Stray Dogs |
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Un film di Tsai Ming-liang.
Con Lee Kang-Sheng, Lu Yi-Ching, Yi-cheng Lee, Yi-chieh Lee, Chen Shiang-Chyi
Titolo originale Jiaoyou.
Drammatico,
durata 138 min.
- Francia, Cina 2013.
MYMONETRO
Stray Dogs
valutazione media:
3,54
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Pianto sulle rovinedi brandokateFeedback: 400 | altri commenti e recensioni di brandokate |
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domenica 8 settembre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Giovedì ero alla prima a Venezia del film Stray Dogs di Tsai Ming-Liang: direi un film-sfida per lo spettatore, che riesce a stupirlo e a colpire nonostante richieda molta pazienza per le inquadrature particolarmente lunghe e, spesso immobili e per la quasi totale antinarratività. Una presa diretta sui corpi, sui paesaggi desolanti di Taipei, abbandonati, ai margini come i protagonisti, dei reietti, dei “cani randagi” appunto. Un film che mette in gioco tante sfide: emarginati contro sistema, famiglia contro società, sopravvivenza contro sentimento, cinema lento contro spettatore… Una prima parte di un realismo agghiacciante lascia spazio verso la fine del film a un linguaggio visionario, allucinato, onirico. I personaggi sono intensi nella loro non-recitazione e nella portata filosofica dei messaggi che trasmettono: il film si apre su una lunga sequenza che inquadra una donna che si pettina i capelli guardando per l’ultima volta i suoi figli dormire prima di abbandonarli e si chiude con l’immagine di un murales in mezzo alle rovine, così care a Tsai Ming-Liang, che rappresenta il miraggio di un’altra vita serena, quella che il protagonista (alla fine totalmente solo) avrebbe voluto avere; ma resta quella continuità tra i ciottoli del quadro e quelli reali su cui poggiano i piedi di Lee, a far intravedere una speranza. Non è per niente semplice l'ultimo film di Tsai Ming-Liang, non semplice da seguire nè da comprendere, eppure risulta misteriosamente efficace. Usciti dalla sala, nonostante la stanchezza, rimangono impresse immagini straordinarie; lo sguardo esplora, indaga e infine si perde: poetica della desolazione umana. Colpisce l’abilità nell’uso della camera che calamita lo sguardo per un periodo interminabile sull’immagine di due attori che, peraltro, guardano qualcosa che è fuori dallo schermo; un occhio che riesce addirittura ad osservare questi “uomini” anche dall’interno del banco frigorifero della carne (non a caso “carne da macello”) di un supermercato. E poi il pianto a cui il regista ridà un senso cristallino: in almeno due momenti si resta decisamente a bocca aperta per come gli attori siano riusciti a gestire le emozioni dei loro personaggi: piangono gli attori i cui occhi piano, piano, pianissimo si gonfiano di lacrime; ma piange tutto il mondo ormai, piangono le pareti delle case che cadono a pezzi, la pioggia incessante, l’urina (un leitmotiv del film), l’acqua del fiume... Non è una visione semplice nè buona per tutti i palati e i gusti, questo è chiaro, ma nondimeno non si può far finta di niente di fronte a questo film totalmente anti-commerciale, radicale e violento nel suo non scendere a compromessi con nulla.
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