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Estrema Huppert

di Natalia Aspesi La Repubblica

Lo sconosciuto mascherato come fosse Diabolik è penetrato in casa, l'assale, la colpisce con pugili e calci, la getta sul pavimento, la sovrasta, la immobilizza, le strappa il vestito, le calze, le mutande e la sodomizza. Marty, il bel gattone grigio, osserva, immobile e incuriosito la scena di massima violenza, come noi spettatori, che senza emozione ci chiediamo, ma lei urla per il dolore, il terrore, l'umiliazione, oppure perché sta provando un piacere irrefrenabile e ignoto? Lo stupro è già avvenuto e il film comincia con la vittima che pochi minuti dopo, il viso ferito e il corpo sanguinante, si mette imperturbabile a raccogliere i cocci di un vaso schiantato durante la colluttazione, a fare un bel bagno caldo e a ordinare sushi per telefono. E' successo, ma è come se non fosse successo niente, o è successo troppo? Oppure semplicemente ciò che potrebbe distruggere la nostra vita va immediatamente cancellato ed è l'indifferenza a proteggerci oggi dalle angosce del mondo? Elle, diretto dall'olandese Paul Verhoeven, sceneggiato dall'americano David Birke, tratto dal romanzo Oh.. (Pubblicato in Italia da Voland) del francese di origine armena Philippe Djian, è ambientato, come la gran parte del cinema francese, tra la borghesia parigina di successo, protagonista la francese Isabelle Huppert al suo ultracentesimo film, per il quale è stata candidata all'Oscar 2017 e ha vinto una valanga di premi, compreso il Golden Globe per la miglior protagonista di un film drammatico. Critiche entusiastiche ovunque soprattutto per lei, ma anche per l'incontro grandiosamente fortunato tra un regista di solito non molto apprezzato e ambiguamente sporcaccione e una diva che più va avanti negli anni più si adatta ai cineprecipizi del disordine erotico. Lui ha diretto nel 1992 Basic Instinct con una Sharon Stone appositamente gelida, che la leggenda sostiene essere stata senza mutande, lei dieci anni dopo in La pianista di Haneke è stata una donna disturbata e molto sadomaso. Isabelle Huppert, oltre ad essere una grande attrice, ha due virtù: quella di essere senza tempo e molto attraente a più di 60 anni, riscattando così tutte le donne che si sentono scarto a 50 anni; quella di saper rappresentare in certi suoi film come questo, e con la massima disinvoltura, una tipologia molto apprezzata dall'immaginario maschile, cioè quello di una donna bella, elegante, matura ma fisicamente adolescenziale, di gran classe, finanziariamente autonoma e forse anche colta, apparentemente inavvicinabile eppure dedita a ogni possibile promiscuità e avventatezza erotica. Michèle ha alle spalle una storia orribile, un padre molto religioso che quando lei era bambina, uscì di casa armato e uccise una settantina cli bambini in un campo vacanze. Ancora oggi, dopo decenni, a Michèle capita che qualcuno in strada le sputi in faccia, la insulti in un bar. Così non può dimenticare e difende la sua disperazione di un tempo rifiutandosi di andare a trovare in prigione il vecchio padre ormai morente. Lei sa che non c'è legame tra quella tragedia che ha spezzato tante vite e anche la sua, e quello stupro che comunque non vuole denunciare e che, come fosse niente, cenando a champagne in un ristorante, racconta agli amici sere dopo. Ma intanto fa rifare le serrature di casa, compra uno spray urticante e un martello, perché la ragione le dice che se il criminale tornerà (e intanto le manda messaggini osceni, tipo "sei stretta per la tua età") dovrà difendersi; ma il corpo non è d'accordo, il ricordo dell'oltraggio, se ho capito, non l'abbandona. Michèle, nel film, dirige con l'amica Anna un laboratorio che produce videogame di fantaerotismo e visionandoli, le capita di dire "Quegli orgasmi femminili sono troppo timidi!". Vive sola con l'amato vecchio gatto, e gli uomini che la circondano le appaiono un disastro, come purtroppo accade nella realtà a tante ultracinquantenni: ha cacciato di casa il marito noioso, il figlio ventenne con lavori precari vive con una ragazza incinta che lo domina e maltratta, il marito della sua carissima amica Anna è il suo amante non amato; c'è il giovane gigolo che sua madre paga e vuole sposare, c'è un vicino belloccio e simpatico che l'attrae: spiandolo non vista dalla finestra, lei si masturba. Uno di questi maschi, oppure uno dei suoi giovani collaboratori in ufficio, potrebbe essere lo stupratore; lo vuole sapere per vendicarsi o al contrario per precipitarsi nel piacere masochista senza maschera, senza ipocrisia, senza inganno? Dice all'amica: "La vergogna non è un'emozione abbastanza profonda da impedirti di fare ciò che non dovresti". Il romanzo più profondo e eccitante di masochismo femminile l'ha scritto una donna, la scrittrice Dominique Aury che con lo pseudonimo di Pauline Rèage ha pubblicato in Francia, nel 1954 il suo celebre Histoire d'o. Il romanzo di Djian è avvincente e il film con qualche piccola variazione, ne segue ogni pagina.
Da La Repubblica, 20 marzo 2017


di Natalia Aspesi, 20 marzo 2017

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