra anni ’70 e ’80. Un’epoca di tumulti, di violenza, di ideali e ideologie. Di droga, troppa, e di buona musica, che non è mai troppa.

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E se occorre scegliere un solo disco che racconti quell’epopea, non può che trattarsi di Sick Soundtrack dei Gaznevada, uscito nell’anno del Signore 1980. Un anno che a Bologna significò l’esplosione di molte tensioni latenti, purtroppo.

Going Underground di Lisa Bosi racconta di tutto questo, ossia di Billy Blade, Robert Quibb e soci, band fulcro di una scena musicale punk nell’anima ancor prima che nelle sonorità, espressione artistica di un’onda trasversale di ribellione alla norma che abbracciava arti eterogenee, come i fumetti di Andrea Pazienza e Filippo Scozzari, sodali del gruppo e partecipi di quella rivoluzione dei costumi.


In foto una scena del film Going Underground.

La nostra Factory italica si chiamava Traumfabrik e stava in via Clavature 20, dove sballati in un grado variabile di disagio elaboravano teorie distruttive e movimenti artistici esplosivi.

Lisa Bosi - già autrice di un piccolo cult ammantato di un fascino decadente e mortuario come Disco Ruin, sulla parabola italica di discoteche e locali da ballo - evita la biografia in senso stretto e cerca un approccio inusuale, affine allo spirito Gaznevada, che non ha paura di affrontare il dramma dell'eroina e il suo lascito di morte, fino a giungere al disorientamento anni 90, in cui una costola del gruppo finisce nuovamente in classifica dalla porta sul retro, grazie alla house dei Datura.

Perché in quella discontinuità c’è invece una continuità, una necessità di iconoclastia e di prevenire i tempi, anche affrontando strade perigliose e coraggiose (chi ricorda l’accoglienza dei Datura presso i nostalgici punk sa di cosa si stia parlando…).


In foto una scena del film Going Underground.

Attraverso un montaggio impressionista, che rimbalza tra le immagini in alta definizione della contemporaneità e il repertorio dei fasti gloriosi della Traumfabrik bolognese, Going Underground ricostruisce una narrazione inevitabilmente non lineare, che trova un commovente epilogo – il migliore possibile – tra le parole del Pompeo di Pazienza, quelle che forse un certo Danny Boyle, più che Irvine Welsh, ha intercettato per il monologo – che qualcuno ma non io chiamerebbe “iconico” - di Trainspotting.

E nel viaggio di Going Underground si annida anche un po’ di quella storia di fine Novecento sottaciuta o dimenticata, che transitava dai Red Ronnie o da improbabili luoghi televisivi, dove nessuno comprendeva la portata rivoluzionaria dei Gaznevada, ma quantomeno ne veicolava acriticamente il messaggio.

Oggi sarebbe possibile, nel marasma informe di informazioni fuori controllo? Sono anche riflessioni come queste, su chi eravamo e cosa siamo diventati, a rendere unico e prezioso il documentario di Bosi, irriducibile alla normalizzazione che affligge il genere con troppe produzioni, italiane e non, celebrative e inutilmente agiografiche.


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