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sabato 25 marzo 2017
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son abituata ai folli, è la mia specialità....
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Interpretazione superlativa quella di Isabelle Huppert in ELLE, l'ultimo film dell'ineffabile Verhoeven (Basic Instinct et alia).
Una storia molto dura che si apre con uno stupro - reiterato per altro, più volte, nel corso del racconto filmico - poi lo stupro diviene 'altro', un qualcosa di diverso, diversamente interpretato dagli 'attori', vittima e carnefice e...viceversa.
Forse perché molte domande rimangono istrionicamente senza risposta ed interlocutorio rimane l'intersecarsi dei vari rapporti che si dipanano e si intrecciano tra gli interpreti.
Poi c'è il DANNO - per citare il bel film del 1992 di Louis Malle tratto dal romanzo omonimo Damage di Josephine Hart : chi ha subìto un 'danno', un lutto irreparabile e mostruoso a livello psichico, morale, fisico, non ha più nulla da perdere, sorta di vaccino anestetizzante in difesa da un inesistente futuro, ed ecco scattare l'AMORALITA' a 360° di una grande protagonista, la Huppert che, da sola, si mangia la scena, nonostante le buone interpretazioni degli altri comprimari.
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Interpretazione superlativa quella di Isabelle Huppert in ELLE, l'ultimo film dell'ineffabile Verhoeven (Basic Instinct et alia).
Una storia molto dura che si apre con uno stupro - reiterato per altro, più volte, nel corso del racconto filmico - poi lo stupro diviene 'altro', un qualcosa di diverso, diversamente interpretato dagli 'attori', vittima e carnefice e...viceversa.
Forse perché molte domande rimangono istrionicamente senza risposta ed interlocutorio rimane l'intersecarsi dei vari rapporti che si dipanano e si intrecciano tra gli interpreti.
Poi c'è il DANNO - per citare il bel film del 1992 di Louis Malle tratto dal romanzo omonimo Damage di Josephine Hart : chi ha subìto un 'danno', un lutto irreparabile e mostruoso a livello psichico, morale, fisico, non ha più nulla da perdere, sorta di vaccino anestetizzante in difesa da un inesistente futuro, ed ecco scattare l'AMORALITA' a 360° di una grande protagonista, la Huppert che, da sola, si mangia la scena, nonostante le buone interpretazioni degli altri comprimari.
Un senso del ribaltamento e della sorpresa percorre tutto il film, in cui nulla è ovvio o scontato, da vedere e rivedere in lingua originale e poi doppiato, per poterlo gustare appieno.
Di rilievo, nella loro essenzialità, i dialoghi, pieni di arguzia ed humour, anche nei momenti più neri del plot, cui forniscono, alleggerendola, un'atmosfera grottesca davvero d'Autore.
Ottimo il commento musicale originale di Anne Dudey che rispetta pause, ritmi in perfetta ed equilibrata alternanza con gli ottimi pezzi di musica classica inseriti, da Rachmaninoff a Beethoven a Bach, per non citarne che alcuni.
Rec. di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
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evak.
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sabato 11 marzo 2017
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visioni sessiste
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Ho visto il film in lingua originale e non credo lo vedrò in lingua italiana.
Nel complesso questo film è un terribile tentativo di raccontare una vicenda complessa, senza averne gli strumenti per farlo, né come regista, né come improvvisato narratore di storie per le quali la regia dimostra di non essere all'altezza.
La superficialità con la quale Verhoeven affronta il tema della violenza è disarmante e al contempo fastidiosa.
Fastidioso e inguardabile. Fastidioso perché rende il personaggio femminile protagonista molto superficiale, senza mai toccare fino in fondo la parte emotiva più vera della vittima di uno stupro.
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Ho visto il film in lingua originale e non credo lo vedrò in lingua italiana.
Nel complesso questo film è un terribile tentativo di raccontare una vicenda complessa, senza averne gli strumenti per farlo, né come regista, né come improvvisato narratore di storie per le quali la regia dimostra di non essere all'altezza.
La superficialità con la quale Verhoeven affronta il tema della violenza è disarmante e al contempo fastidiosa.
Fastidioso e inguardabile. Fastidioso perché rende il personaggio femminile protagonista molto superficiale, senza mai toccare fino in fondo la parte emotiva più vera della vittima di uno stupro.
un film senza verità, un film che di un dramma ne fa una "scampagnata" incapace di far anche lontanamente percepire il confronto con il dolore e l'impossibilità di parlarne.
Non è un film contro la violenza delle donne come mi è capitato di leggere. È un indecente e un offensivo modo di vedere e rappresentare lo stupro. Il rapporto tra vittima e carnefice rende in questo film la donna una macchina e tra i due il "malato" sembra lei. La scena cruda iniziale e le successive perversioni psicologiche così come rese dalla regia non sono altro che la visione parziale e sessista di un regista uomo.
Film bocciato.
Certamente Huppert una grande attrice in questo fallito film francese. Oltre a lei salverei la fotografia. Il regista potrebbe tornare a occuparsi dei robot. Per raccontare un personaggio bisogna anche saperlo indagare. Per fare un film contro la violenza non è necessario girare scene di scontata quanto di facile imitazione. Spero che qualcuno esca dalla sala già dopo i primi minuti se proprio volesse andare a vederlo.
Non ci vedo rivincite ma solo dolore inespresso proprio come piace agli uomini.
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nanni
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giovedì 30 marzo 2017
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elle
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Michelle Leblanche è una donna in carriera cinica e pragmatica. Lo stupro che subirà in casa, più che un intollerabile oltraggio fisico ed intimo da denunciare le sembrerà, invece, quasi, tutto sommato, un sopportabile incidente domestico. i suoi amici Anna , Patrick etc. etc. altrettanto egocentrici ed anaffettivi vivono la loro vita. Ognuno prende quello che vuole e come può. Una inarrendevole vecchia sempre a caccia di giovanotti prestanti, un tradimento di là, uno stupro di qua, che sia il marito della tua migliore amica o il "buon" vicino di casa poco importa perchè nel mondo post-moderno e digitale non c'è comunità e dove non c'è comunità non ci sono neanche codici morali condivisi.
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Michelle Leblanche è una donna in carriera cinica e pragmatica. Lo stupro che subirà in casa, più che un intollerabile oltraggio fisico ed intimo da denunciare le sembrerà, invece, quasi, tutto sommato, un sopportabile incidente domestico. i suoi amici Anna , Patrick etc. etc. altrettanto egocentrici ed anaffettivi vivono la loro vita. Ognuno prende quello che vuole e come può. Una inarrendevole vecchia sempre a caccia di giovanotti prestanti, un tradimento di là, uno stupro di qua, che sia il marito della tua migliore amica o il "buon" vicino di casa poco importa perchè nel mondo post-moderno e digitale non c'è comunità e dove non c'è comunità non ci sono neanche codici morali condivisi. Il benessere diffuso del nostro mondo non ha dispensato "La Libertà" ma, invece, tante singole libertà private dove ognuno ridefinisce e riformula il proprio schema dei valori etici di riferimento; dove quasi tutto diventa possibile, giustificabile ed accettabile come la violenza sessuale del "bravo ragazzo" della porta accanto. Qualcuno direbbe: è il post-moderno baby. Il thriller sociale di Verhonen affronta con successo il tema oggi centrale e non più eludibile sopra citato. Con Isabel Huppert più che brava, il film, è da non perdere. Ciao nanni
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potassio2
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lunedì 27 marzo 2017
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un centro propulsivo di morbosità
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“Elle” ha la forza magnetica della perdizione, il gusto nauseante dell’insania ed è un centro propulsivo di morbosità ma è un film libero, un film cui piace sfuggire alle catalogazioni di genere: un thriller con altissimi momenti da commedia e fastidiose scene splatter. Merito, oltre che del regista, è ovviamente della sempre “scomoda” e imperscrutabile Huppert che, con la sua elegante e dannatamente composta presenza fisica, restituisce tutta l’ambiguità e l’irrefrenabile morbosità del suo personaggio, la sua più grande libertà e la sua forza vitale. Alcuni critici hanno dunque visto in questo la solita critica alla borghesia (che non è affatto libera)… Può anche darsi, ma il film va preso per quello che è: lasciamo agli psicologi questo tipo di analisi, noi piuttosto godiamoci un bell’esempio di cinema esplosivo, che delle relazioni fa la sua bomba e non il contorno narrativo.
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“Elle” ha la forza magnetica della perdizione, il gusto nauseante dell’insania ed è un centro propulsivo di morbosità ma è un film libero, un film cui piace sfuggire alle catalogazioni di genere: un thriller con altissimi momenti da commedia e fastidiose scene splatter. Merito, oltre che del regista, è ovviamente della sempre “scomoda” e imperscrutabile Huppert che, con la sua elegante e dannatamente composta presenza fisica, restituisce tutta l’ambiguità e l’irrefrenabile morbosità del suo personaggio, la sua più grande libertà e la sua forza vitale. Alcuni critici hanno dunque visto in questo la solita critica alla borghesia (che non è affatto libera)… Può anche darsi, ma il film va preso per quello che è: lasciamo agli psicologi questo tipo di analisi, noi piuttosto godiamoci un bell’esempio di cinema esplosivo, che delle relazioni fa la sua bomba e non il contorno narrativo. P.S. Godetevi la splendida locandina italiana!
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[+] una pellicola forte sull’evoluzione di una donna
(di antonio montefalcone)
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vanessa zarastro
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domenica 26 marzo 2017
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il fascino discreto della borghesia...
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In effetti, Elle è proprio la rappresentazione di una fascia borghese con i vizi e virtù (forse le virtù si vedono meno…). Il film s’ispira al racconto “Oh…” di Philippe Dijan.
La storia in sintesi narra di Michelle, una donna imprenditrice di successo proprietaria di una società che produce video-giochi, viene aggredita sessualmente nella sua casa unifamiliare a Parigi. Invece di denunciare l’aggressione, la donna si compra spray urticanti, martelli e altri strumenti di difesa, e dopo ulteriori messaggi dell’aggressore sembra piuttosto voler scoprire da sola l’identità dell’uomo mascherato.
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In effetti, Elle è proprio la rappresentazione di una fascia borghese con i vizi e virtù (forse le virtù si vedono meno…). Il film s’ispira al racconto “Oh…” di Philippe Dijan.
La storia in sintesi narra di Michelle, una donna imprenditrice di successo proprietaria di una società che produce video-giochi, viene aggredita sessualmente nella sua casa unifamiliare a Parigi. Invece di denunciare l’aggressione, la donna si compra spray urticanti, martelli e altri strumenti di difesa, e dopo ulteriori messaggi dell’aggressore sembra piuttosto voler scoprire da sola l’identità dell’uomo mascherato. Unico testimone il gattone grigio simil certosino che vive con Michelle. Le motivazioni per cui non va alla polizia sembrano essere molteplici: da un lato, ricordi penosi della sua infanzia, dall’altra la voglia di tenere lei tutto sotto controllo (lavoro, figli, madre, fidanzati, ex mariti e… molestatori) e del potere della rimozione, e non ultimo un certo fascino subito in cui sembrerebbe non aver del tutto disdegnato il rapporto sessuale in una sorta di perversione sadomaso.
Così si scopre che suo padre, una cinquantina di anni prima, aveva fatto una strage a Nantes sparando con il fucile sui vicini, compresi bambini, cani e gatti «si salvò inspiegabilmente un criceto…» racconta lei.
Attorno a Michelle tutta una serie di personaggi che contribuiscono a dipingere questa borghesia francese. La madre è una donna che accetta male di invecchiare ed ha sempre degli amanti più giovani. Il figlio un po’ succube di una madre troppo determinata è un po’ inconcludente, lavora in un fast food, si mette con una ragazza che non lo stima affatto e che è incinta (di lui?). I vicini di casa, sono una coppia timorata di Dio – direi anche bigotta - che fanno il presepe in giardino con le statue in scala 1.1 e con un S. Giuseppe nero.
Borgese anche la coppia della socia amica Anna con il cui marito Robert lei ha dei rapporti sessuali saltuari. E così anche l’ex marito Richard, scrittore che tenta di ricostruirsi la vita con una giovane dottoranda. La casa di Michelle è arredata con buon gusto, sicuramente da un architetto – tipica è la lampada di Castiglione quasi uno status symbol.
Per alcuni versi mi sono venuti in mente alcuni film d Buñuel, non tanto per il linguaggio surrealista qui totalmente assente, quanto proprio sulle perversioni sessuali della borghesia.
Il film Elle e la sua fantastica interprete Isabelle Huppert sono stati meritatamente vincitori del premio César 2016.
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andrew82
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venerdì 31 marzo 2017
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film o soap opera?
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Mi spiace ma tutti gli elogi che leggo a sto film proprio non li capisco.
Un film che semplicemente non ha senso: una sequele di situazioni improbabili che anzichè angosciare sfociano nella mediocrità e nella banalità. Scene che non hanno un costrutto ma buttate lì a caso. Personaggi tipici di una soap opera melo-drammatica. Ma la protagonista non doveva essere Isabelle Huppert e magari un'indagine introspettiva sullo stupro subito? Macchè.....si assiste ad un paciugo di personaggi con vicende caotiche e assurde e non si sa più che filo del film seguire.....anzi ad un certo punto l'oggetto della vicenda (lo stupro subito) sembra passare in secondo piano.
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Mi spiace ma tutti gli elogi che leggo a sto film proprio non li capisco.
Un film che semplicemente non ha senso: una sequele di situazioni improbabili che anzichè angosciare sfociano nella mediocrità e nella banalità. Scene che non hanno un costrutto ma buttate lì a caso. Personaggi tipici di una soap opera melo-drammatica. Ma la protagonista non doveva essere Isabelle Huppert e magari un'indagine introspettiva sullo stupro subito? Macchè.....si assiste ad un paciugo di personaggi con vicende caotiche e assurde e non si sa più che filo del film seguire.....anzi ad un certo punto l'oggetto della vicenda (lo stupro subito) sembra passare in secondo piano....pare essere più interessante seguire le vicende del figlio con una bimba non sua, il rapporto con l'amante della sua migliore amica, la ragazza del figlio sempre più nevrotica.....
2 ore e 10 per questo film che risultano estremamente pesanti e che trascinano il film verso un finale degno di un regista di serie C
(è stata una delle poche volte che avremmo voluto andare via prima)
Sconsigliato!
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kimkiduk
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lunedì 3 aprile 2017
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tra haneke e bunuel?
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Tre motivi per vederlo: c'è la Huppert; è un film che parla in modo NON americano della società e non ci sono armi, eserciti, epidemie, guerre, supereroi; devi pensare per capirlo per bene.
In effetti uscendo devi cercare di capirlo, scordandoti forse della fiammeggiante interpretazione della Huppert e del suo personaggio caratterizzato e aderito su di lei come una tuta di un pattinatore sul ghiaccio.
Il film è tratto da un libro, ma non avendolo letto ce lo scordiamo e diamo la colpa di tutto a Verhoeven.
Quindi sono fantastiche le caratterizzazioni di personaggi di una società che, giustamente, discrimina un mostro che ha ucciso 27 persone (padre di Michelle), ma che consente a tutti di nascondere il mostro che in tutti è.
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Tre motivi per vederlo: c'è la Huppert; è un film che parla in modo NON americano della società e non ci sono armi, eserciti, epidemie, guerre, supereroi; devi pensare per capirlo per bene.
In effetti uscendo devi cercare di capirlo, scordandoti forse della fiammeggiante interpretazione della Huppert e del suo personaggio caratterizzato e aderito su di lei come una tuta di un pattinatore sul ghiaccio.
Il film è tratto da un libro, ma non avendolo letto ce lo scordiamo e diamo la colpa di tutto a Verhoeven.
Quindi sono fantastiche le caratterizzazioni di personaggi di una società che, giustamente, discrimina un mostro che ha ucciso 27 persone (padre di Michelle), ma che consente a tutti di nascondere il mostro che in tutti è.
Il mostro è presente chiaramente in Michelle che ha rapporto conflittuale con tutti: la madre che forse è lei da vecchia, il suo ex marito che ha lasciato ma non voleva lasciare, i suoi dipendenti anche quelli geniali da cui pretende solo la dipendenza ed il riconoscimento del suo potere, gli amanti trattati solo da amanti e nemmeno tanto, il figlio ritenuto inetto, l'amica cornuta tradita ma necessaria.
Il mostro è presente in tutti, con scene che rasentano il grottesco in Vincent che non accetta di capire che il figlio nato NON può essere suo o nel violentatore sadico e masochista, o nell'integralismo religioso della moglie.
Tutto è critico nei confronti di una società falsa ed ipocrita dove il mostro vero è in galera e gli altri piccoli mostri fuori. Ho trovato molti accostamenti ad Haneke (la pianista) per quanto riguarda la Huppert e molti in Bunuel per l'ironia religiosa e la dissacrante caratterizzazione delle persone. Due accostamenti che fanno il quarto motivo per vedere questo film. Sicuramente sopra la media di quello offerto dal circuito e che vale il prezzo del biglietto.
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paolorol
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martedì 18 aprile 2017
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horror vacui
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Ho visto il film in versione doppiata e mi sono riproposto di rivederlo, armandomi di una mega dose di santa pazienza, in V.O.. Potrò forse riconsiderare il mio giudizio non benevolo nei confronti di questo lavoro di Verhoven. Tanta, troppa, carne al fuoco, una camionata di storie accatastate alla bell'e meglio a formare un polpettone indigesto che avrebbe avuto senso solo se sottoposto ad un intervento di coraggiosa sottrazione. Sono uscito dalla sala decisamente stremato da 130 interminabili minuti di storie più o meno male intrecciate, tutte connotate da manifestazioni di disagio psichico s trasformare il film in una sorta di DSM-V.
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Ho visto il film in versione doppiata e mi sono riproposto di rivederlo, armandomi di una mega dose di santa pazienza, in V.O.. Potrò forse riconsiderare il mio giudizio non benevolo nei confronti di questo lavoro di Verhoven. Tanta, troppa, carne al fuoco, una camionata di storie accatastate alla bell'e meglio a formare un polpettone indigesto che avrebbe avuto senso solo se sottoposto ad un intervento di coraggiosa sottrazione. Sono uscito dalla sala decisamente stremato da 130 interminabili minuti di storie più o meno male intrecciate, tutte connotate da manifestazioni di disagio psichico s trasformare il film in una sorta di DSM-V. Ognuna di queste storie avrebbe avuto bisogno, per diventare credibile, di uno straccio di approfondimento psicologico che invece latita. La Huppert si è beccata una porta in faccia ad Hollywood, il che non vuol dire molto, lo so. Ma, per quanto può valere un giudizio espresso da un'istituzione come quella, una volta tanto non mi sento di dissentire. Vabbè che coi film che hanno premiato quest'anno (vedi Moonlight e Manchester by the sea) pure loro hanno dimostrato di avere un certo penchant per la psicopatologia d'accatto. In Italia abbiamo Margherita Buy, gemella della Huppert in quanto attrice seriale che interpreta film a raffica senza mai cambiare espressione facciale e che ciononostante, o forse proprio per questo, viene sempre osannata da una critica piaciona. In Francia la Huppert è specializzata in queste interpretazioni "misurate", come vengono definite le sue, con quella faccia imbronciata da antipatica impenitente. Il ruolo le si addice e le viene naturale, per quanto ne so non le costa fatica perchè lei è così nella vita. In una sola occasione abbozza un sorrisetto, d'altro canto i momenti più felici per lei sono quelli in cui viene stuprata. Per il resto ha un padre mostro ergastolano ultra killer, una madre ninfomane, un figlio imbecille, e così via.. Non ha di che mettersi a ballare la lambada la disgraziata. Comunque neppure gli spettatori escono ballando la lambada e qualcuno colto in flagrante russare c'é. Concludo con un appello: cari registi, la soglia dell'attenzione subisce un significativo crollo dopo 90 minuti. Sino a non tanto tempo fa i vostri colleghi lo sapevano e si comportavano di conseguenza. Ora lo sapete anche voi, non avete più scuse.
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lbavassano
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domenica 26 marzo 2017
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brutto
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Eccessivo, non solo per i toni, costantemente, noiosamente, sopra le righe, ma anche per la quantità di situazioni e personaggi esasperati con i quali il regista ha voluto complicare una trama, per altro ampiamente scontata, rendendola non solo improbabile e inverosimile ma, quel che è peggio, a tratti involontariamente grottesca. Psicologicamente ha la profondità di un fumetto di terz'ordine o, per restare in tema, di un videogioco. In una parola: brutto. (Dispiace solo per Isabelle Huppert, indimenticabile protagonista de "La pianista" di Haneke, titolo che da solo fa comprendere la distanza fra il grande cinema e gli scimmiottamenti).
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no_data
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lunedì 29 maggio 2017
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verhoeven cerca lo scandalo. trova il sarcasmo.
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Si comincia con uno stupro, di cui si odono solo le urla. Michèle Leblanc, la protagonista, lasciata riversa sul pavimento, si rialza impassibile, raccoglie i cocci della colluttazione, si ripulisce dal sangue con un bagno e ricomincia la sua vita di imprenditrice di successo. Da questo incipit sorprendente si potrebbe, inseguendo le domande che esso immediatamente solleva, dipanare una trama torbida ed avvincente, in un percorso che conduce diritto dentro la mente di una donna capace di una reazione così insolita al più odioso dei crimini. Ma non è così.
Perché il fine di Paul Verhoeven nel girare “Elle” è creare scandalo.
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Si comincia con uno stupro, di cui si odono solo le urla. Michèle Leblanc, la protagonista, lasciata riversa sul pavimento, si rialza impassibile, raccoglie i cocci della colluttazione, si ripulisce dal sangue con un bagno e ricomincia la sua vita di imprenditrice di successo. Da questo incipit sorprendente si potrebbe, inseguendo le domande che esso immediatamente solleva, dipanare una trama torbida ed avvincente, in un percorso che conduce diritto dentro la mente di una donna capace di una reazione così insolita al più odioso dei crimini. Ma non è così.
Perché il fine di Paul Verhoeven nel girare “Elle” è creare scandalo. Null’altro.
Ai tempi di “Basic instinct”, per riuscire a sollevare il polverone era sufficiente che Sharon Stone scavallasse le gambe offrendo prospettive inedite e tessere in qualche modo un thriller sul filo di una sottile perversione. Oggi non basterebbe più e il regista olandese lo sa. Ed allora infarcisce il suo racconto di situazioni estreme: non solo il perverso legame che si instaura fra aguzzino e vittima, ma anche un ovvio trauma nel passato, stavolta legato a vicende particolarmente truculente, sessualità praticata con gelido cinismo, rapporti umani quanto meno ambigui.
Attorno alla protagonista personaggi da soap opera: una madre stordita ma dai bollori non sopiti (Judith Magre), il marito artistoide e perennemente in bolletta (Charles Berling) un figlio ingenuo fino alla stupidità (Jonas Bloquet) innamorato di una ragazza alternativa e alquanto caratteriale (Alice Isaaz), la migliore amica (Anne Consigny), con cui il rapporto è a tratti pruriginoso, legata ad un collega cinico e lascivo (Christian Berkel), un vicino dai modi affettati (Laurent Lafitte) e la consorte bigotta (Virginie Efira).
Tutto assieme in una girandola senza soluzione di continuità di situazioni, finalizzate esclusivamente a creare sorpresa e disagio, in cui quello che vorrebbe essere il tema portante si perde diluendosi. La scena della cena di festeggiamento, in cui tutti i personaggi riuniti attorno ad un tavolo si producono in una serie di surreali siparietti è una sufficiente sintesi del film. Senza un filo narrativo consistente, senza coerenza nello sviluppo della vicenda, senza un credibile approfondimento psicologico dei personaggi, tutto si riduce ad una carrellata di piccoli orrori, che non producono alcuna partecipazione emotiva. Altro che disturbo.
Anzi, quando la vegliarda madre della protagonista viene sorpresa con un toy boy muscoloso; quando un bambino nasce con una inattesa pigmentazione, non si può che sorridere. Peccato che “Elle” non vuole essere una commedia nera; ambisce al thriller psicologico (o psichiatrico), magari anche al ritratto sociologico e in quest’ottica allora il risultato è grottesco.
Per sua fortuna Verhoeven ha chiamato Isabelle Huppert ad interpretare la protagonista, conscio della naturale predisposizione dell’attrice francese a calarsi in ruoli torbidi. La Huppert ha risposto da par suo, con un’interpretazione per cui ha ottenuto la prima candidatura all’Oscar, in cui ostenta il naturale gelo dell’espressione, si getta con sicurezza in scene scabrose incoerenti con l’età anagrafica, offre con la giusta generosità il corpo non più fiorente. Ma chi si aspetta di rivedere “La pianista” rimarrà deluso.
Ci sono film e film. Non c’è interpretazione che tenga; quando si affrontano tematiche così complesse si corre su un filo sottilissimo. E Verhoeven non è Haneke: Haneke sconvolge, Verhoeven fa sorridere.
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