christian liguori
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mercoledì 29 gennaio 2020
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quando un attore salva un film altrimenti inutile
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“Un tassinaro a New York” è una commedia tarda di e con Alberto Sordi, distribuita nelle sale cinematografiche italiane nel 1987.
Che “Un tassinaro a New York” sia un cult diretto da Alberto Sordi (nonché da lui interpretato nel 1987) appare chiaro sin dall’inizio e si potrebbe anche non leggerlo o saperlo, poiché è abbastanza intuibile, anche per tutto il resto della pellicola, dalla costante presenza dell’attore, costantemente inquadrato dalla macchina da presa.
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“Un tassinaro a New York” è una commedia tarda di e con Alberto Sordi, distribuita nelle sale cinematografiche italiane nel 1987.
Che “Un tassinaro a New York” sia un cult diretto da Alberto Sordi (nonché da lui interpretato nel 1987) appare chiaro sin dall’inizio e si potrebbe anche non leggerlo o saperlo, poiché è abbastanza intuibile, anche per tutto il resto della pellicola, dalla costante presenza dell’attore, costantemente inquadrato dalla macchina da presa. Anche se il protagonista del film, come si può intuire già dal titolo, è un tassista, interpretato peraltro molto bene dal consolidato Albertone, l’errore che si commette, e che già lo stesso attore quando ha fatto il regista di film in cui ha recitato come protagonista e precedenti a questo ha commesso, è la subordinazione della trama, dei personaggi e dello sviluppo di entrambi alla comicità del protagonista Sordi. Una comicità che, tuttavia, funziona di meno qui e ad una certa rischia di annoiare, perché il film si muove tra alcuni stereotipi chiaramente italiani e spunti da americanate, approdando così ad una sintesi di poliziottesco all’italiana un po’ in ritardo coi tempi.
Poliziottesco e non poliziesco, perché tra l’altro tutto si risolve attraverso un continuo viaggio di trasferimento del protagonista che ha peccato di omertà (altro stereotipo italiano) nelle prime scene del film, e questa cosa gli è costata cara, ma da un lato ha anche permesso la genesi di questo prodotto. Insomma, una buona base di partenza che tuttavia non è sviluppata a sufficienza e a dovere, dato che tutto si risolve troppo facilmente e con una discreta dose di “scontatezza”. Insomma, c’è Sordi e l’America, in particolar modo gli USA, in questo film che in alcune inquadrature è persino girato con qualche difetto di distrazione e di inutile movimento della macchina da presa. L’arrivo a New York è seguito da una sequenza girata maluccio e caratterizzata da diversi minuti di musiche che forse sono solo buoni a testimoniare l’amore dichiarato che Sordi aveva per il Nuovo Continente. Appunto, questo film se lo cuce da sé sopra di sé un attore simbolo del cinema italiano, che tuttavia negli anni Ottanta stava invecchiando e attecchiva sempre di più anche nella recitazione e nella comicità, pur restando sempre bravo e professionale. Ovviamente, come interprete s’intende, non alla direzione artistica! Si veda, ad esempio, la scena d’ansia in aereo, interpretata impeccabilmente (mimicamente e verbalmente), ma è pur sempre un dejàvu, come lo sono i dialoghi con una mitica Anna Longhi che si conferma la stessa che avevamo lasciato dieci anni prima sempre con Sordi in “Dove vai in Vacanza?” del ‘77 nell’episodio di successo “Le vacanze intelligenti”. Le pochissime sequenze (mentre nell’episodio appena citato ve ne erano molte di più) che vedono interagire in questo cult Sordi e la Longhi sono ulteriori dejàvu di rimando, appunto, a quell’episodio di successo. Insomma, non è che Sordi si sia sforzato tanto nel realizzare il sequel de “Il tassinaro”, dato che ha ripreso e mescolato stilemi italiani di “vecchi” suoi film e certe americanate, condendo tutto con la sua solita ironia che l’ha reso maestro e che consente di vedere dall’inizio alla fine un film che si sarebbe potuto intitolare anche, più semplicemente, “Un Sordi a New York”.
E a proposito di dejàvu, la colonna sonora di Piero Piccioni, per quanto bella e fortemente “americana”, riprende tanto da sé dei film sordiani degli anni Ottanta.
Per non parlare del finale, risolto con ulteriore troppa facilità, in cui ci si chiede, con un pizzico di ironia, la povera Anna Longhi che fine abbia fatto.
Se c’era ormai poca fantasia e tanta crisi nel cinema comico italiano, che senso aveva in quel periodo allora realizzare un film così? La risposta è unicamente e costantemente: Albertone.
Valutazione: Buono
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elgatoloco
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martedì 17 aprile 2018
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tassinaro 2, forse meno convincente
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Quattro anni dopo"Il Tassinaro", Albertone Sordi rilancia con"Un Tassinaro a New York"(1987), con i soliti collaboratori e la sua propria regia, oltre che interpretazione... Sarà perché avevamo interiorizzato"Il Tassinaro", sarà perché qui l'intrusione della componente"poliziesca"-gialla riesce solo in parte, qualcosa stona o meglio i film rimane divertentissimo, ma a tratti il meccanismo sembra quasi inceppparsi, quasi ci fosse un"diavoletto", un qualcosa che blocca il funzionamento...probabilmente per l'equilibrio, appunto a tratti fragile-instabile, tra comicità pura e spavento, dove lo spavento è tutta la parte del tassinaro Sordi costretto, quale involontario testimone di un delitto mafioso, a recarsi negli States(dove si laurea il figlio)assistendo nuovamente a rituali come quelli precedenti, anzi venendo minacciato da chi lo ha riconosciuto dalla situazione romana, appunto.
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Quattro anni dopo"Il Tassinaro", Albertone Sordi rilancia con"Un Tassinaro a New York"(1987), con i soliti collaboratori e la sua propria regia, oltre che interpretazione... Sarà perché avevamo interiorizzato"Il Tassinaro", sarà perché qui l'intrusione della componente"poliziesca"-gialla riesce solo in parte, qualcosa stona o meglio i film rimane divertentissimo, ma a tratti il meccanismo sembra quasi inceppparsi, quasi ci fosse un"diavoletto", un qualcosa che blocca il funzionamento...probabilmente per l'equilibrio, appunto a tratti fragile-instabile, tra comicità pura e spavento, dove lo spavento è tutta la parte del tassinaro Sordi costretto, quale involontario testimone di un delitto mafioso, a recarsi negli States(dove si laurea il figlio)assistendo nuovamente a rituali come quelli precedenti, anzi venendo minacciato da chi lo ha riconosciuto dalla situazione romana, appunto... Come moglie c'è ANna Longhi, iper-romana convincente come attrice come negli altri film che l'hanno vista coinvolta(in genere con lo stesso Sordi, tra l'altro), come policeman c'è un attore di sicuro effetto e di assoluta bravura, che Sordi ha scelto con la consueta intelligenza e oculatezza, l'italoyankee Dom De Luise, una forza naturale della comicità, più volte visto in film di Mel Brooks, altra forza della comicità non solo americana(ed ebraica, naturalmente, ne ha il witz in pieno)ma internazionale. Fatte salve le piccole critiche precedenti, rimane un'opera di pregio assoluto. El Gato
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