Il cinema ha, o dovrebbe avere, delle precise classificazioni per i suoi prodotti – documentario, fiction, triller.. - , ma ora più che mai ci sono delle “mezze vie”, che più che essere contaminazioni, sono dei pasticci piatti e alla fine non hanno ne stile ne carattere e non si capisce a chi sono diretti a quale fruitore.
La storia narrata in “Argo” è tratta da una storia vera, ma di vero – o per lo meno quanto il cinema ci consegna come racconto del vero - oltre al fatto di esserne a conoscenza, per il pubblico qui non c’è nulla.
La suspance che il film vorrebbe riproporre, è modestamente ottenuta con delle tecniche di montaggio oltretutto trite e ritrite e perciò del tutto prevedibili.
I sentimenti, le emozioni che scuoterebbero qualsiasi persona che si viene a trovare in situazioni così drammatiche, sono solo costruite con frasi anonime e pronunciate senza interpretazioni emotive.
Il regista e attore protagonista Ben Affeck/Tony Mendez, è un campione di inespressività sia degli occhi che del resto del volto. Così è o poco di meglio, per gli altri attori che sono legati in una imbalsamazione perfino quando scappano dall’ambasciata e, per così dire “corrono” verso una probabile salvezza. Unici interpreti che escono da questa immobilità espressiva sono i diplomatici canadesi, la coppia che poi deve scappare per non subire le conseguenze della loro generosità. Altri buoni attori sono i “vecchi” attori, quelli già altrove supercollaudati, gli unici che facciano apprezzare la loro interpretazione : John Goodman, Lester Siegel, Jack O’Donnell, Ken Taylor portandoci all’interno di quello che vuol dire un film.
Anche la sceneggiatura zoppica parecchio e appare addirittura improponibile quando impone i personaggi “ricercati”, tanto spavaldi, sicuri di sé oppure semplicemente sempliciotti incoscienti, quando per interpretare i personaggi del fantomatico film, se ne escono dal rifugio perfettamente riconoscibili, in mezzo alla gente nei vicoli del mercato dove poi logicamente verranno riconosciuti.
Infine il regista che poteva risparmiare quest’ingenuità agli americani, per par condicio poteva risparmiare l’altra ingenuità agli iraniani, ingenuità che li paragona agli indiani d'america che si perdevano dietro agli specchietti che i primi colonizzatori davano loro in cambio di oro e pietre e altre cose preziose, quando vengono regalati loro i disegni dello story-board del fantomatico film.
Ultima chicca, purtroppo in negativo, è il montaggio alternato che avrebbe dovuto create patos alla fine, momento clou in un film del quale si conosce già la soluzione felice. Montaggio che accelera il ritmo, ma oltre a questo non va perché è solo questione di forbici e per giunta male usate.
Brutto film per una bella storia a lieto fine, perché se si fossero solo presi in considerazione gli stati d’animo dei protagonisti, si poteva evitare situazioni violente nel senso fisico dell’immagine e dare una lettura molto reale e drammatica di un fatto di conflitto umano.
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