Esistono ancora gli effetti speciali?
di Roy Menarini
Che cosa è Il cinema in movimento? Una rubrica dedicata alle trasformazioni del cinema nell'epoca dei new media e alle riflessioni che si possono trarre dalle novità in atto.
La domanda posta nel titolo ovviamente è provocatoria. Tuttavia, suggerisce questioni importanti, almeno per il cinema contemporaneo. Ancora oggi, se si chiede a qualcuno che va poco al cinema di distinguere tra diverse forme di film, risponderà che esistono opere di nicchia e opere di largo consumo, queste ultime "piene di effetti speciali". Nel tempo, però, la presenza di effetti non squisitamente filmici nel cinema si è a tal punto moltiplicata che risulta quasi impossibile riconoscerli con certezza. Si passa da effetti speciali digitali (la stragrande maggioranza) a effetti più tradizionali, ma in fondo ormai anche le forme di montaggio informatico, con massicce color correction e espliciti trattamenti dell'immagine (problema apertissimo anche nel restauro) potrebbero essere annoverati come "effetti speciali".
Due film in sala in questi giorni dimostrano la vastità del campo cui accenniamo: Riddick e Mood Indigo. Nel primo caso, una sorta di ibrido tra blockbuster e b-movie, la presenza degli effetti è torrenziale. L'universo ideato da David Twohy prevede creature di ogni specie, con fantasia quasi ariostesca, e spinge il pedale dell'artificiale a tutti i costi. Per i più smaliziati, è facile assaporare il gusto di "set" al risparmio, con lo spiazzo desertico e i pochi interni della postazione che fanno da teatro alla vicenda. Proprio a causa della parsimonia di mezzi profilmici, gli effetti speciali digitali fanno il resto, con grande sprezzo del ridicolo, vista la natura dei mostri, e vista specialmente la fantasia un po' trash dell'animale domestico spaziale che Riddick porta con sé.
Nel film di Gondry, invece, si fa spazio una sorta di orgoglio dell'analogico. Comunque arricchito da effetti e postproduzione digitale, Mood Indigo è un inno - trafelato, sovrabbondante e gremito - alla fantasia di cartapesta. Come sempre nel cinema di questo artista, tutto ciò che negli altri film è trionfo del digitale ed euforia tecnologica, diventa qui materia soffice e quotidiana: dai computer giocattolo alle metamorfosi del corpo umano, dalle invenzioni futuristiche alle risorse scenografiche. Ciò che Hollywood raffigura attraverso immagini sintetiche, Gondry se lo costruisce in casa, usando stoffa, plastica, ovatta, fil di ferro, spago, legno, gomma, polistirolo e tutti i materiali con cui può sperimentare.
Al di là della singola riuscita dei due film - entrambi ben più che imperfetti - essi ci ricordano la natura molteplice degli effetti speciali oggi, che da una parte rischiano di portare a saturazione l'immaginario cinematografico (quanto più potenzialmente si potrebbe osare, tanto più Hollywood rischia di standardizzarsi), e dall'altra propone alternative più casalinghe, forse meno costose, certamente non meno impegnative. Sul terreno di quelli che si chiamavano un tempo effetti speciali, insomma, si gioca ancora una partita in bilico su "che cosa è il cinema?", domanda che credevamo a torto obsoleta.