chiara_bar82
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martedì 1 dicembre 2020
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che bomba
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Che bomba questo film, è uno spettacolo visivo. La scena del fuoco appare come una visione in un clima di realismo che ti destabilizza. il finale è sorprendente, speriamo che questo film possa tornare presto in Italia. Grazie di cuore al TFF per aver scelto film di qualità anche quest'anno!
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gmorini
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martedì 1 dicembre 2020
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molto profondo e sensibile
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Mi è piaciuto molto questo film messicano del torino FF! Riesce a parlare di immigrazione e sentimenti senza scadere nel patetico. Gli ambienti sono molto belli, e le interpretazioni, a mio modesto parere, sono assai realistiche. Da vedere.
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angelo umana
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domenica 29 novembre 2020
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senza segni identificativi
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Sin señas particulares. Un film del Torino Film Festival 2020 visto in streaming: cupo e terribile ma anche luminoso. Luminoso perché la fotografia e la luce di territori messicani illuminano le immagini, e per lo sguardo ora disperato ora di speranza di una madre protagonista, la 48enne Magdalena (Mercedes Hernandez), che cerca il suo figlio minorenne partito per posti sconosciuti, uno delle migliaia di migranti in cerca di futuro in un qualsiasi altrove. La loro città di provenienza è Guanajuato, a 2000 metri di altezza e 370 km. a nord-ovest di Città del Messico. E' partita con un rotolino di denaro prestatole e decisa a non tornare finché non troverà il ragazzo, quella ricerca è sua ragione di vita.
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Sin señas particulares. Un film del Torino Film Festival 2020 visto in streaming: cupo e terribile ma anche luminoso. Luminoso perché la fotografia e la luce di territori messicani illuminano le immagini, e per lo sguardo ora disperato ora di speranza di una madre protagonista, la 48enne Magdalena (Mercedes Hernandez), che cerca il suo figlio minorenne partito per posti sconosciuti, uno delle migliaia di migranti in cerca di futuro in un qualsiasi altrove. La loro città di provenienza è Guanajuato, a 2000 metri di altezza e 370 km. a nord-ovest di Città del Messico. E' partita con un rotolino di denaro prestatole e decisa a non tornare finché non troverà il ragazzo, quella ricerca è sua ragione di vita. In momenti in cui la speranza sembra abbandonarla lo rivede bambino sull'altalena. E' un “fatale andare”: dapprima nella grande città in alberghi malandati per migranti, poi per lande quasi desertiche. Le sono stati mostrati per un eventuale riconoscimento nelle camere mortuarie cadaveri di “viaggiatori” assaliti, uccisi e depredati. Ha voluto seguire una traccia nel paese di Ocampo, in cerca di un uomo quasi cieco e con l'aria da santone misterioso, uno che sostiene di aver visto il “diavolo”, costui è sopravvissuto all'assalto di un pullmann. Attraverso la sua vista velata e fatta d'ombre capiremo cosa è accaduto (notevole e di effetto la fotografia). Frequente in quei territori è la sparizione di autobus e corriere e dei loro passeggeri, esiste solo la legge di uomini armati. In quei posti non si sa di chi fidarsi per come vanno le cose. Il film è terribile per la scoperta che la madre farà, cercando e ricercando, della sorte di suo figlio sopravvissuto ma prigioniero di uno dei gruppi di briganti che imperversano in luoghi senza legge. Lo ritroverà, Magdalena, è stato preso e non può più andarsene. Dalle parole del vecchio misterioso saprà come al ragazzo è stata risparmiata la vita in una notte di fuoco e terrore.
Nel suo tragitto si è accompagnata per un tratto a un ragazzo, Miguel: pare di vedere un desiderio di sostituzione del figlio che non trovava. Ha proposto al ragazzo di andare a vivere da lei in montagna quando insieme constateranno che la madre e la famiglia di lui sono state sterminate, ma anche questo diverrà un desiderio inappagato. Resta nella memoria - come espressione delle sensazioni di scoramento di un migrante nella moltitudine di una grande città - il mare di luci rosse e bianche di auto ferme alla frontiera del distretto federale di Città del Messico. Il film ha tuttavia un'aria delicata, la si vede nel volto apprensivo di Magdalena nella sua ricerca; è realizzato dalla regista Fernanda Valadez e sceneggiato dalla stessa e da Astrid Rondero, con tatto e sensibilità tipicamente femminili.
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sabato 21 novembre 2020
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identificazione delle caratteristiche
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Si tratta di una sorta di thriller sociale, di una vera e propria "identificazione delle caratteristiche" come suggerisce la traduzione letterale. Una identificazione che la regista, Fernanda Valadez, ci fa seguire e anche, a tratti, sbagliare pensando di avere sempre i giusti dettagli davanti, i giusti oggetti che ci porteranno, invece, in strade sempre più profonde e inaspettate. Si inizia infatti con l'identificazione attraverso un album di "foto" che non raccoglie i soliti ricordi, i visi delle persone amate o semplicemnete i bei momenti da ricordare. In questo caso, l'immagine del solito album di foto perde il suo consueto significato per diventare un album degli orrori: non serve a ricordare le cose belle, ma a ritrovare "pezzi" di qualcosa che è andato perso e che non si vorrebbe ritrovare tra quelle pagine.
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Si tratta di una sorta di thriller sociale, di una vera e propria "identificazione delle caratteristiche" come suggerisce la traduzione letterale. Una identificazione che la regista, Fernanda Valadez, ci fa seguire e anche, a tratti, sbagliare pensando di avere sempre i giusti dettagli davanti, i giusti oggetti che ci porteranno, invece, in strade sempre più profonde e inaspettate. Si inizia infatti con l'identificazione attraverso un album di "foto" che non raccoglie i soliti ricordi, i visi delle persone amate o semplicemnete i bei momenti da ricordare. In questo caso, l'immagine del solito album di foto perde il suo consueto significato per diventare un album degli orrori: non serve a ricordare le cose belle, ma a ritrovare "pezzi" di qualcosa che è andato perso e che non si vorrebbe ritrovare tra quelle pagine. Non si vorrebbe, ma se si trova la foto di un viso o di un oggetto familiare, allora si avviano le preghiere come cantilene, come forma di dolore condiviso ma anche come dolore che è diventato un'abitudine e anche la preghiera ha il tono di una delle tante cantilene che ormai fanno parte della routine e quasi ci si abitua a una normalità che in realtà non lo è. Le madri coinvolte ricordano i momenti che hanno preceduto la partenza dei loro figli, momenti che vanno a inserirsi dentro il vero album dei ricordi, quello che tutti riempiamo non per "identificare" le persone amate, ma per riviverle gioiosamente attraverso quelle immagini. Sono madri giovani che hanno i segni di persone che danno l'idea di aver vissuto più della loro reale età: anche parlando dei loro figli ricordano "quando erano piccoli, come erano felici", ma in realtà si parla ancora di quei bambini perchè alcuni non sono neppure maggiorenni. Ed è proprio li che la regista ci fa entrare in un'altra dimensione, la dimensione della ricerca di quei bambini, attraverso oggetti, luoghi e percorsi da adulti. Fa questo attraverso una madre che in realtà è LA madre, la portavoce di tutte le voci. Una donna che ha un corpo diviso: durante tutto il film, fin da quando parte verso l'ignoto, la sua faccia è quasi arresa con un'espressione ferma, ma il suo corpo invece si muove, non sa ancora dove ma si muove verso quei luoghi che la accoglieranno e sconsoleranno allo stesso tempo. Questa doppia sensazione di arresa e tenacia si evince tutta in una stessa donna, una stessa madre, attraversata dai dolori di tutte le donne che porta dentro di sè cercando verità per tutte loro che, invece, arrese, fanno con lei un viaggio che forse già sanno dove porterà. Per questo, al ritrovamento di comune oggetto come una sacca non riesce nemmeno a rispondere alle domande che gli fanno sul nome del figlio perchè non vuole arrendersi al pensiero che quella sacca sia da sola per un motivo orribile. E, allora, non pronunciare quel nome, la aiuta a proseguire per il viaggio, a non ammettere la sua morte. Viaggio che farà non da sola: la regista, infatti, consapevole del bisogno di avere la doppia prospettiva per capire veramente questa dura realtà, ci fa viaggiare come madri e poi come figli, con Miguel. Lei, madre di tutti i figli scomparsi, mai tornati, uccisi e, lui, figlio di tutte quelle madri ancora in attesa che vedono in lui la speranza che qualcosa cambi: "di spalle somigli a mio figlio".."tutti ci somigliamo di spalle". Forse è proprio qui che capiamo quanto il corpo deve andare avanti per trovare verità, anche dure ma pur sempre verità, ma quanto in realtà quel viso sapeva già tutto ancor prima di partire e per questo rassegnato. Un film con pochi dialoghi ma significativi e con tante parole sui visi e sulle espressioni facciali, parole che fanno rumore e che urlano più di tutto. Questo viene fuori con maggior forza sopratutto nel momento in cui vediamo la condivisione di spazi, tempi e silenzi dei due protagonisti: poche parole ma tanto dolore da condividere e tanta forza nel cercare, l'uno nell'altro, la verità che dà scopo al loro viaggio. Si cerca una persona diversa, ma si cerca lo stesso dolore. Ed è per questo che tutti i soggetti incontrati concorrono, senza a volte palesarsi, nella ricerca e nell'accettazione di quel dolore: dolore che forse tutte quelle persone hanno rinunciato a disvelare e che, tramite, questa madre, ricercano per sentirsi, forse, meno in colpa, per non aver avuto il coraggio di mettersi in cammino. Verso la fine si comprende in una sola frase il perchè tutte quelle madri, tutti quei padri e tutti quei figli hanno rinunciato e accettato di vivere una realtà così ingiusta ma sempre più reale. La madre non piange durante tutta la ricerca della verità facendosi guidare dal pensiero del figlio vivo, ma quando lo ritrova la sua faccia finalmente piange: piange non di gioia perchè è vivo, ma perchè lo è in quel modo. Allora quell'immagine davanti al fuoco di carnefice carnevalesco prende le sembianze di quel figlio tanto cercato e immaginato attraverso una sacca. E, ancora una volta, senza parole, ma con un viso carico di significato, aspetta che il figlio dica qualcosa, qualcosa che non le faccia invidiare tutte quelle madri che hanno pianto di fronte alle pagine di quell'album ma che forse hanno mantenuto un ricordo sereno. Così la frase che unisce viso e corpo, dove tutto finalmente e dolorosamente è riunito nel fermarsi e arrendersi, è l'unica frase che spiega perchè la vita non può essere vissuta così, non può portare a vivere e ad accettare certe realtà per quanto tutte quelle facce siano arrese. "Non preoccuparti, ti manderò dei soldi".
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