sia21
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venerdì 4 maggio 2018
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un piacere per gli occhi
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Wes Anderson è ormai un regista di culto, uno di quelli con una nicchia, in verità molto ampia, di fan che amano il suo particolarissimo stile e che conoscono a memoria ogni sua pellicola: questo fa sì che quando i suoi film escono al cinema ci siano, da una parte, ammiratori convinti di andare a vedere l'ennesimo capolavoro di un genio, dall'altra, spettatori iper-critici sempre pronti a dire "Visto? alla fine ha steccato anche lui, come immaginavo". Fortunatamente, ancora una volta, questi secondi hanno viste deluse le proprie aspettative. Anderson non sbaglia, anzi, si migliora, superando addirittura il suo riuscitissimo precedente nel campo dell'animazione "Fantastic Mr.
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Wes Anderson è ormai un regista di culto, uno di quelli con una nicchia, in verità molto ampia, di fan che amano il suo particolarissimo stile e che conoscono a memoria ogni sua pellicola: questo fa sì che quando i suoi film escono al cinema ci siano, da una parte, ammiratori convinti di andare a vedere l'ennesimo capolavoro di un genio, dall'altra, spettatori iper-critici sempre pronti a dire "Visto? alla fine ha steccato anche lui, come immaginavo". Fortunatamente, ancora una volta, questi secondi hanno viste deluse le proprie aspettative. Anderson non sbaglia, anzi, si migliora, superando addirittura il suo riuscitissimo precedente nel campo dell'animazione "Fantastic Mr. Fox"; e lo fa con un capolavoro tecnico del cinema in stop motion.
Il film ha tutte le caratteristiche del cinema andersoniano, come, ad esempio, la maniacale attenzione ai particolari, mai fine a sé stessa, l'ironia sottile e ricercata, talvolta anche molto amara, e la perfetta simmetria delle inquadrature (in realtà meno esasperata rispetto ad alcuni suoi lavori precedenti). Tuttavia in questa pellicola del regista texano sono presenti anche elementi nuovi rispetto al passato; infatti se è vero che si torna in Asia come ne "Il treno per Darjeeling", è anche vero che si è ben lontani dall'India soleggiata presentata nel film del 2007, e ci si ritrova in una una cupa città giapponese, governata da un'amministrazione corrotta e spietata, nella quale il cielo è sempre coperto da nuvole, genialmente fatte di Washi: questo tono tetro, o meglio, più tetro rispetto agli altri film di Anderson, è giustificato dallo svolgimento dell'intera vicenda in un futuro prossimo, a tratti distopico (più correttamente, in un'ambientazione post-moderna). Detto questo, per rendere giustizia al film e non farlo apparire come qualcosa di troppo "pesante", bisogna dire che "L'isola dei cani" è meravigliosamente adatto a qualsiasi fascia d'età, espressione banale, ma mai tanto vera come in questo caso, proprio perché siamo di fronte ad un nuovo classico, godibile da tutti a diversi livelli di comprensione.
A mio avviso il genio di Anderson sta proprio in questa sua capacità unica di trattare qualsiasi tema con un leggerezza straordinaria: nei suoi lavori c'è tutto quello che una persona può sperimentare nel corso della sua vita, dalla felicità e dall'amore fino alla disperazione e alla morte, ma tutto all'interno di una cornice estremamente conciliante, che elimina programmaticamente qualsiasi forma di radicalità, e lo fa, però, senza mai finire nel banale, nel semplicistico o nel melenso sentimentalismo. Guardando i suoi film a volte si ha come la sensazione di essere presi in giro, derisi nella nostra mediocrità di uomini, come se alla base di tutto ci fosse un certo nichilismo latente, ma è proprio questo che ci fa capire che, come gli eroi e le eroine andersoniani, forse dovremmo prenderci tutti con molta meno serietà, accettando con più semplicità il fatto di essere dei meravigliosi ossimori incoerenti che camminano. Se tutti noi vivessimo così, forse favole come quella de "L'isola dei cani" sarebbero molto più verosimili.
P. S. il film si merita più di quattro stelle, ma meno di cinque, semplicemente perché ad una prima parte che rasenta la perfezione ne succede una seconda meno coerente, perché forse troppo dinamica (molto banalmente avvengono troppi eventi in troppo poco tempo); tuttavia, come già scritto sopra, questo lavoro merita assolutamente di essere visto.
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[+] favola ecologica, tra politica e fascino manga
(di antoniomontefalcone)
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zarar
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martedì 22 maggio 2018
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un trascinante vagabondaggio visuale
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Wes Anderson saccheggia una quantità di materiali eterogenei preesistenti, dall’animazione della Pixar (chi , nell’isola dei cani reietti, non rivede l’ambientazione di Wall-e?) a quella Disney di Lilli e il Vagabondo, alla grafica aggressiva dei manga giapponesi, fino al raffinatissimo Hokusai della Grande onda, per costruire un prodotto totalmente suo, un animatissimo stop-motion in cui il gusto della narrazione che straborda, che usa gli schemi classici per rovesciarli in modo surreale, ironico, grottesco, è tutto. Narratore senza freno, il regista si prende tutte le libertà possibili: quella di decidere che il punto di vista è quello dei cani, non quello degli umani (sono loro che parlano agli spettatori, gli umani sono ‘tradotti’; quella di perdersi dietro divagazioni ‘inutili’ giusto per il gusto di farlo, perché quell’immagine in movimento lo trascina e conquista la macchina da presa (la traversata dell’isola in carrello dei quattro cani, Atari che non resiste ad una discesa sullo scivolo), quella di una denuncia ‘politica’ così esasperata nella sua schematizzazione e tipizzazione estrema da avere la forza subliminale della parabola da una parte, della favola crudele dall’altra; quella di una gamma di colori accesi nella gamma degli acidi, del bianco sporco, dei prugna, dei violetti, dei neri, così lontani dai pastelli dell’animazione occidentale; quella del brutto sporco, buono o feroce che sia (indifferentemente cane o umano), ma con occhi sempre curiosamente imploranti, che chiama continuamente in causa lo spettatore con primi primissimi piani da attore drammatico; quella di ritrovare l’umano/canino e il sogno e la favola anche in un paesaggio di spazzatura senza cielo; quella del piccolissimo dettaglio inaspettato dove meno te lo aspetteresti; quella che accetta come possibili tutte le metamorfosi, anche le più improbabili.
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Wes Anderson saccheggia una quantità di materiali eterogenei preesistenti, dall’animazione della Pixar (chi , nell’isola dei cani reietti, non rivede l’ambientazione di Wall-e?) a quella Disney di Lilli e il Vagabondo, alla grafica aggressiva dei manga giapponesi, fino al raffinatissimo Hokusai della Grande onda, per costruire un prodotto totalmente suo, un animatissimo stop-motion in cui il gusto della narrazione che straborda, che usa gli schemi classici per rovesciarli in modo surreale, ironico, grottesco, è tutto. Narratore senza freno, il regista si prende tutte le libertà possibili: quella di decidere che il punto di vista è quello dei cani, non quello degli umani (sono loro che parlano agli spettatori, gli umani sono ‘tradotti’; quella di perdersi dietro divagazioni ‘inutili’ giusto per il gusto di farlo, perché quell’immagine in movimento lo trascina e conquista la macchina da presa (la traversata dell’isola in carrello dei quattro cani, Atari che non resiste ad una discesa sullo scivolo), quella di una denuncia ‘politica’ così esasperata nella sua schematizzazione e tipizzazione estrema da avere la forza subliminale della parabola da una parte, della favola crudele dall’altra; quella di una gamma di colori accesi nella gamma degli acidi, del bianco sporco, dei prugna, dei violetti, dei neri, così lontani dai pastelli dell’animazione occidentale; quella del brutto sporco, buono o feroce che sia (indifferentemente cane o umano), ma con occhi sempre curiosamente imploranti, che chiama continuamente in causa lo spettatore con primi primissimi piani da attore drammatico; quella di ritrovare l’umano/canino e il sogno e la favola anche in un paesaggio di spazzatura senza cielo; quella del piccolissimo dettaglio inaspettato dove meno te lo aspetteresti; quella che accetta come possibili tutte le metamorfosi, anche le più improbabili. In questo caleidoscopio narrativo, la trama ti arriva sotto traccia, mentre ti godi quello che il regista ti offre, tra una sorpresa e l’altra, come straordinario viaggio visuale.
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philwes
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domenica 6 maggio 2018
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il migliore amico di wes
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Anderson riesce ancora una volta a stupire con un film che è pura arte visiva e intrattenimento piacevole allo stesso tempo. Una regia incredibile accompagna l'intera durata del film con piani sequenza, numerosi split screen, profondità di campo e montaggio interno da vero maestro, composizione dell'immagine mai banale e scelte stilistiche che variano dalla stop-motion più artigianale possibile (scelta che è da stimare in un periodo dove sembra che per ogni cosa si debba usufruire della CGI ad ogni costo) alle tecniche d'animazione tradizionale giapponese. Che dire poi di una fotografia sempre colorata, piena di luci e ombre a sottolineare la drammaticità del momento, o della scenografia dettagliatissima e curata in maniera maniacale dal genio "bambino", come mi piace definirlo, Wes Anderson.
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Anderson riesce ancora una volta a stupire con un film che è pura arte visiva e intrattenimento piacevole allo stesso tempo. Una regia incredibile accompagna l'intera durata del film con piani sequenza, numerosi split screen, profondità di campo e montaggio interno da vero maestro, composizione dell'immagine mai banale e scelte stilistiche che variano dalla stop-motion più artigianale possibile (scelta che è da stimare in un periodo dove sembra che per ogni cosa si debba usufruire della CGI ad ogni costo) alle tecniche d'animazione tradizionale giapponese. Che dire poi di una fotografia sempre colorata, piena di luci e ombre a sottolineare la drammaticità del momento, o della scenografia dettagliatissima e curata in maniera maniacale dal genio "bambino", come mi piace definirlo, Wes Anderson. Non mancano le citazioni a grandi opere, basti pensare alla grande onda di Kanagawa o al manifesto gigante di Kobayashi che richiama in maniera esplicita quello di Kane in "Quarto Potere", con la stessa funzione semantica di contrapporre un uomo in realtà molto piccolo dentro ad un immagine enorme esteriore, volta a terrorizzare l'elettorato. La storia è come spesso capita nei film di Anderson, leggera, divertente e spensierata (non mancano momenti di black humor molto leggero). Vi troverete davanti un'avventura che non ha target, in sala c'erano bambini,ragazzi e anziani, tutti positivamente colpiti dal film. Da notare anche il sottotesto socio-politico che non intacca la spensieratezza dell'avventura, ma comunque garantisce allo spettatore spunti di riflessione sulla corruzione del potere, lo sfruttamento delle masse da controllare e situazioni politiche poco trasparenti in Oriente (basti pensare alla Cina col suo mono-partito) ed infine l'accanimento sui più deboli che non hanno mezzi per combattere ma una volontà ferrea di reagire, grazie alla coesione e alla democrazia pulita (come le scelte del gruppo di Chief, sempre per maggioranza di votazioni) che deve vincere queste situazioni di marciume politico.
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felicity
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mercoledì 31 luglio 2019
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un film d’animazione fortemente politico
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Wes Anderson torna alla stop-motion con una saga canina. Per dimostrare quanto l'umanità non sia all'altezza della pietà dei cani.
Il gioco dell'incomunicabilità (fra personaggi e fra personaggi e spettatori) assume una grande rilevanza, aiutato da salti linguistici spesso privi di traduzione e dal bombardamento tipografico che riempie lo schermo, trasformando la visione in un continuo lampeggiare di scritte, didascalie e ideogrammi spesso incomprensibili.
Tra randagismo e addomesticamento, poli esistenziali opposti, il film infine traccia una riflessione su cosa significhi dirsi liberi in un mondo di assoluta solitudine o in un universo di relazioni che, volenti o nolenti, delimitano e definiscono il nostro essere, arricchendolo.
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Wes Anderson torna alla stop-motion con una saga canina. Per dimostrare quanto l'umanità non sia all'altezza della pietà dei cani.
Il gioco dell'incomunicabilità (fra personaggi e fra personaggi e spettatori) assume una grande rilevanza, aiutato da salti linguistici spesso privi di traduzione e dal bombardamento tipografico che riempie lo schermo, trasformando la visione in un continuo lampeggiare di scritte, didascalie e ideogrammi spesso incomprensibili.
Tra randagismo e addomesticamento, poli esistenziali opposti, il film infine traccia una riflessione su cosa significhi dirsi liberi in un mondo di assoluta solitudine o in un universo di relazioni che, volenti o nolenti, delimitano e definiscono il nostro essere, arricchendolo.
Wes Anderson ne fa sintesi folgorante quando ad imporsi è il bisogno insopprimibile dell’appartenenza, a un “padrone”, a una famiglia, a una comunità, semplicemente all’altro da sé.
Dal privato al sociale, il passo è breve: l’istinto gregario dei cani si fa ideale democratico, il riflesso individualista cede alla costruzione ragionata di una comunità civile, di una convivenza pacifica tra diversi.
Dunque un film d’animazione assolutamente politico e urgente.
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ettorerivalta
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giovedì 3 maggio 2018
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film coinvolgente ed eccentrico, simpatico
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Bellissimo film d'animazione di uno dei miei registi preferiti, Wes Anderson, che con la stravaganza che esprime nei suoi film riesce sempre a coinvolgermi.
La trama del lungometraggio credo sia, nella prima parte, bellissima, divertente e per nulla banale, caratteristica che nei film d'animazione degli ultimi tempi è sempre più rara. Da questo punto di vista prende una piega anche di prevedibilità verso la conclusione, e ciò mi spinge a pensare che sicuramente il regista avrebbe potuto fare ancora meglio "L'isola dei cani"...
In ogni caso il film trovo che meriti le cinque stelle, lo consiglierei a chiunque e lo rivedrei volentieri più volte
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biso93
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sabato 12 maggio 2018
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la rivoluzione della spazzatura
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L'isola dei cani è un film del 2018 scritto e diretto da Wes Anderson e realizzato con la tecnica dello stop motion. L'isola dei cani è un film animato distopico e a mio modesto parere di rarissima intelligenza. I temi trattati non sono nuovi, temi politici, sociali, economici...ma il modo in cui Wes Anderson riesce a trasmetterceli di nuovo e' leggero, divertente, ironico e affascinante. Il film ha un grande pregio, riesce con ironica leggerezza a suscitare nello spettatore molteplici emozioni, lasciandolo a fine visione, arricchito e appagato. Un altra grande conferma per questo grande cineasta dei nostri tempi. Un piccolo scorcio di trama questa volta lo concedo: l'isola dei cani e' ambientato in un Giappone razzista e governato da una classe politica atta a cancellare la presenza dei cani nel territorio, relegandoli nell'isola dei rifiuti.
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L'isola dei cani è un film del 2018 scritto e diretto da Wes Anderson e realizzato con la tecnica dello stop motion. L'isola dei cani è un film animato distopico e a mio modesto parere di rarissima intelligenza. I temi trattati non sono nuovi, temi politici, sociali, economici...ma il modo in cui Wes Anderson riesce a trasmetterceli di nuovo e' leggero, divertente, ironico e affascinante. Il film ha un grande pregio, riesce con ironica leggerezza a suscitare nello spettatore molteplici emozioni, lasciandolo a fine visione, arricchito e appagato. Un altra grande conferma per questo grande cineasta dei nostri tempi. Un piccolo scorcio di trama questa volta lo concedo: l'isola dei cani e' ambientato in un Giappone razzista e governato da una classe politica atta a cancellare la presenza dei cani nel territorio, relegandoli nell'isola dei rifiuti. Un ragazzo xo tentera' di riportare indietro il suo migliore amico!! Consigliato a grandi e piccini, un cartone animato di rara intelligenza!
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vanessa zarastro
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giovedì 12 luglio 2018
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uno sperimentatore di generi
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In questa estate romana molte sale cinematografiche propongono delle rassegne e ogni giorni proiettano un film uscito quest’anno, dando la possibilità a chi non l’abbia visto di recuperarne la visione. È appunto il caso di questo delizioso film di Wes Anderson, un regista che continua a stupirci per il suo sperimentare vari generi diversi. Lo ricordiamo in “I Tannenbaum” del 2002, una sorta di storia a fumetti dei membri di una famiglia che si riuniscono dopo tanti anni che hanno vissuto separati, “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” del 2005, la storia di un ricercatore e regista di documentari marini che si mette a caccia dello squalo-giaguaro che ha divorato il suo migliore amico, e in “Grand Budapest Hotel” del 2014, una serie di storie a scatole cinesi che attraversa il secolo scorso, narrata dal concierge dell’albergo mitteleuropeo.
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In questa estate romana molte sale cinematografiche propongono delle rassegne e ogni giorni proiettano un film uscito quest’anno, dando la possibilità a chi non l’abbia visto di recuperarne la visione. È appunto il caso di questo delizioso film di Wes Anderson, un regista che continua a stupirci per il suo sperimentare vari generi diversi. Lo ricordiamo in “I Tannenbaum” del 2002, una sorta di storia a fumetti dei membri di una famiglia che si riuniscono dopo tanti anni che hanno vissuto separati, “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” del 2005, la storia di un ricercatore e regista di documentari marini che si mette a caccia dello squalo-giaguaro che ha divorato il suo migliore amico, e in “Grand Budapest Hotel” del 2014, una serie di storie a scatole cinesi che attraversa il secolo scorso, narrata dal concierge dell’albergo mitteleuropeo.
“L’Isola dei cani” è stato presentato al Festival di Berlino del 2018 dove ha vinto l’Orso d’Argento per la miglior regia, è un film distopico di animazione in stop motion ed è ambientato in un prossimo futuro (2037) in Giappone, in particolare sull’isola dei rifiuti, dove uomini e cani antropomorfi convivono. Per animazione stop motion si intende l’insieme di foto di figure tridimensionali mosse manualmente fotogramma dopo fotogramma. La figura viene posizionata, si scatta una foto, la si muove, si scatta un’altra foto e così via migliaia di volte. Per “Isle of Dogs” ci ha lavorato Andy Gent (già collaboratore per “Grand Budapest Hotel”) e il suo team costruendo tutti i pupazzi e ci sono voluti ventisette animatori e dieci assistenti.
Il perfido Sindaco di Megasaki – città capitale dell’arcipelago giapponese – è un gattofilo e tenta di sterminare la razza canina incolpata di pandemia. A tale scopo ha indotto un’influenza canina e ogni cane ammalato viene deportato lì, sull’isola dei rifiuti. Lo scienziato, il Prof. Watanabi e la sua assistente hanno trovato il vaccino (o meglio l’antidoto) ma lui viene messo agli arresti domiciliari e poi avvelenato, facendo sembrare un suicidio.
Il Sindaco (Nomura Kunichi) è lo zio di Atari Kobayashi (Koyu Rankin), un bambino di dodici anni rimasto orfano, al quale è stato dato un cane/guardia del corpo di nome Spots. Il bambino si recherà sull’isola alla ricerca del suo cane con un piccolo aereo monoposto, un Junior Turbo Prop. Lì farà conoscenza di cinque cani simpatici che lo aiuteranno nella ricerca. Molti bravi e noti attori americani hanno prestato le loro voci: Chief è doppiato da Bryan Cranston, Rex da Edward Norton, Boss da Bill Murray, Duke da Jeff Godblum e King da Bob Babalan. Ma ancora altri come Liv Schreiber (Spots), Scarlett Johansson, Frances McDormand, Tilda Swinton, F. Murray Abraham, Greta Gerwig, Harvey Keitel. Questo divertente gruppetto ricorda dei vitelloni di provincia che amano i pettegolezzi, hanno all’interno una certa competitività di leaderismo, comunque la loro democrazia si contrappone alla neo-dittatura del Sindaco.
La vicenda con il lieto fine è piuttosto prevedibile: Chief il randagio che morde, non solo avrà anche lui un padroncino affettuoso, ma ritroverà pure un fratello. Sia lui sia suo fratello maggiore Spots troveranno l’amore della vita e diventeranno padri. Atari, a sua volta, si fidanzerà con la bambina saputella dell’Ohio che, da brava giornalista d’inchiesta, ha portato avanti le battaglie degli studenti che hanno fatto cadere il Sindaco e svelare l’imbroglio. Interessante è il fatto che solo i cani parlano una lingua comprensibile (inglese o italiano se doppiato) e hanno emozioni antropiche, mentre Wes Anderson fa parlare gli umani in giapponese per creare un’alterità ribaltata tra cani e umani.
Il film ha un gusto minimalista, così come la cultura Zen ci induce a pensare. L’ambientazione è particolarmente curata, l’isola è ben raccontata nella sua morfologia e progettata con un design elegante e dettagliato anche negli scarti. Un’ambientazione analoga si era vista, forse, in un altro film stop-motion “Wall-E” realizzatodalla Pixar Animation Studio nel 2008. Ne “L’Isola dei cani” la visione del futuro, come spesso nella fantascienza, ha molte notazioni retrò che lo fa assomigliare qua e là ad ambienti di mezzo secolo fa.
Ciò che mi è piaciuto maggiormente del film è la messa in evidenza della contraddizione giapponese fra tradizione e innovazione (in particolare tecnologica). Un esempio lo si percepisce nel balletto funebre in memoria del bambino creduto morto, alternato nel montaggio alle scene delle costruzioni/invenzioni di Atari alla riscossa con tutti i cani.
Wes Anderson ha lavorato alla sceneggiatura assieme ai suoi abituali collaboratori (anche se la sceneggiatura è firmata solo da lui): Roman Coppola e Jason Schwartzmann e con la consulenza dell’attore giapponese Kunichi Nomura già interprete di “Grand Budapest Hotel”. Inoltre, lo stesso regista afferma di essersi ispirato ai film di Akira Kurosawa. La figura di Ataki, come alcuni critici hanno riscontrato, è una mediazione tra il cinema di Hayao Miyazaki (il re dell’animazione giapponese) e il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry.
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rmarci 05
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martedì 28 maggio 2019
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piacevole, irresistibile, geniale
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Wes Anderson, abile creatore di mondi meravigliosamente assurdi ed immaginari quanto reali come quello Grand Budapest Hotel, ambienta il suo secondo film d'animazione nella fittizia città di Megasaki, dove l'isolamento dei cani non è altro che una metafora intenta a sviscerare tutta la cattiveria dell'essere umano, il suo opportunismo nell'abbandonare a sé stessi i "migliori amici dell'uomo" e la sua codardia di fronte ai problemi, a cui consegue, inoltre, la scelta della soluzione semplice e non di quella giusta per risolverli. A ciò si aggiunge una forte componente politica, caratterizzata da un'importante critica ad un governo capeggiato da uomini vili e senza scrupoli, spesso e volentieri disposti a ricorrere a metodi discutibili per raggiungere i propri interessi.
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Wes Anderson, abile creatore di mondi meravigliosamente assurdi ed immaginari quanto reali come quello Grand Budapest Hotel, ambienta il suo secondo film d'animazione nella fittizia città di Megasaki, dove l'isolamento dei cani non è altro che una metafora intenta a sviscerare tutta la cattiveria dell'essere umano, il suo opportunismo nell'abbandonare a sé stessi i "migliori amici dell'uomo" e la sua codardia di fronte ai problemi, a cui consegue, inoltre, la scelta della soluzione semplice e non di quella giusta per risolverli. A ciò si aggiunge una forte componente politica, caratterizzata da un'importante critica ad un governo capeggiato da uomini vili e senza scrupoli, spesso e volentieri disposti a ricorrere a metodi discutibili per raggiungere i propri interessi. I momenti più prolissi della narrazione sono parzialmente ravvivati dalla bellezza formale delle scenografie dettagliate ma non barocche e dalla perfezione geometrica delle inquadrature tipiche del regista, che qui, grazie al fascino quasi poetico della stop-motion, trovano la loro massima espressione. Altrettanto degni di nota sono i dialoghi brillanti e le scene irresistibili, in cui l'alchimia tra i vari personaggi è dovuta all'ottima delineazione dei protagonisti, a volte caratterizzati da comportamenti volutamente ripetitivi. Dunque un film quasi perfetto sotto molti punti di vista, dall'incredibile fascino visivo, ma anche ricco di contenuto e pregno di divertimento per i più piccoli. Assolutamente da vedere, per tutta la famiglia.
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dandy
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giovedì 11 marzo 2021
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io mordo.
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Il ritorno all'animazione di Anderson(sempre con pupazzi a passo uno) dopo "Fantatic Mr Fox) è un cartone di spiccata tematica ambientalista e anticapitalista,nel messaggio universale del rispetto reciproco tra razze e della forza dell'unione.Visivamente sugestivo,pieno di omaggi alla cultura giapponese non solo cinematografica(si va da Kurosawa a Megasaki a Miyazaki).In linea con l'universo personale del regista,il film può comunque faticare a coinvolgere i più piccoli visto lo svolgimento non proprio fluido e risultare nell'insieme un pò freddo per i più grandi.Ben caratterizzati comunque i personaggi,ed efficace l'ironia di fondo(il tormentone del voto dove Capo è sempre in minoranza).
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Il ritorno all'animazione di Anderson(sempre con pupazzi a passo uno) dopo "Fantatic Mr Fox) è un cartone di spiccata tematica ambientalista e anticapitalista,nel messaggio universale del rispetto reciproco tra razze e della forza dell'unione.Visivamente sugestivo,pieno di omaggi alla cultura giapponese non solo cinematografica(si va da Kurosawa a Megasaki a Miyazaki).In linea con l'universo personale del regista,il film può comunque faticare a coinvolgere i più piccoli visto lo svolgimento non proprio fluido e risultare nell'insieme un pò freddo per i più grandi.Ben caratterizzati comunque i personaggi,ed efficace l'ironia di fondo(il tormentone del voto dove Capo è sempre in minoranza).Belle le musiche di Alexandre Desplat.Amatissimo da Katushiro Otomo(regista di "Akira"),che ha disegnato una locandina alternativa.La sceneggiatura è del regista,scritta con Roman Coppola e Jason Schwartzman.In patria hanno organizzato proiezioni "dog friendly",dove gli spettatori possono portarsi appresso i cani.Atary è doppiato da Koyu Rankin(in italiano da Luca Tesei);Capo da Bryan Cranston(Stafano De Sando);Rex da Edward Norton(Massimo DeAmbrosis);King da Bob Balaban(Mino Caprio);Duke da Jeff Goldblum(Sandro Acerbo);Boss da Bill Murray(Angelo Nicotra);Tracy Walker da Greta Gerwig(Veronica Puccio);Jupiter da F.Murray Abraham(Michele Kalamera);Oracolo da Tilda Swinton(Anna Cesareni);interprete Nelson da Frances McDormand(Antonella Giannini);Nutmeg da Scarlett Johansson(Domitilla D'Amico);Gondo da Harvey Keitel(Ennio Coltorti) e Spots da Liev Schreiber(Pino Insegno).La voce narrante è di Courtney B.Vance(Alessandro Rossi).
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cardclau
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lunedì 7 maggio 2018
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di ves anderson c'è né uno
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L'isola dei cani è un film di animazione da leccarsi i baffi. Una animazione particolarissima, originalissima, ambientata nell'arcipelago giapponese, all'interno di una storia ottimamente costruita, in cui c'è di tutto, dal lato umano più fetido, a quello più vitale (spesso impersonato, ma non sempre, dalla razza canina). Capisco che il paragone è un po' azzardato, ma come la musica di Johann Sebastian Bach è piena zeppa di note, in uno strepitoso equilibrio subentrante, in cui tutto si fonde in una generale armonia, così il film di Ves Anderson è pieno zeppo di immagini, di storie, anche di particolari effetti musicali, ben armonizzate tra loro.
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L'isola dei cani è un film di animazione da leccarsi i baffi. Una animazione particolarissima, originalissima, ambientata nell'arcipelago giapponese, all'interno di una storia ottimamente costruita, in cui c'è di tutto, dal lato umano più fetido, a quello più vitale (spesso impersonato, ma non sempre, dalla razza canina). Capisco che il paragone è un po' azzardato, ma come la musica di Johann Sebastian Bach è piena zeppa di note, in uno strepitoso equilibrio subentrante, in cui tutto si fonde in una generale armonia, così il film di Ves Anderson è pieno zeppo di immagini, di storie, anche di particolari effetti musicali, ben armonizzate tra loro. La storia principale è un classico, il potere gestito in modo assoluto, che cerca il consenso del popolo "sovrano" attraverso la creazione di capri espiatori ad hoc, che vengono generalmente bevuti con una soddisfazione acritica e direi fondamentalmente maligna, cattiva, stavolta non gli armeni, gli ebrei, i palestinesi, gli iracheni, gli afgani, ..., ma i cani affetti da supposte letali malattie che potrebbero sicuramente essere "trasmesse" al genere umano. I capri espiatori, con l'ovvio consenso di tutti, devono essere deportati, inizialmente, poi dovrebbero essere tutti portati alla soluzione finale. Il mondo trasformato in una gigantesca pattumiera è una realtà non così improbabile, come il mantenimento di privilegi ad oltranzza, non importa a scapito di chi. La cosa fondamentale di tutte queste cose, i capri espiatori, il mondo pattumiera, siano mantenuti separati da noi, e quindi ignorati, anche se a due passi, dietro l'angolo. Ves Anderson ha il coraggio di affrontare queste disturbanti tematiche con una modalità unica, da non perdere.
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