fabrizio cirnigliaro
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mercoledì 23 settembre 2009
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dio è gay e fa l'arredatore!
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Dopo 4 film girati in Europa, Woody Allen ritorna a New York, ma senza far rimpiangere quelle pellicole girate in questa città e che l’hanno reso celebre negli anni 70. La sceneggiatura è perfetta, il ritmo incalzante, non c’è il tempo per memorizzare le battute che si susseguono, soprattutto nella seconda parte, quando arriverà al punto di far dire ad uno dei personaggi che per aver ”creato un mondo con i fiori, le piante, le montagne, i laghi”… “Dio è Gay, perché è un arredatore”. Boris ritiene l’uomo un essere davvero stupido, altrimenti come spiegare ad esempio il fatto che sia arrivato al punto di inserire lo sciacquone automatico nelle toilette, perché non gli va di tirare la catenella.
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Dopo 4 film girati in Europa, Woody Allen ritorna a New York, ma senza far rimpiangere quelle pellicole girate in questa città e che l’hanno reso celebre negli anni 70. La sceneggiatura è perfetta, il ritmo incalzante, non c’è il tempo per memorizzare le battute che si susseguono, soprattutto nella seconda parte, quando arriverà al punto di far dire ad uno dei personaggi che per aver ”creato un mondo con i fiori, le piante, le montagne, i laghi”… “Dio è Gay, perché è un arredatore”. Boris ritiene l’uomo un essere davvero stupido, altrimenti come spiegare ad esempio il fatto che sia arrivato al punto di inserire lo sciacquone automatico nelle toilette, perché non gli va di tirare la catenella. La religione, le associazioni in difesa delle armi, sono solo alcuni dei bersagli del regista in “Basta che funzioni” . Sebbene l’attore sia molto diverso fisicamente da Woody Allen , certe sue espressioni ricordano molto il regista. L’interpretazione è straordinaria, malgrado la pessima qualità del doppiaggio italiano. Nella pellicola si parla, tra le altre cose, di Entropia, fisica quantistica, di utilitarismo, solo Woody Allen poteva riuscire a trattare questi argomenti in una commedia facendo divertire, e allo stesso tempo riflettere, gli spettatori; sulla vita, l’amore, il destino, le atrocità del mondo, anzi , l’orrore. Quello stesso orrore che ossessionava il colonnello Kurtz de La Linea D’ombra, tormenta le notti di Boris. Una volta Woody Allen ha detto che “Il mondo e’ diviso in buoni e cattivi. I buoni dormono meglio la notte, i cattivi se la spassano meglio il giorno.” Nel suo ultimo film invece il regista ci mostra un lato “oscuro” dell’intelligenza, del sapere. Una diversa visione del mondo, non in linea con il pensiero dominante delle masse di “vermetti” , spesso può causare un disagio della persona a vivere e interagire con gli altri. Boris reagisce con il cinismo, non fermandosi neanche davanti a dei bambini “incapaci” di apprendere i suoi insegnamenti sugli scacchi. Sarà una persona non del suo “livello” ad aiutarlo a stare bene e vivere in un mondo in cui è difficile cogliere il lato buono, quando tale persona lo “tradirà” lui, dopo un breve attimo di smarrimento, affermerà che se riesce a decifrare i numeri della fisica quantistica non avrà nessuna difficoltà ad affrontare i capricci e le delusioni d’amore. Ma le cose non stanno cosi, i sentimenti, le emozioni non si possono decifrare con degli algoritmi, per cui Boris tenterà nuovamente il suicidio. Quasi mai le cose vanno come vogliamo o come speriamo nella vita di tutti i giorni, Woody Allen ci ricorda che il mondo non è perfetto, anzi tutt’altro, ma che bisogna comunque avere una visione ampia della realtà, senza stare a lamentarci sempre per ogni cosa che va storta nella nostra vita, l’importante è che funzioni. Lo stesso discorso lo si può applicare ai film di Woody Allen, inutile rimpiangere le pellicole in cui faceva coppia con Diane Keaton o Mia Farrow, lagnarsi del fatto che si sia fatto sponsorizzare un film dall’ente del turismo spagnolo (Vicky Cristina Barcellona), o lamentarsi della sua assenza come attore. Sarà perché il cinema di oggi non offre molto come scelta, ma alla fine è sempre e comunque un film di Woody Allen, basta che funzioni, appunto.
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(di vincenzo carboni)
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andrea d
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domenica 20 settembre 2009
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ha funzionato, eccome
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Dopo una vacanza europea di quattro film (il sopravvalutato "Match Point", l'inutile "Scoop", il sufficiente "Sogni e Delitti" e il più riuscito "Vicky Cristina Barcelona"), era ora che il regista newyorkese tornasse in patria. Il film comincia con un'esplosione atomica di scrittura cinematografica, un lungo e intelligentissimo monologo sull'esistenza pronunciato dal protagonista interpellando il pubblico in sala, cioè guardando la macchina da presa: una perfetta introduzione metafilmica ci dà, così, il benvenuto, o meglio, il bentornato, nelle strade di New York, nelle sue strade di Manhattan, di cui avevamo sentito la mancanza negli ultimi anni. Un ritorno nel proprio habitat comporta, dunque, una serie di altri ritorni, dal jazz alla psicoanalisi, e così via, nella cornice di quello che è Woody Allen allo stato puro, nella sua espressione più classica e sincera, a dispetto di quei critici che continuano a scambiare per ripetitività una coerenza stilistica (i titoli di testa sempre uguali e l'audio rigorosamente mono) e contenutistica (l'imperterrita ricerca di un significato) che dura ormai da quarant'anni.
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Dopo una vacanza europea di quattro film (il sopravvalutato "Match Point", l'inutile "Scoop", il sufficiente "Sogni e Delitti" e il più riuscito "Vicky Cristina Barcelona"), era ora che il regista newyorkese tornasse in patria. Il film comincia con un'esplosione atomica di scrittura cinematografica, un lungo e intelligentissimo monologo sull'esistenza pronunciato dal protagonista interpellando il pubblico in sala, cioè guardando la macchina da presa: una perfetta introduzione metafilmica ci dà, così, il benvenuto, o meglio, il bentornato, nelle strade di New York, nelle sue strade di Manhattan, di cui avevamo sentito la mancanza negli ultimi anni. Un ritorno nel proprio habitat comporta, dunque, una serie di altri ritorni, dal jazz alla psicoanalisi, e così via, nella cornice di quello che è Woody Allen allo stato puro, nella sua espressione più classica e sincera, a dispetto di quei critici che continuano a scambiare per ripetitività una coerenza stilistica (i titoli di testa sempre uguali e l'audio rigorosamente mono) e contenutistica (l'imperterrita ricerca di un significato) che dura ormai da quarant'anni. A dialogare con noi sulla vita è Boris, un geniale ex professore di fisica sui sessanta che ora vive solo tra le sue nevrosi e i suoi dilemmi esistenziali, e che rimarrà scosso dall'incontro, avvenuto per una coincidenza dovuta al caso (elemento determinate nella poetica alleniana), con Melody, una ragazza del sud degli Stati Uniti, deliziosamente ingenua e di scarsa erudizione, la quale sarà ospitata in casa sua, portando con sé un grosso bagaglio di credenze, luoghi comuni e superstizioni (per il principio secondo cui la religiosità e la superstizione sono inversamente proporzionali alla cultura). L'unione tra i due, costretti alla conoscenza reciproca da una permanenza prolungata della ragazza ospite, sembra inconcepibile, eppure Boris finirà per esserne attratto e sposarla, pur di trovare un barlume di senso da dare a una vita che di per sé non ne ha, a meno che non si voglia credere in consolatori disegni provvidenziali. Boris va avanti nel suo incerto cammino nell'indifferenza dell'universo attaccandosi a qualsiasi cosa funzioni ("whatever works", appunto), anche quando a scuotere la situazione arrivano i genitori di Melody, ognuno di loro con le proprie peculiarità opposte a quelle del fisico (sopra tutte la fede in Dio e nella sua provvidenza, ricollegabile al credere nel destino, che è l'opposto del sentirsi in preda al caso e alla vanità dell'essere). Sorprendente è la solita leggerezza con la quale il regista riesce ad affrontare tematiche filosofiche di grande spessore, tematiche che, come ammette lo stesso Boris/Allen nel corso della pellicola, fanno visita solo nei pensieri di chi ha una grande mente, che permette di avere la cosiddetta "visione di insieme", un'inquadratura totale che prescinde dai punti di vista, dalle ideologie, dalle confessioni, e dalle convinzioni soggettive che noi passeggeri abitanti del pianeta ci siamo appositamente costruiti, e che rende consapevoli della incredibile piccolezza nei confronti del resto e di tutto. E allora non rimane che riuscire a cogliere quell'attimo di piacere, di gioia, in qualunque situazione ci venga offerta dall'andamento casuale delle cose, anche adeguandosi alla combinazione più paradossale, purché funzioni. Aver passato novanta minuti nella visione di questo film, ad esempio, è stato un ottimo modo per afferrare quel tipo di felicità. E ha funzionato, eccome.
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lisbeth
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domenica 20 settembre 2009
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prendersi in giro…….
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Prendersi in giro, questa è la chiave,Woody ci riesce ancora, e lo fa piazzando a ripetizione lungo tutto il film una sublime autoaffermazione: io sono un genio. E cosa fa un genio? Ha gli anni che bastano per fregarsene di tutti,vive a Manhattan in un appartamento usa e getta,è sciancato da un tentativo malriuscito di suicidio e neanche il secondo andrà a buon fine,quando si lava le mani canta sempre Happy birthday To You e insegna a giocare a scacchi a pagamento per strada a ragazzetti,regolarmente perdendo la pazienza e insultando gli alunni testoni.Questo “genio” che vive per dimostrare la casualità dell’ordine cosmico,rompe la quarta parete e guarda in sala noi spettatori,ci addita agli amici nella prima scena e poi agli ospiti nell’ultima, ma questi non ci vedono, è lui,il “genio”, quello che ha “lo sguardo d’insieme” e solo lui può dirci:guardate cosa succede di totalmente insensato al mondo, basta che uno spermatozoo prenda una strada invece che un’altra e tutto può essere o non essere.
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Prendersi in giro, questa è la chiave,Woody ci riesce ancora, e lo fa piazzando a ripetizione lungo tutto il film una sublime autoaffermazione: io sono un genio. E cosa fa un genio? Ha gli anni che bastano per fregarsene di tutti,vive a Manhattan in un appartamento usa e getta,è sciancato da un tentativo malriuscito di suicidio e neanche il secondo andrà a buon fine,quando si lava le mani canta sempre Happy birthday To You e insegna a giocare a scacchi a pagamento per strada a ragazzetti,regolarmente perdendo la pazienza e insultando gli alunni testoni.Questo “genio” che vive per dimostrare la casualità dell’ordine cosmico,rompe la quarta parete e guarda in sala noi spettatori,ci addita agli amici nella prima scena e poi agli ospiti nell’ultima, ma questi non ci vedono, è lui,il “genio”, quello che ha “lo sguardo d’insieme” e solo lui può dirci:guardate cosa succede di totalmente insensato al mondo, basta che uno spermatozoo prenda una strada invece che un’altra e tutto può essere o non essere.Dunque specchiatevi, gente, e meditate.Il gioco del non sense parte da lì,e il “genio” sposa,o meglio,si fa sposare,da un concentrato di leggerissima nullità e avvenenza che è Mélody(poteva avere altro nome?certo che no), lui che vorrebbe invece starsene in pace da solo.Ma il Fato bussa alla porta con l’attacco della V di Beethoven e scombussola le carte.Si aprono piste impensabili un attimo prima,e una madre morigerata e mollata dal marito per la sua migliore amica si scopre una potente vocazione artistica e sessuale, entrambe felicemente conciliate e appagate;un padre si decide a riconoscere la propria omosessualità e viverla in pace; Mélody la smette di citare,storpiandole, le teorie scientifiche del marito e comincia a sbaciucchiare l’attor giovane, bello e romantico;Boris,il genio,dopo un accurato lavaggio delle mani,lasciato da Mélody si butta dalla finestra e cade su una medium che sposerà, probabilmente,quando lei toglierà i gessi, esito della rovinosa caduta di Boris stesso sulla sua persona passante, per caso, sotto quella finestra.La roulette della vita continuerà a girare, tutto lascia presumerlo,e se quello che è già successo dopo un po’ smetterà, come sempre, di stupirci, a Capodanno staremo tutti insieme appassionatamente a festeggiare l’anno che se n’è andato. E così, ci dice Boris (almeno a chi è rimasto in sala) festeggiamo la morte che si avvicina, e questo non sembra proprio avere nessun senso, a meno che non ci decidiamo tutti a conquistarci “uno sguardo d’insieme”, giocando a scacchi con il caso (o la morte?fa lo stesso, siamo a Manhattan non in Svezia!).Il genio è tutto lì.Basta che funzioni, Whatever Works,il grande Woody torna alla grande e un copione stagionato per trent’anni ora produce un film teatrale dove tutto si tiene in un gioco seducente e solo apparentemente leggero.Sulla scena sentiamo e vediamo sempre lui,la sua psicopatologia della vita quotidiana ci travolge con raffiche di parole che vorremmo trattenere tutte nella memoria.Un film da “leggere”,una sceneggiatura da procurarsi a tutti i costi e tenerla sul comodino.
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olgadik
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giovedì 24 settembre 2009
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woody è sempre woody
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Doppio ben tornato a Woody come regista e come cittadino della Grande Mela. Era un po’ di tempo che aveva preferito l’Europa, ma forse una sottile nostalgia lo ha riportato a una New York meno borghese di quella di Manhattan ma pur sempre riconoscibile e importante. Ormai settantenne il regista affida di nuovo a quest’opera, fin dal titolo, le sue considerazioni sul mondo, sull’amore, sull’ebraismo, cioè su tutto l’insieme dei temi lasciati da parte nelle ultime produzioni tese più a costruire storie piuttosto che fornire una sua visione dell’esistenza. Lo fa a modo suo con la verve e il ritmo giusto di un tempo, per mezzo di una commedia sapientemente strutturata, rivolgendosi direttamente al pubblico come interlocutore in sala.
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Doppio ben tornato a Woody come regista e come cittadino della Grande Mela. Era un po’ di tempo che aveva preferito l’Europa, ma forse una sottile nostalgia lo ha riportato a una New York meno borghese di quella di Manhattan ma pur sempre riconoscibile e importante. Ormai settantenne il regista affida di nuovo a quest’opera, fin dal titolo, le sue considerazioni sul mondo, sull’amore, sull’ebraismo, cioè su tutto l’insieme dei temi lasciati da parte nelle ultime produzioni tese più a costruire storie piuttosto che fornire una sua visione dell’esistenza. Lo fa a modo suo con la verve e il ritmo giusto di un tempo, per mezzo di una commedia sapientemente strutturata, rivolgendosi direttamente al pubblico come interlocutore in sala. S’intrecciano nella narrazione cinismo e nuova pacatezza; senza moralismi Woody ci dice che tutto è possibile e tutto va bene nella vita purché funzioni in qualche maniera, non faccia del male ad altri e corrisponda a ciò che vogliamo veramente. E ciò è tanto più vero quanto più il tempo ci sfugge e quanto più lo sguardo sull’esistente si fa amaro se non disperato. Non siamo comunque nel dramma. Allen recupera intera la sua capacità di coniare battute fulminanti e profonde che tutti vorrebbero ricordare. Sono però tante che non ci si riesce e scorrono con grande naturalezza come un nastro che si dipana senza annoiare, combinandosi con situazioni spesso surreali ma possibili. Il suo alter ego nel film è cinico e pessimista ma anche disposto in fondo a capire che nessuna teoria può racchiudere per intero quel gomitolone chiamato esistenza che si svolge spesso con moto proprio, senza logica, imprevedibile e da comprendere, in quanto legato anche ai sentimenti e al caso, non solo alla ragione. Ragione simboleggiata dal protagonista che però si scontra e confronta con l’opposto, cioè il “cuore” di cui è metafora il personaggio femminile. Ma a essere efficaci, pur se tratteggiati con poco, sono anche diversi ritrattini minori, come accade nei film migliori del nostro. Qui si tratta appunto di uno di quelli, dove tutto si tiene: musica, fotografia, sceneggiatura, interpretazione. L’unico neo che riesco a trovare riguarda una certa esagerazione nell’ingenuo buonismo attribuito al personaggio di Melody, un po’ troppo Cappuccetto Rosso, giacché anche la provincia partorisce situazioni e vite molto complicate e spesso violente.
E veniamo alla sintesi del contenuto. Geniale ed egocentrico, Boris Yellnikof (Harry David, ottimo attore di commedie televisive) è un ex-fisico brillante che dopo un matrimonio fallito e un tentativo di suicidio, si è rifugiato in uno squallido appartamentino di periferia newyorkese. Insegna ai ragazzini, insultandoli, il gioco degli scacchi, odia il mondo, dialoga con implacabile durezza e sarcasmo con tutti e si ritiene superiore al resto dell’umanità. Questo finché non arriva una ragazzetta bionda, Melody (Evan Rachel Wood), fuggita da casa, la quale a poco a poco si installa nella sua vita e si innamora di lui. I due si sposeranno senza che “vada tanto male”, finché l’irruzione sulla scena dei genitori di lei non complicherà le cose, rendendo tutto possibile.
Per questa favola, un po’ alla Frank Capra (citato nel film) si può ben spendere una serata e ritrovare l’amico geniale, musone e spassoso, di sempre.
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iã©tturi
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lunedì 28 settembre 2009
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"tanti auguri a me, tanti auguri a me....!!!"
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Con questo film ironico, dissacrante, esagerato, esilarante, cinico, è tornato il Woody Allen dei primi successi cinematografici. L'accoppiata Larry David (il burbero, ipocondriaco e misantropo Boris Yelnikoff)ed Evan Rachel Wood (la giovane e ingenuotta Melody, che ricorda molto Mira Sorvino/ Linda Ash di "La dea dell'amore")è azzeccatissima. Primo tempo in cui ci si sbellica dalle risate, grazie ai monologhi e dialoghi frenetici tipici di Allen (tornano le riprese in cui l'attore parla alla cinepresa rivolgendosi al pubblico, addirittura fin dalla prima scena del film); secondo tempo con colpi di scena a ripetizione che interessano tutti i personaggi. I fans di Woody possono stare tranquilli: il loro idolo non ha perso la verve unica e inimitabile che l'ha reso famoso, nonostante gli ultimi sofferti e introversi films "europei" (si tratta in effetti di una vecchia sceneggiatura, ambientata nella "sua" Manhattan, aspetto determinante, a mio avviso, per la riuscita di questo film!).
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Con questo film ironico, dissacrante, esagerato, esilarante, cinico, è tornato il Woody Allen dei primi successi cinematografici. L'accoppiata Larry David (il burbero, ipocondriaco e misantropo Boris Yelnikoff)ed Evan Rachel Wood (la giovane e ingenuotta Melody, che ricorda molto Mira Sorvino/ Linda Ash di "La dea dell'amore")è azzeccatissima. Primo tempo in cui ci si sbellica dalle risate, grazie ai monologhi e dialoghi frenetici tipici di Allen (tornano le riprese in cui l'attore parla alla cinepresa rivolgendosi al pubblico, addirittura fin dalla prima scena del film); secondo tempo con colpi di scena a ripetizione che interessano tutti i personaggi. I fans di Woody possono stare tranquilli: il loro idolo non ha perso la verve unica e inimitabile che l'ha reso famoso, nonostante gli ultimi sofferti e introversi films "europei" (si tratta in effetti di una vecchia sceneggiatura, ambientata nella "sua" Manhattan, aspetto determinante, a mio avviso, per la riuscita di questo film!).
Sono sicuro che quasi tutti, dopo aver visto "Basta che funzioni", ogni volta che si lavano le mani, cantano: "Tanti auguri a me, tanti auguri a me, tanti auguri a Boris, tanti auguri a me!!!" (Boris docet!)
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des_demona
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venerdì 25 settembre 2009
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un match point dalle vesti più leggere
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Il burbero Boris Yelnikoff (Larry David) è una voragine di ipocondria e cinismo, in continua lotta con il cosmo intero. Tentato il suicidio – senza i risultati sperati – si rifugia solo, zoppicante e incattivito, in un sudicio appartamento nel bel mezzo di New York, da cui vien fuori soltanto per una birra e quattro chiacchiere fra amici.
L’incontro con Melody (Evan Rachel Wood), giovanissima e biondissima provincialotta del Sud in fuga da casa, spezza bruscamente il meccanismo di ritualità e paranoia nel quale l’anziano ha finora trovato rifugio dall’orrore della realtà.
In un vortice di sguardi in camera, battute incalzanti e soliloqui caustici si consuma il “ritorno alle origini” del caro Allen che, dopo il gran successo di Vicky Cristina Barcelona e le atmosfere angoscianti di Sogni e Delitti, ha deciso di ritrovare se stesso ripescando dal suo archivio una vecchia sceneggiatura.
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Il burbero Boris Yelnikoff (Larry David) è una voragine di ipocondria e cinismo, in continua lotta con il cosmo intero. Tentato il suicidio – senza i risultati sperati – si rifugia solo, zoppicante e incattivito, in un sudicio appartamento nel bel mezzo di New York, da cui vien fuori soltanto per una birra e quattro chiacchiere fra amici.
L’incontro con Melody (Evan Rachel Wood), giovanissima e biondissima provincialotta del Sud in fuga da casa, spezza bruscamente il meccanismo di ritualità e paranoia nel quale l’anziano ha finora trovato rifugio dall’orrore della realtà.
In un vortice di sguardi in camera, battute incalzanti e soliloqui caustici si consuma il “ritorno alle origini” del caro Allen che, dopo il gran successo di Vicky Cristina Barcelona e le atmosfere angoscianti di Sogni e Delitti, ha deciso di ritrovare se stesso ripescando dal suo archivio una vecchia sceneggiatura. Ed ha finito col perdersi.
Il suo alter ego – senza dubbio il sessantaduenne protagonista – è tratteggiato con tale precisione da apparire perfetto nella sua anormalità. Le sue nevrosi, le assurde superstizioni - lavarsi le mani intonando "Happy birthday" per scacciar via i germi -, i cliché che tanto detesta ma dei quali alla fin fine si nutre: tutto viene tratteggiato minuziosamente, studiato a tavolino, di certo non per dare parola al personaggio in quanto tale, né per ravvivare l’azione e le situazioni. Sulla scena resta solo e soltanto Woody a divertirsi, facendo di ogni interprete – su tutti il brillante Larry David – nient’altro che un ventriloquo di quello scaltro burattinaio che è il regista.
Ne risulta una commedia tutto sommato godibile, che riesce nell’intento di strappare più di una risata al pubblico in sala ma che oscilla continuamente, fino ad allontanarsi da se stessa ed incespicare sugli stessi stereotipi contro i quali tanto s’accanisce. Così, fra la caricatura surreale (o irreale?) di un’ingenua di provincia e quella di un padre bigotto che si rivela gay a cinquant’anni, le parole scorrono a fiumi, gli attori gigioneggiano e l’ombra del deja-vu e del ‘già sentito’ incombe. In ballo di nuovo il destino, la forza del caso, il «dio arredatore» sostituito dalla fatalità: un Match Point dalle vesti più leggere e che fa sorridere. Ma che non funziona abbastanza.
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nick castle
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martedì 23 novembre 2010
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tra i migliori...
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E' uno dei film più comici di Woody Allen. Larry David è più che un alter-ego di Allen, è una sua versione più estremizzata, forse migliore. Così, non sono più le situazioni paradossali e le discussioni cervellotiche a far da padrone, ma situazioni comiche, sarcasmo, scetticismo e nichilismo, sono gli ingredienti scoppiettanti di questa nuova opera del maestro Woody, che supera di gran lunga altre sue pellicole, almeno per intrattenimento se non per accuratezza. E si, è vero, forse Woody si lascia un po' troppo andare nella comicità più semplice e nell'umorismo pungente di più facile assimilazione, ma ciò rende la sua opera molto più a portata di mano e i temi comunque trattati non perdono in ogni caso il loro contenuto.
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E' uno dei film più comici di Woody Allen. Larry David è più che un alter-ego di Allen, è una sua versione più estremizzata, forse migliore. Così, non sono più le situazioni paradossali e le discussioni cervellotiche a far da padrone, ma situazioni comiche, sarcasmo, scetticismo e nichilismo, sono gli ingredienti scoppiettanti di questa nuova opera del maestro Woody, che supera di gran lunga altre sue pellicole, almeno per intrattenimento se non per accuratezza. E si, è vero, forse Woody si lascia un po' troppo andare nella comicità più semplice e nell'umorismo pungente di più facile assimilazione, ma ciò rende la sua opera molto più a portata di mano e i temi comunque trattati non perdono in ogni caso il loro contenuto.
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boffese
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mercoledì 23 settembre 2009
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woody torna a new york
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basta che funzioni, segna il ritorno di woody nella sua new york e coincide con il ritorno alla grande commedia stile Allen, l'influenza della grande mela, fa' trovare la giusta ispirazione al geniale regista .
sceneggiatura fittissima di battute divertenti e di pure verita', monologhi fantastici appropriatissimi al fantastico larry david, jazz,dialoghi folgoranti, psicanalisi, personaggi divertenti...........insomma il buon vecchio woody allen.
la scrittura di woody allen, e' ineguagliabile,anche se ultimamente sembrava in fase calante, ma in basta che funzioni torna quello d'un tempo(infatti, la sceneggiatura era stata riposta in cassetto una trentina d'anni).
nella prima mezz'ora e' straripante, poi quando sembra calare , si ritorna a sorridere, anzi a tratti a ridere di gusto.
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basta che funzioni, segna il ritorno di woody nella sua new york e coincide con il ritorno alla grande commedia stile Allen, l'influenza della grande mela, fa' trovare la giusta ispirazione al geniale regista .
sceneggiatura fittissima di battute divertenti e di pure verita', monologhi fantastici appropriatissimi al fantastico larry david, jazz,dialoghi folgoranti, psicanalisi, personaggi divertenti...........insomma il buon vecchio woody allen.
la scrittura di woody allen, e' ineguagliabile,anche se ultimamente sembrava in fase calante, ma in basta che funzioni torna quello d'un tempo(infatti, la sceneggiatura era stata riposta in cassetto una trentina d'anni).
nella prima mezz'ora e' straripante, poi quando sembra calare , si ritorna a sorridere, anzi a tratti a ridere di gusto.
bentornato woody!
"Una volta, mentre facevamo all'amore, si è verificata una stranissima illusione ottica: sembrava quasi che lei si fosse mossa."
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[+] magnifica la frase finale!!
(di lucycana)
[ - ] magnifica la frase finale!!
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rumon
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domenica 18 ottobre 2009
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le "maschere" di mr. allen
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Woody Allen torna a New York e ci regala un film che sembra una commedia dell'arte, con dialoghi da sofisticated comedy. Se ne "La rosa purpurea del Cairo" era ricorso al cinema nel cinema, qui i personaggi si rivolgono, in vari momenti, compresi l'inizio e al fine, agli spettatori. I personaggi sono ancora le sue "maschere" newyorkesi: l'intellettuale snob, il razionalista ateo, la finta svampita dalla vitalità dirompente, l'arpia conservatrice. Ma poi questi personaggi recitano a soggetto, cioè reagendo in modo creativo e personale al canovaccio che la vita imbastisce con punti disordinati e, almeno apparentemente, caotici.
Ognuno ritrova la propria profonda umanità mettendosi in rapporto onesto con se stesso e con gli altri e aprendosi all'amore per la vita.
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Woody Allen torna a New York e ci regala un film che sembra una commedia dell'arte, con dialoghi da sofisticated comedy. Se ne "La rosa purpurea del Cairo" era ricorso al cinema nel cinema, qui i personaggi si rivolgono, in vari momenti, compresi l'inizio e al fine, agli spettatori. I personaggi sono ancora le sue "maschere" newyorkesi: l'intellettuale snob, il razionalista ateo, la finta svampita dalla vitalità dirompente, l'arpia conservatrice. Ma poi questi personaggi recitano a soggetto, cioè reagendo in modo creativo e personale al canovaccio che la vita imbastisce con punti disordinati e, almeno apparentemente, caotici.
Ognuno ritrova la propria profonda umanità mettendosi in rapporto onesto con se stesso e con gli altri e aprendosi all'amore per la vita.
Il cinico Allen non rinuncia al suo cinismo, ma esce dalla sacca di aridità, in cui potrebbe farlo finire un cinismo che si considerasse autosufficiente, riscoprendo la vita come occasione per manifestare l'amore che è dentro ognuno di noi. E proprio il suo benedetto, brillante cinismo consente di trarre questa lezione senza che vi si mischi nemmeno una goccia di melensaggine.
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francesco c.
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mercoledì 14 ottobre 2009
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basta che funzioni
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Allen torna a Manhattan per regalarci questa commedia dai toni cinici, divertenti, e fiduciosi nella possibilità di ottenere un po' di felicità nella nostra vita. Riprende molti dei suoi temi classici come religione, pessimismo esistenziale, paura della morte, accompagnati però questa volta da un'inedita luce di speranza pragmatica – Qualunque amore riusciate a dare e ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare, qualunque temporanea elargizione di grazia, basta che funzioni! – .
Boris Yelnikoff (Larry David), ex professore di fisica quantistica alla Columbia University, dopo il (fallito) suicidio ed il (riuscito) divorzio da una moglie bella e ricca, trascorre ora il suo tempo lamentandosi di ogni cosa ed insegnando scacchi a dei ragazzini che non manca di insultare per i loro errori.
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Allen torna a Manhattan per regalarci questa commedia dai toni cinici, divertenti, e fiduciosi nella possibilità di ottenere un po' di felicità nella nostra vita. Riprende molti dei suoi temi classici come religione, pessimismo esistenziale, paura della morte, accompagnati però questa volta da un'inedita luce di speranza pragmatica – Qualunque amore riusciate a dare e ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare, qualunque temporanea elargizione di grazia, basta che funzioni! – .
Boris Yelnikoff (Larry David), ex professore di fisica quantistica alla Columbia University, dopo il (fallito) suicidio ed il (riuscito) divorzio da una moglie bella e ricca, trascorre ora il suo tempo lamentandosi di ogni cosa ed insegnando scacchi a dei ragazzini che non manca di insultare per i loro errori. Come è tipico dello stile alleniano questo personaggio è caratterizzato da una sostanziosa dose di eccentricità e di fissazioni – Non sai che cantare due volte “Tanti auguri a te” mentre ti lavi le mani aiuta ad eliminare i germi? – .
Melody (Evan Rachel Wood), una giovane, bella, e straordinariamente sempliciotta, ragazza del Mississippi scappata di casa, incontra Boris e gli domanda ospitalità. Lui dopo averla riempita di frasi acide acconsente a farla salire, ma solo per qualche minuto. Dopo qualche mese i due si sposano.
Arriva anche la madre di lei, col suo bagaglio di preghiere condite con l'eloquio da “contadina” del Mississippi. Non ci vorrà molto però, per la vita artistico-alternativa di Manhattan, a trasformare quella donna religiosa di “sani principi” in una fotografa di nudi che vive che con due uomini. Poco dopo giunge il padre (che aveva lasciato la moglie per la sua migliore amica), anch'egli fervente cristiano – Ma perché tutti gli psicotici religiosi vengono a casa mia? – che finirà poi per fidanzarsi con un uomo.
Melody conosce, grazie alla madre in veste di eccezionale agenzia matrimoniale, un giovane e seducente attore di cui si innamora. Lascia Boris che decide, per la seconda volta, di suicidarsi. – Ci credereste? Ho fallito due volte! – Atterra infatti addosso ad una ragazza, con la quale a seguito dell'evento si fidanzerà.
Infondo, tra chi convive con due uomini e chi ha scoperto di essere omosessuale, tra chi sta con la donna addosso alla quale è caduto gettandosi dalla finestra e chi vive un amore giovanile, l'importante non è cosa sia giusto o sbagliato, o se quello sia o meno il miglior destino al quale si potesse aspirare, l'importante è essere felici, anche se per un attimo, l'importante è che funzioni!
Sebbene spesso Allen abbia il vizio di scrivere parti per se stesso e farle poi interpretare ad altri, con conseguenti realizzazioni inefficaci e forzate (si pensi ad esempio a Will Ferrell nel ruolo di Hobie in Melinda e Melinda), in questo Basta che funzioni Larry David è semplicemente sublime e perfettamente in accordo con la figura creata dal regista newyorkese. Molto valida è inoltre l'interpretazione della giovane e promettente Evan Rachel Wood, capace di dare al personaggio di Melody contemporaneamente un tócco di stupidità e di fascino.
Sono da sottolineare inoltre i dialoghi di Boris con lo spettatore, un espediente certamente non nuovo nella filmografia di Woody Allen (vi siamo abituati fin da Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso) ma che è comunque efficacie e conferisce una dimensione più personale al rapporto pubblico-opera cinematografica.
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