mauridal
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giovedì 14 novembre 2013
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la cina e' piu' vicina con i cani randagi
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LA CINA E' PIU' VICINA DI PRIMA, con il film “JIAOYOU” STRAY DOGS ( cani randagi ) di TSAI MING LIANG. Cina 2013.
Quando una realtà ci sembra così lontana dalle nostre vite , apparentemente diverse per abitudini e modi di pensare, come quella cinese , allora, seriamente corriamo il rischio, noi abitanti delle -metropoli occidentali come pure sono Napoli, Roma ,Milano, di non riconoscere la vera condizione in cui siamo immersi.
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LA CINA E' PIU' VICINA DI PRIMA, con il film “JIAOYOU” STRAY DOGS ( cani randagi ) di TSAI MING LIANG. Cina 2013.
Quando una realtà ci sembra così lontana dalle nostre vite , apparentemente diverse per abitudini e modi di pensare, come quella cinese , allora, seriamente corriamo il rischio, noi abitanti delle -metropoli occidentali come pure sono Napoli, Roma ,Milano, di non riconoscere la vera condizione in cui siamo immersi. Condizione urbana materiale , cioè strade ,traffico, mezzi di trasporto velocissimi o al contempo paralizzanti, tanto inquinamento di aria irrespirabile con un evidente cambiamento climatico, case di lusso nel centro città e di baracche in periferia , centri commerciali periferici accanto a discariche inquinanti. Non ci accorgiamo noi cittadini evoluti e progrediti, della desolazione dei sentimenti , del disastro dei rapporti umani e di una economia che , non solo non ha risolto in maniera accettabile la cosiddetta vivibilità , il benessere , per la maggior parte di tutti noi, ma neanche la misera sopravvivenza per la stragrande maggioranza degli altri cittadini emarginati, delle metropoli. Ecco, tutte queste poche considerazioni, non sono l'avvio di un Manifesto per una rivoluzione, ma semplicemente ciò che si vede in oltre due ore di cinematografia vera, in questo film che racconta a modo del regista Liang , della condizione umana di un giovane padre con i suoi due figli piccoli e abbandonati dalla madre. Questa figura femminile , appare solo all'inizio del film in una scena icastica dove immobile si pettina lentamente i lunghi capelli ,guardando a lungo i due figli che dormono e che poi abbandonerà. Infatti, scompare definitivamente. Il giovane padre precario della vita e del lavoro conduce con i suoi due figli piccoli un bimbo e una bambina , una vita stentata e randagia. Manco i cani, si diceva al sud con una allocuzione dialettale, riferendosi alla vita degli emarginati reietti, e in questo film,di cani randagi e affamati ne appaiono tanti,spesso nelle zone abbandonate ai rifiuti in prossimità di zone invece sviluppate e abitate da persone dalla vita decente e operosa. Il film , nella prima parte descrittiva dei personaggi usa un linguaggio realistico , la vita randagia dei ragazzini è ben comprensibile poiché si svolge tutta in un ipermercato dove loro praticamente vivono l'intera giornata mangiando il cibo di prova o scaduto del banco alimentare, usando i servizi igienici e tutte le strutture disponibili al pubblico come una mensa .
Il giovane padre, lavora come cartellone pubblicitario vivente, tutto il giorno in piedi fermo all'incrocio di strade del centro ben abitato , dove il traffico è ininterrotto e rumoroso sotto una pioggia incessante, senza nessun riposo.Mantiene con le braccia in alto un cartellone con la pubblicità di case in vendita, che lui non potrà mai acquistare. Dunque di notte ,dorme con i figli in un ricovero di fortuna, ricavata al margine e a ridosso dell'ipermercato ,una baracca che non ha luce , acqua e nessun arredo, solo un materasso steso in terra nell'unica stanza ,dove dormono tutti e tre insieme. Una figura di donna, che diverrà poi importante per loro , inizia a vedersi nel supermercato, quando nelle vesti di una responsabile del reparto alimentare , comincia a proteggere ed aiutare la bambina, che insieme al fratellino vive lì. La vediamo allora quando nei bagni comuni al personale la aiuta a lavarsi i capelli , oppure quando le passa di nascosto il cibo per sfamarla. Fin qui l'aspetto del racconto che ha quasi la caratteristica di un cinema realistico,all'italiana, anche se ogni particolare è narrato con grandi piani sequenza dal tempo infinito e da lunghi primi piani. In seguito Il film acquista però maggior interesse , per un pubblico disponibile ad accettare un genere di film assolutamente distante dal cinema americano ed europeo per il linguaggio formale che il regista Liang usa. Il racconto si sofferma sull'aspetto angoscioso ed umiliante della vita della famigliola costretta a tutte le privazioni possibili, dove il dettaglio degli occhi del volto del padre che a lungo si riempiono di lacrime, è eloquente in tal senso. Al contempo si inserisce nel racconto una vena surreale quando appaiono scene scollegate dal contesto ma plausibili all'interno di una visione puramente emotiva ed onirica della realtà. Un grande dipinto che rappresenta un muro ed un pavimento scalcinato si intravvede nella casa improvvisata dove dormono i tre. Su questa immagine simbolica si sofferma lungamente lo sguardo del protagonista che così trascorre quasi immobile un tempo indefinibile inducendo lo spettatore a involontarie meditazioni. La presenza della donna del supermercato ad un certo punto diventa essenziale nella vita dei tre, tanto che sarà proprio lei a decidere di raggiungere in una notte tempestosa di pioggia, la baracca dove si unirà alla vita della piccola famiglia. Anche qui l'aspetto realistico si perde in mille rivoli tra il racconto surreale e il metafisico con lunghe sequenze sui volti e sui gesti comuni. L'aspetto di angoscia per una vita condannata alla disperazione , più che nei piccoli bambini, i quali trovano pure il modo e il tempo per il gioco e addirittura il divertimento, si evidenzia nella figura del padre e poi anche della donna che finirà per accompagnarlo nel lungo piano sequenza finale del film in una scena da annoverare nella storia del cinema, dove l'uomo in piedi immobile appoggia la testa sulla spalla della donna , anche lei immobile , mentre insieme indirizzano lungamente in un tempo dilatato, lo sguardo e il volto al grande murales che raffigura lo sfacelo di un muro e un pavimento, che però diventano la realtà dove sono presenti i due personaggi. Un film ai confini del cinema, dove ogni singola immagine è una opera di scultura vivente, dove la narrazione è in bilico tra sogno e realtà, dove il messaggio finale è chiaro: sia in tutti i paesi a capitalismo avanzato, nell'Occidente, che in quelli a sviluppo forzato, come la Cina , è presente una mostruosa crisi di desolazione dell'esistenza, ma anche di sopravvivenza materiale quotidiana. Allo spettatore , però dopo le oltre tre ore del film , non rimane che l'uscita sull'immagine finale del murales, meditando su una visione della cinematografia cinese del tutto inaspettata. mauridal
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brandokate
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domenica 8 settembre 2013
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pianto sulle rovine
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Giovedì ero alla prima a Venezia del film Stray Dogs di Tsai Ming-Liang: direi un film-sfida per lo spettatore, che riesce a stupirlo e a colpire nonostante richieda molta pazienza per le inquadrature particolarmente lunghe e, spesso immobili e per la quasi totale antinarratività. Una presa diretta sui corpi, sui paesaggi desolanti di Taipei, abbandonati, ai margini come i protagonisti, dei reietti, dei “cani randagi” appunto. Un film che mette in gioco tante sfide: emarginati contro sistema, famiglia contro società, sopravvivenza contro sentimento, cinema lento contro spettatore…
Una prima parte di un realismo agghiacciante lascia spazio verso la fine del film a un linguaggio visionario, allucinato, onirico.
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Giovedì ero alla prima a Venezia del film Stray Dogs di Tsai Ming-Liang: direi un film-sfida per lo spettatore, che riesce a stupirlo e a colpire nonostante richieda molta pazienza per le inquadrature particolarmente lunghe e, spesso immobili e per la quasi totale antinarratività. Una presa diretta sui corpi, sui paesaggi desolanti di Taipei, abbandonati, ai margini come i protagonisti, dei reietti, dei “cani randagi” appunto. Un film che mette in gioco tante sfide: emarginati contro sistema, famiglia contro società, sopravvivenza contro sentimento, cinema lento contro spettatore…
Una prima parte di un realismo agghiacciante lascia spazio verso la fine del film a un linguaggio visionario, allucinato, onirico. I personaggi sono intensi nella loro non-recitazione e nella portata filosofica dei messaggi che trasmettono: il film si apre su una lunga sequenza che inquadra una donna che si pettina i capelli guardando per l’ultima volta i suoi figli dormire prima di abbandonarli e si chiude con l’immagine di un murales in mezzo alle rovine, così care a Tsai Ming-Liang, che rappresenta il miraggio di un’altra vita serena, quella che il protagonista (alla fine totalmente solo) avrebbe voluto avere; ma resta quella continuità tra i ciottoli del quadro e quelli reali su cui poggiano i piedi di Lee, a far intravedere una speranza.
Non è per niente semplice l'ultimo film di Tsai Ming-Liang, non semplice da seguire nè da comprendere, eppure risulta misteriosamente efficace.
Usciti dalla sala, nonostante la stanchezza, rimangono impresse immagini straordinarie; lo sguardo esplora, indaga e infine si perde: poetica della desolazione umana. Colpisce l’abilità nell’uso della camera che calamita lo sguardo per un periodo interminabile sull’immagine di due attori che, peraltro, guardano qualcosa che è fuori dallo schermo; un occhio che riesce addirittura ad osservare questi “uomini” anche dall’interno del banco frigorifero della carne (non a caso “carne da macello”) di un supermercato.
E poi il pianto a cui il regista ridà un senso cristallino: in almeno due momenti si resta decisamente a bocca aperta per come gli attori siano riusciti a gestire le emozioni dei loro personaggi: piangono gli attori i cui occhi piano, piano, pianissimo si gonfiano di lacrime; ma piange tutto il mondo ormai, piangono le pareti delle case che cadono a pezzi, la pioggia incessante, l’urina (un leitmotiv del film), l’acqua del fiume...
Non è una visione semplice nè buona per tutti i palati e i gusti, questo è chiaro, ma nondimeno non si può far finta di niente di fronte a questo film totalmente anti-commerciale, radicale e violento nel suo non scendere a compromessi con nulla.
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luca scial�
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lunedì 21 ottobre 2013
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la disperazione di un uomo che ha perso tutto
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Tapei cinese. Un uomo lasciato dalla moglie svolge un lavoro umilante, come reggitore di un cartello pubblicitario per strada, sotto le intemperie. Vive con i due figli in una baracca, lavandosi dove capita. In una notte tempestosa prova a portare i figli su una barca, forse per fuggire chissà da cosa o forse per suicidarsi tutti insieme. Ma una donna conosciuta qualche giorno prima, che lavora in un supermercato e che spesso si è presa cura della figlia piccola, li porta con sé lasciando l'uomo solo sotto la pioggia battente.
Sebbene abbia un'eta relativamente giovane, questo potrebbe essere l'ultimo film per Ming-Liang, che ha annunciato il suo ritiro con 13 film all'attivo.
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Tapei cinese. Un uomo lasciato dalla moglie svolge un lavoro umilante, come reggitore di un cartello pubblicitario per strada, sotto le intemperie. Vive con i due figli in una baracca, lavandosi dove capita. In una notte tempestosa prova a portare i figli su una barca, forse per fuggire chissà da cosa o forse per suicidarsi tutti insieme. Ma una donna conosciuta qualche giorno prima, che lavora in un supermercato e che spesso si è presa cura della figlia piccola, li porta con sé lasciando l'uomo solo sotto la pioggia battente.
Sebbene abbia un'eta relativamente giovane, questo potrebbe essere l'ultimo film per Ming-Liang, che ha annunciato il suo ritiro con 13 film all'attivo. I protagonisti di questa pellicola sono proprio come i cani randagi di cui il film porta il nome. Vagano per la città senza una meta e una prospettiva. Il film scorre lento, con sequenze dilatate; soprattutto l'ultima che mette a dura prova la pazienza e il coinviolgimento dello spettatore. Una sorta di ultima prova come accade nelle gare di salto in alto, con l'ultimo ostacolo nel quale l'asticella viene posta all'ultimo livello.
Presente e passato vengono mischiati dal regista come si fa con un mazzo di carte prima della partita. Una partita di non facile e immediata comprensione. Pertanto lo spettatore potrà trovarlo un capolavoro raffinato, apprezzando il tentativo sofisticato del regista. Oppure ritenerla un'opera astratta incomprensibile.
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