Angelus Hiroshimae

   
   
   

DIMENSIONI SOVRACCARICHE Valutazione 0 stelle su cinque

di Federinik


Feedback: 1308 | altri commenti e recensioni di Federinik
venerdì 9 aprile 2010

Un cacciatore e un angelo. Un angelo che s’imbatte in volo sulla feroce pallottola di un cacciatore che sarà costretto a fare i conti con il proprio passato. Girato a l’Aquila, prima del terremoto, Angelus Hiroshimae (titolo esplicativo) è il quarto film del regista sardo Giancarlo Planta, e sono trascorsi dodici anni da Onorevoli Detenuti. Angelus Hiroshimae è un film viscerale come pochi altri. A partire dal volto marmoreo di Franco Nero (a suo dire si tratta del ruolo che ama di più della sua grande carriera internazionale) che scolpisce dolore e pietà nei confronti di questa creatura abbattuta, in possesso di due grandi ali pelose, e di un corpo candido come quello di un angelo, piovuto però dal cielo di Hiroshima (e il giovane volto androgino è dell’esordiente Kyojiro Ikeda). Film muto, le uniche parole pronunciate nel corso del film sono latte e vino, le sole cose di cui si nutre l’angelo giapponese. L’opera audio-visiva, nel suo incanalarsi costante da un mondo all’altro, si presta a molteplici interpretazioni. Innanzitutto, Angelus Hiroshimae è cinema per immagini, e lo è nella forma che gli è più consona, quella di film-limite (da questo punto di vista solo Lynch ha avuto il coraggio dirompente di sorpassare quella rassicurante soglia da plot canonico, con il suo immenso Inland Empire, opera per immagini che riassume tutto il suo cinema andando anche oltre). Film-limite per il semplice motivo che è un divenire in crescendo che si fa beffe di ogni sorta di tentativo di normalizzazione. Si parte dall’incredulità di un bizzarro ritrovamento per passare ad allucinazioni e incubi che sembrano reali. Sembra davvero di stare in un mondo a parte, gli scenari sono di una claustrofobia e di una agorafobia allo stesso tempo, straordinari. Film-limite anche perché dà l’idea di un’opera che è ancora da definirsi nella sua complessità, ripeto audio-visiva, in quanto siamo di fronte ad un film che è veramente un’opera, costellata di immagini inscindibili con i suoni in crescendo ed i rumori assordanti che colpiscono la mente del pubblico. Ogni avvenimento si fonde e confonde con il successivo, in un affastellarsi di suggestioni emotive che stordiscono le membra, fino a farle tremare, come l’angelo stesso in una scena del film. Film che gode tra l’altro di contributi tecnici di una certa fama e d’ispirazione sempre in linea con le corde autoriali, come quello delle musiche di Ennio Morricone, la scenografia di Gianni Quaranta e la fotografia di Gelsini Torresi. Il tutto amalgamato in un montaggio particolarmente elaborato, dove le sfumature e le dissolvenze incrociate, particolarmente lente, assumono la forma di un sogno nel sogno che è del resto la vita stessa. Cosa ha fatto Planta di così innovativo oggi?. Ha fuso il minimalismo di una storia praticamente a due che il più delle volte finisce per essere teatralizzata fino al midollo, con l’alterità di uno spazio-tempo che non ha distinguo perché il cinema si nutre di follia. Quegli scenari, quei punti infinitesimali, anticipano paradossalmente una tragedia che di lì a poco si sarebbe abbattuta negli stessi luoghi dell’anima, dove il respiro del vento e della quiete di chi ne è alla vana ricerca, cessano di soffiare per fermarsi col tempo, nella sua inafferrabilità suggellata da orologi di diversa grandezza. Opera-Film di assenze e presenze così pesanti da rendere muti, col tempo, sempre presente, inesorabilmente.

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nicoghisa martedì 4 maggio 2010
vuoto pneumatico
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Partendo da una sceneggiatura deboluccia, si sviluppa un film che dimostra soltanto i limiti del suo regista: una serie quasi infinita di stucchevoli banalità (a partire dalla "marmorea" espressione di Franco Nero), la metafisica città de L'Aquila banalmente gotica in un diluvio di nebbia, dilagante anche negli interni. Colonna sonora ai minimi del grandissimo Morricone.Speculazione finale sul post terremoto (girata con la banalità cui - alla fine del film - la platea si è ormai tristemente assuefatta).??????? (latte e vino, le uniche due parole del film, peraltro in giapponese).In conclusione: un comodo vuoto che ogni spettatore, se ancora in grado alla fine della proiezione, potrà tentare di riempire alla meno peggio come pure inevitabilmente suggestionato dai tanti temi comunque profanati dal regista. [+]

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uragano sabato 29 maggio 2010
il regista che colleziona "fiaschi"
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Niente di nuovo sotto il sole... per questo regista il quarto fiasco! Da "C'è posto per tutti" a "Italia Village", da "Onorevoli detenuti" a "Angelus Hiroshimae, una quaterna di pellicole, rimasta, per fortuna, sconosciuta al grande pubblico.

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