great steven
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sabato 10 gennaio 2015
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l'ultima commedia di salvatores è viva e frizzante
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HAPPY FAMILY (IT, 2010) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FABIO DE LUIGI, DIEGO ABATANTUONO, FABRIZIO BENTIVOGLIO, MARGHERITA BUY, VALERIA BILELLO, SANDRA MILO, ALICE CROCI, CARLA SIGNORIS, CORINNA AGUSTONI, GIANMARIA BIANCUZZI, UGO CONTI
Ezio è uno sceneggiatore quasi quarantenne, scapolo e in crisi creativa, che improvvisamente si butta a capofitto nella scrittura di un copione cinematografico che ha ambizioni “d’autore”: la storia, precisamente, si incentra su due famiglie che arrivano ad incontrarsi perché i due figli adolescenti delle stesse vogliono sposarsi. Nasceranno equivoci e situazioni tragicomiche tra i due nuclei famigliari, e lo stesso Ezio, dopo che avrà tentato di interrompere la stesura della vicenda asserendo che il film è finito esattamente come voleva lui, si ritroverà catapultato all’interno delle peripezie dei suoi medesimi personaggi, che usciranno dalla pagina scritta e si riveleranno esseri umani in carne ed ossa.
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HAPPY FAMILY (IT, 2010) diretto da GABRIELE SALVATORES. Interpretato da FABIO DE LUIGI, DIEGO ABATANTUONO, FABRIZIO BENTIVOGLIO, MARGHERITA BUY, VALERIA BILELLO, SANDRA MILO, ALICE CROCI, CARLA SIGNORIS, CORINNA AGUSTONI, GIANMARIA BIANCUZZI, UGO CONTI
Ezio è uno sceneggiatore quasi quarantenne, scapolo e in crisi creativa, che improvvisamente si butta a capofitto nella scrittura di un copione cinematografico che ha ambizioni “d’autore”: la storia, precisamente, si incentra su due famiglie che arrivano ad incontrarsi perché i due figli adolescenti delle stesse vogliono sposarsi. Nasceranno equivoci e situazioni tragicomiche tra i due nuclei famigliari, e lo stesso Ezio, dopo che avrà tentato di interrompere la stesura della vicenda asserendo che il film è finito esattamente come voleva lui, si ritroverà catapultato all’interno delle peripezie dei suoi medesimi personaggi, che usciranno dalla pagina scritta e si riveleranno esseri umani in carne ed ossa. Finora è l’ultimo film commedia del prolifico G. Salvatores (1950), e ha all’attivo una certa quantità di difetti e pregi, per cui passiamo ad analizzarli approfonditamente. Le pecche: 1) Il pirandellismo orecchiato e non sviluppato con adeguatezza, in quanto i riferimenti all’eccelso testo teatrale Sei personaggi in cerca d’autore appaiono ma rimangono una semplice eco, priva poi di un suo angolo di espressione anche minimo; 2) Si può anche far ridere sull’Alzheimer, ma qui ci si marcia davvero troppo: è un espediente moralmente lecito?; 3) Si riscontrano alcune cadute di ritmo che arrivano ad abbondare pericolosamente, in particolare nella prima parte, dove si concentrano alcune gag non troppo felici e certe situazioni artisticamente imbarazzanti (l’episodio della massaggiatrice cinese e la digressione sul gabbiano in città). All’attivo troviamo invece: 1) Una compagnia di attori tutti affiatati e bravissimi, con una M. Buy misurata e sobriamente calibrata come sempre, la cui prestazione va puntualmente al di là di ogni canone ordinario, e un D. Abatantuono che da anni non trovava un personaggio così congeniale che stringe un’amicizia con F. Bentivoglio (malato d’un tumore maligno, nel film) basata sugli spinelli e sul mare; 2) Una colonna sonora deliziosa con musiche di Simon & Garfunkel e una sonata per piano composta da Chopin che pervade l’atmosfera divertente e spassosa della pellicola nel sottofinale; 3) Un’ambientazione coerente e decisiva che sfrutta a pieno i vantaggi positivi della scenografia e della fotografia, rappresentando uno scenario allegro in cui i caratteri si muovono senza difficoltà e incontrando novità piacevoli e trastullamenti sublimi. La regia di Salvatores non si smentisce neanche stavolta, e certamente le sue corde comiche hanno qualcosa di magico, che fa scattare il lampo di genio ad ogni raffigurazione audiovisiva di concetti, tipi umani e situazioni paradossali con cui il regista si cimenta, e con i quali ama sicuramente avere a che fare. F. De Luigi indossa il vestito del protagonista (ruolo per lui non così frequente) con la simpatia e l’autoironia di un attore preparato che sa divertire gli spettatori con la sua imbranataggine e il suo involontario e grottesco sense of humour. Le scene più riuscite e azzeccate: il giro in bicicletta presso le vie sgombre della città assolata; la cena in cui tutti i personaggi si ritrovano ed Ezio presenta il suo lavoro di scrittore; il giro in barca in una splendida giornata; l’esecuzione al pianoforte della Bilello su un palcoscenico buio e suggestivo.
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federico riccardo
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giovedì 19 giugno 2014
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c'era una volta salvatores
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Tra omaggi a Wes Anderson e Pirandello, tra autocitazione e adattamento cinematografico, “Happy Family” di Gabriele Salvatores non funziona pienamente, ma ha il pregio di riuscire a rappresentare una Milano, sì approssimativa ma più “contenutistica” rispetto a quella vista in altri film che pretendono di raccontarla.
Si vedono i Navigli, si vede Paolo Sarpi, la zona Isola e Garibaldi, e per una volta non si vede il Duomo, ormai stanco di essere esposto quale monumento fotografico sufficiente per descrivere il capoluogo lombardo.
In questa Milano si vede il sole, finalmente.
E’ già un passo avanti, ma purtroppo il film è debole, retto bene dalle interpretazioni dei protagonisti, bravissimi ma pur sempre sprecati.
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Tra omaggi a Wes Anderson e Pirandello, tra autocitazione e adattamento cinematografico, “Happy Family” di Gabriele Salvatores non funziona pienamente, ma ha il pregio di riuscire a rappresentare una Milano, sì approssimativa ma più “contenutistica” rispetto a quella vista in altri film che pretendono di raccontarla.
Si vedono i Navigli, si vede Paolo Sarpi, la zona Isola e Garibaldi, e per una volta non si vede il Duomo, ormai stanco di essere esposto quale monumento fotografico sufficiente per descrivere il capoluogo lombardo.
In questa Milano si vede il sole, finalmente.
E’ già un passo avanti, ma purtroppo il film è debole, retto bene dalle interpretazioni dei protagonisti, bravissimi ma pur sempre sprecati.
Fabio De Luigi è uno sceneggiatore chiuso a scrivere nel suo loft una storia d’amore/non amore tra due ragazzini sedicenni che vogliono sposarsi (un “Moonrise Kingdom” ante-litteram ? ); Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio sono i genitori dei due ragazzini, e quindi consuoceri (entrambi i ruoli sono puro stile Salvatores); le bellissime Carla Signoris e Margherita Buy vestono i panni delle due madri, e Valeria Bilello è Anna, la figliastra di Bentivoglio (molto Gwyneth Paltrow ne “I Tenembaum”) , di cui De Luigi autore si innamora, tanto da diventare anch’egli personaggio, e motivo per cui la sceneggiatura che sta scrivendo non riesce a concludersi.
Ma un po’ per le lamentele dei personaggi, che iniziano a occupare la mente dello sceneggiatore e non si accontentano di essere lasciati a loro stessi ( e qui c’è da dire che ai sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello accadeva il contrario, ovvero si lamentavano di essere “rappresentati”) , un po’ perché “il film va finito”, ecco che il finale coincide con l’inizio della storia d’amore tra lo sceneggiatore e Anna, e ciò gli darà poi l’impulso per trovare il coraggio di affrontare la vera Anna nella realtà, la sua vicina di casa.
Si ride e si riflette sulla vita, come sempre nei film di Salvatores (qui alla sua quattordicesima regia cinematografica, e reduce dal successo di “Come Dio comanda”, dell’anno prima), ma senza originalità (oltre a Pirandello, il tema è stato ripreso da molti registi del Novecento, uno su tutti Woody Allen ne “La rosa purpurea del Cario”) e con un po’ tanti slogan da spot pubblicitari e luoghi comuni, che fanno perdere senso all’intera messa in scena.
Il finale è tirato, e campato in aria, e inoltre manca la vera curiosità e il vero amore nei confronti dei personaggi, cosa assolutamente fondamentale quando si ha a che fare con un film corale.
Rientra in quel gruppo di film di Salvatores che purtroppo risultano mal riusciti (vedi anche “Nirvana” e “Denti”), idee carine in apparenza , ma che si perdono nel corso della loro realizzazione.
Il film è dedicato “a chi ha paura”, ma senza un motivo apparente, non ha lo stesso fascino che la “trilogia della fuga” di vent’anni prima (composto da “Marrakech Express”, “Mediterraneo” e “Turnè”) riusciva a descrivere pienamente.
La fotografia di Italo Petriccione che, come accennato, restituisce piena dignità a una città raffigurata da sempre come grigia e razzista, assieme alle riprese di Salvatores e le interpretazioni degli attori, è l’unico elemento di forza di questo film. Ma non salva un prodotto dalla trama scontata e banale.
Curiosità: Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio, in una battuta del film ritengono di essersi già visti in Marocco. E’ un chiaro omaggio a “Marrakech Express”, uno dei film più belli di Salvatores, nel quale i due partono alla volta di Marrakech per salvare l’amico Rudy. Ma quello (e l’anno successivo lo avrebbe dimostrato vincendo il premio Oscar per il Miglior Film straniero con “Mediterraneo”) era un altro Salvatores.
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nino pell.
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domenica 28 marzo 2010
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e' proprio vero: spesso la realtà non ha una trama
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Gabriele Salvatores, regista che spesso ci ha abituati a caratterizzare la sua produzione cinematografica con films dalle tinte drammatiche (si pensi a "Come Dio comanda" o a "Io non ho paura") questa volta si cimenta nel genere comico, col risultato di aver trasmesso in me, dopo aver naturalmente visto questo suo nuovo film, un tipo di sensazione non esaltante ma neanche disprezzante. Una sorta di film da seconda linea ma non necessariamente opera minore della sua importante esperienza di regista. Lo stile di questa sua ultima fatica lo potrei definire particolare ma non originale. E difatti elementi come la rappresentazione del film nel film, gli attori che parlano attraverso la telecamera al pubblico, mischiando finzione scenica con genuina caratterizzazione impressionistica della dimensione reale, non sono certo una novità nella storia del Cinema in quanto ben altri films del passato si sono basati su questa particolare tecnica di fare film.
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Gabriele Salvatores, regista che spesso ci ha abituati a caratterizzare la sua produzione cinematografica con films dalle tinte drammatiche (si pensi a "Come Dio comanda" o a "Io non ho paura") questa volta si cimenta nel genere comico, col risultato di aver trasmesso in me, dopo aver naturalmente visto questo suo nuovo film, un tipo di sensazione non esaltante ma neanche disprezzante. Una sorta di film da seconda linea ma non necessariamente opera minore della sua importante esperienza di regista. Lo stile di questa sua ultima fatica lo potrei definire particolare ma non originale. E difatti elementi come la rappresentazione del film nel film, gli attori che parlano attraverso la telecamera al pubblico, mischiando finzione scenica con genuina caratterizzazione impressionistica della dimensione reale, non sono certo una novità nella storia del Cinema in quanto ben altri films del passato si sono basati su questa particolare tecnica di fare film. Ed allora mi soffermerò qui ad esprimere il mio pensiero unicamente sul significato che tale pellicola ha voluto dare. La trama narra di uno scrittore di storie (in probabile crisi ispirativa) che cerca di portare a termine il suo ultimo racconto e dove la sua coscienza critica pare manifestarsi attraverso i commenti e i consigli che gli stessi protagonisti immaginari del suo racconto sembrano suggerirgli. La creazione e il prosieguo del suo racconto sembrano essere costantemente accompagnati da un senso di incertezza riguardo la sua riuscita. Alla fine egli scegierà un finale che possa risultare gradevole per il pubblico e che faccia felici i protagonisti della storia. Una sorta di sarcasmo sottile (e qui scatta il vero significato di quest'ultima opera di Salvatores) tra ciò che appartiene al mondo dell'arte scenica e della finzione che deve necessariamente avere una trama ed una conclusione e ciò che invece rappresenta la nostra vita reale che spesso non ha nè l'una nè l'altra. La vita, quindi, sembrerebbe più che altro essere legata al caso o alla fortuna: può andare bene così come potrebbe ridursi ad essere una perenne storia senza trama e senza nessuna sfumatura. Ma nel finale Salvatores sembra optare per la positività. Come appunto avviene allo scrittore del racconto, il quale realizza il sogno di vedere concretizzare il suo amore nei riguardi di una sua vicina di casa, tanto decantata e fantasticata nel suo racconto. Un Salvatores dunque insolitamente ottimista o, forse, ironicamente compiacente.
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annelise
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martedì 30 marzo 2010
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il cinema è finzione
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Due famiglie escono dalla fantasia di un autore e passano, dalla semplice battuta sulla tastiera del computer, ad una rappresentazione che somiglia alla vita.
Sono famiglie dinamiche, diverse, con storie ,pregi e difetti e sogni da realizzare.
I personaggi ,genitori, figli, nonna e cani sono ben caratterizzati ed assortiti, a volte tristi, a volte divertiti e divertenti.
La trama si sviluppa sulla bipolarità dell'esistenza, che oscilla continuamente tra la vita e la morte, e sul bisogno di portare a compimento i propri desideri nel tentativo di superare le paure ed accettare i propri limiti.
Nasce un amore tra due personaggi insicuri e timidi, nasce la solidarietà tra due uomini appartenenti a due mondi diversi,nasce un dialogo intimo tra due donne sui vissuti di coppia, si chiarisce l'appartenenza di genere di due adolescenti.
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Due famiglie escono dalla fantasia di un autore e passano, dalla semplice battuta sulla tastiera del computer, ad una rappresentazione che somiglia alla vita.
Sono famiglie dinamiche, diverse, con storie ,pregi e difetti e sogni da realizzare.
I personaggi ,genitori, figli, nonna e cani sono ben caratterizzati ed assortiti, a volte tristi, a volte divertiti e divertenti.
La trama si sviluppa sulla bipolarità dell'esistenza, che oscilla continuamente tra la vita e la morte, e sul bisogno di portare a compimento i propri desideri nel tentativo di superare le paure ed accettare i propri limiti.
Nasce un amore tra due personaggi insicuri e timidi, nasce la solidarietà tra due uomini appartenenti a due mondi diversi,nasce un dialogo intimo tra due donne sui vissuti di coppia, si chiarisce l'appartenenza di genere di due adolescenti.
Quando l'autore prova a lasciare l'opera incompiuta , i personaggi si ribellano, lo includono come personaggio nella trama, e lo portano a concludere le storie sospese. L'essere incluso e coprotagonista lo porta a tirare le fila con quella delicatezza e sensibilità che anche lui vorrebbe ricevere.
La trovata pirandelliana dei personaggi in cerca di autore , pur non essendo una novità,è rappresentata con freschezza e leggerezza, come un gioco nel quale lo spettatore può inserirsi facilmente.Il contenuto non è mai superficiale e, seppure non va dimenticato che il cinema è finzione,si finisce per voler dar vita ai personaggi sentendo di partecipare alla loro tristezza e alle loro gioie.
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domenico a
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mercoledì 31 marzo 2010
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tu vuo' fa l'americano con pirandello
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Salvatores realizza una commedia all’italiana con uno sguardo oltre oceano, agli States. Lo intitola all’inglese “ Happy family “, sceglie la splendida colonna sonora del film “ Il Laureato “ di Mike Nichols e inserisce brevemente una scena simile ( Lei che corre da lui dall’altare, in questo caso dal camerino del concerto ). Ma la Famiglia non sembra Happy, né in senso ironico tantomeno serio o bonario: non sembra critica sociale né una descrizione sopra le righe della realtà d’oggi. Tuttavia prende più che spunto da “ I sei personaggi in cerca d’autore “ di Pirandello: i protagonisti compaiono sul computer al giovane sfaccendato, annoiato e ricco di famiglia, che vuole scrivere una sceneggiatura anche per ammazzare il tempo e poi nel pieno della storia i suoi personaggi gli entrano in casa e gli contestano il finale con la minaccia di piazzarsi nel suo loft e non lasciarlo più.
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Salvatores realizza una commedia all’italiana con uno sguardo oltre oceano, agli States. Lo intitola all’inglese “ Happy family “, sceglie la splendida colonna sonora del film “ Il Laureato “ di Mike Nichols e inserisce brevemente una scena simile ( Lei che corre da lui dall’altare, in questo caso dal camerino del concerto ). Ma la Famiglia non sembra Happy, né in senso ironico tantomeno serio o bonario: non sembra critica sociale né una descrizione sopra le righe della realtà d’oggi. Tuttavia prende più che spunto da “ I sei personaggi in cerca d’autore “ di Pirandello: i protagonisti compaiono sul computer al giovane sfaccendato, annoiato e ricco di famiglia, che vuole scrivere una sceneggiatura anche per ammazzare il tempo e poi nel pieno della storia i suoi personaggi gli entrano in casa e gli contestano il finale con la minaccia di piazzarsi nel suo loft e non lasciarlo più. Nella breve storia che si svolge praticamente intorno ad una cena tra due famiglie i cui figlioli di sedici anni vogliono annunciare il loro matrimonio, una serie di gag un po’ facili ma che fanno sorridere e una serie di fatti un po’ prevedibili. Il film ‘prima di iniziare’ ha un prologo, con un monologo del protagonista, sulla scia di Trainspotting, questa volta sulla Paura, che tuttavia nel film non emerge da nessuna parte ( né da uno dei protagonisti a cui hanno diagnosticato un tumore maligno né tantomeno da un’adolescente evidentemente omosessuale ma che si vuole sposare con una coetanea, tantomeno da nessun altro protagonista che al massimo teme la noia e il tran tran ). Dicevamo Pirandello ma c’è anche un’occhio , forse involontario, a “ I vicini di casa “ di John G. Avildsen con John Belushi più che a “ I Tenenbaum “ di Wes Anderson.
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(di albamao)
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olgadik
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venerdì 2 aprile 2010
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un gioiellino modernista
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Happy Family è secondo me il gioiellino modernista di un orafo settentrionale, le Mine vaganti il monile barocco di un orefice mediterraneo. E il gioco potrebbe continuare, data la pioggia di famiglie di cui gronda il nostro cinema. Ma il film in questione, come molte creazioni di Salvatores, è interessante anzitutto per il solito tentativo dell’autore di coniugare i media odierni, recenti e nuovissimi, in tutte le salse (vedi Nirvana e Quo vadis baby?), mettendoli in relazione, senza dimenticare cultura letteraria e teatrale. Così, in quel modo intelligente e freddino tanto milanese e rilassato, Salvatores ci regala una commedia dove musica, teatro, cinema e cartoons al computer si mescolano con un tocco ora pop ora colto.
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Happy Family è secondo me il gioiellino modernista di un orafo settentrionale, le Mine vaganti il monile barocco di un orefice mediterraneo. E il gioco potrebbe continuare, data la pioggia di famiglie di cui gronda il nostro cinema. Ma il film in questione, come molte creazioni di Salvatores, è interessante anzitutto per il solito tentativo dell’autore di coniugare i media odierni, recenti e nuovissimi, in tutte le salse (vedi Nirvana e Quo vadis baby?), mettendoli in relazione, senza dimenticare cultura letteraria e teatrale. Così, in quel modo intelligente e freddino tanto milanese e rilassato, Salvatores ci regala una commedia dove musica, teatro, cinema e cartoons al computer si mescolano con un tocco ora pop ora colto. Da Pirandello a Keaton, da Allen a Fellini, dal Notturno n. 20 di Chopin a Simon e Garfunkel, tutto convive e si mescola come nella famiglia teatrale e nel gruppo di amici che riflette il particolare concetto di famiglia che l’autore come lui stesso dichiara in una intervista - sperimenta nella sua vita reale. Ma a proposito di vita reale: sappiamo davvero cosa è? E i personaggi inventati nel film dallo sceneggiatore Ezio sono veri quanto lui o sono falsi? Molti gli interrogativi, alcuni scontati, altri che non hanno perso efficacia, mentre il racconto si dipana facendo divertire lo spettatore con il garbo della sceneggiatura e delle battute, il ritmo prezioso del montaggio di Massimo Fiocchi, la bella fotografia di Italo Petriccione. Al centro della narrazione, che non casualmente si apre e si chiude con un sipario e si divide in tre quadri tipo cinema muto, lo sceneggiatore Ezio, che vive di rendita, abita in un loft dove ogni oggetto rimanda a una cultura anni ’60 e che sta mettendo in scena una sua invenzione. In essa due famiglie s’incontrano per una cena durante la quale due ragazzi sedicenni vogliono annunciare la loro decisione di sposarsi. Ma nel gruppo si troverà ad entrare anche l’autore, finito tra i suoi personaggi per via di un incidente che lo catapulta sulla scena. Delle due famiglie, una di classe media e l’altra decisamente benestante, la prima è formata da genitori, due figli e una nonna che veleggia verso la demenza senile, l’altra da padre, madre e una figlia supermoderna. Lo scrittore Ezio, ultimo entrato, non avrà occhi a tavola che per Caterina, la figlia più grande della famiglia ricca. Intanto la conoscenza tra le donne e gli uomini fa nascere nuove relazioni; i ragazzi invece capiscono che non è il caso di sposarsi. Ezio, che scriveva per non innamorarsi nella realtà, scopre di essere cotto della giovane appena conosciuta, ma un minuto prima di baciarla decide di uscire dal film, lasciandolo aperto e irrisolto e provocando la ribellione dei suoi personaggi che, pirandellianamente, vogliono invece sapere come andrà a finire per ciascuno di loro. Le ultime sequenze, tra le migliori del film, presentano un brano che ricorda molto la Manhattan di Allen, una carrellata in bianco e nero su una Milano affascinante, notturna e bagnata. E il giorno dopo… qui ci fermiamo prima che il sipario si chiuda. Tra gli interpreti, tutti bravi per sfumature come valore aggiunto alle prestazioni precedenti, spicca la prova di Fabrizio Bentivoglio che, abbandonata l’esagerata caratterizzazione di altri personaggi, regala allo spettatore misura e ironia, saggezza e frustrazioni in un mix da non dimenticare.
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albamao
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venerdì 2 aprile 2010
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un omaggio ad un regista ancora vivente?
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Le tre stelle (o forse meglio sarebbero state le due stellete e mezzo..) sono l'esatta media risultante da una votazione doppia. Si perchè questo film suscita una doppia considerazione; da una parte c'è un prodotto davvero valido, coinvolgente e pieno di sorprese sia narrative che stilistiche, con una Milano mai così affascinante (un bianco nero mozzafiato che sembra volercela raccontare in tutte le sue luci ed ombre) ottimamente interpretato dal tutto il cast; dall'altra un prodoto invece mediocre se consideriamo che nel dirigerlo ha rubato a man bassa da altri registi ed opere tra l'altro molto recenti. Come non sentirsi catapultati nella magnifica atmosfera di quel capolavoro che era stato I Tenenbaum? Tutto ci rimanda a quelle atmosfere.
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Le tre stelle (o forse meglio sarebbero state le due stellete e mezzo..) sono l'esatta media risultante da una votazione doppia. Si perchè questo film suscita una doppia considerazione; da una parte c'è un prodotto davvero valido, coinvolgente e pieno di sorprese sia narrative che stilistiche, con una Milano mai così affascinante (un bianco nero mozzafiato che sembra volercela raccontare in tutte le sue luci ed ombre) ottimamente interpretato dal tutto il cast; dall'altra un prodoto invece mediocre se consideriamo che nel dirigerlo ha rubato a man bassa da altri registi ed opere tra l'altro molto recenti. Come non sentirsi catapultati nella magnifica atmosfera di quel capolavoro che era stato I Tenenbaum? Tutto ci rimanda a quelle atmosfere..i colori vivaci, la carta da parati delle stanze, i personaggi strampalati e sottilmente eccentrici, perfino il decorso della malattia di Fabrizio Bentivoglio ed il suo desiderio in qualche modo di vivere intensamente i proprio scampoli di vita sono gli stessi del nostro Gene Hackman. Per non parlare degli intermezzi teatrali che annunciano il cambio scena su carta antica e il figlio della come sempre bravissima Margherita Buy che vestito di tutto punto in completino da tennis parla in auto con il padre rimandandoci ancora al personaggio di Richie Tenenbaum anch'esso vecchia gloria dei campi in terra rossa...insomma nulla da dire sulla capacità di Salvatores di mettere su una perfetta opera teatrale/teatrino con personaggi che sembrano incastrarsi perfettamente, ma forse non si sentiva l'esigenza di un omaggio così spudoratamente esplicito.
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francesco francesco
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venerdì 13 agosto 2010
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dire pane al pane e bufala alla bufala
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Il gioco di mettere in scena lo sceneggiatore che mentre scrive la storia la vive mescolandosi con i personaggi si è già visto, nonostante questo il fuilm potrebbe avere valore come satira sui luoghi comuni dei film sulla famiglia (il figlio gay, il padre malato terminale, la nonna svampita, l'adolescente ribelle, la ragazza in cerca d'amore, il 50enne che si fa le canne ecc ecc) se alcune lungaggini, scene inutili (ad esempio quella in cui il protagonista / sceneggiatore prova delle camicie) e riempitivi vari tendono a far concludere che si tratta solo della geniale presa in giro di un autore che aveva i finanziamenti, aveva gli attori ma non aveva "il film".
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Il gioco di mettere in scena lo sceneggiatore che mentre scrive la storia la vive mescolandosi con i personaggi si è già visto, nonostante questo il fuilm potrebbe avere valore come satira sui luoghi comuni dei film sulla famiglia (il figlio gay, il padre malato terminale, la nonna svampita, l'adolescente ribelle, la ragazza in cerca d'amore, il 50enne che si fa le canne ecc ecc) se alcune lungaggini, scene inutili (ad esempio quella in cui il protagonista / sceneggiatore prova delle camicie) e riempitivi vari tendono a far concludere che si tratta solo della geniale presa in giro di un autore che aveva i finanziamenti, aveva gli attori ma non aveva "il film".
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giorgio47
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mercoledì 31 marzo 2010
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troppo poco per un autore
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L’ultima opera di Salvadores è un filmettino piacevole e ben girato ma che lascia l’amaro in bocca. In effetti ci sono alcune trovate, anche se non originali, come quella di parlare alla macchina da presa, i personaggi che interagiscono con l’autore, insomma un po’ di Pirandello, tanto che uno dei personaggi, se non sbaglio Abatantuono appella proprio come “Pirandello”, Fabio De Luigi, appunto l’autore del “Film”. A parte questo, la pellicola non è molto diversa da uno dei quei film “giovanilistici” basati sull’amore sia esso adolescenziale o maturo, ma sempre una storiella d’amore. Non basta ammiccare e dirci che quello che vediamo non è la vita reale, che è il cinema! Far scorrere le immagini in bianco e nero di una Milano notturna ad evidenziare la distanza tra la narrazione di una storia e la vita, quella vera, ha più l’aspetto di una divagazione fredda e distaccata che una partecipazione convinta.
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L’ultima opera di Salvadores è un filmettino piacevole e ben girato ma che lascia l’amaro in bocca. In effetti ci sono alcune trovate, anche se non originali, come quella di parlare alla macchina da presa, i personaggi che interagiscono con l’autore, insomma un po’ di Pirandello, tanto che uno dei personaggi, se non sbaglio Abatantuono appella proprio come “Pirandello”, Fabio De Luigi, appunto l’autore del “Film”. A parte questo, la pellicola non è molto diversa da uno dei quei film “giovanilistici” basati sull’amore sia esso adolescenziale o maturo, ma sempre una storiella d’amore. Non basta ammiccare e dirci che quello che vediamo non è la vita reale, che è il cinema! Far scorrere le immagini in bianco e nero di una Milano notturna ad evidenziare la distanza tra la narrazione di una storia e la vita, quella vera, ha più l’aspetto di una divagazione fredda e distaccata che una partecipazione convinta. Comunque come ripeto il film non mi è dispiaciuto ma l’amaro resta! Da un autore come Salvatores ci si aspetta e si pretende di più!
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chansgiardinier
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giovedì 29 luglio 2010
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peccato per il dolce !
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E' sempre il solito problema: quando compri a scatola chiusa ti può andare bene nove volte su dieci...ma basta quella volta per farti smettere di comprare a scatola chiusa ! Seguiamo Salvatores da Turnè. Abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie lo stupendo inizio, con un Bentivoglio bello e maledetto che recita Jagger e viene scambiato per Gracia Lorca.....insomma, Salvatores era aria fresca. Il cazzeggio elevato ad arte. Calcio, musica e la voglia di scappare sempre e comunque. Dalla banalità. Dall'ovvio. Dall'obbligatorio. Per questo Happy Family ci mozza le gambe. L'impressione è che Salvatores sia amico di Alessandro Genovesi e abbia chiesto a tutti i suoi vecchi amici di "dare una mano".
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E' sempre il solito problema: quando compri a scatola chiusa ti può andare bene nove volte su dieci...ma basta quella volta per farti smettere di comprare a scatola chiusa ! Seguiamo Salvatores da Turnè. Abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie lo stupendo inizio, con un Bentivoglio bello e maledetto che recita Jagger e viene scambiato per Gracia Lorca.....insomma, Salvatores era aria fresca. Il cazzeggio elevato ad arte. Calcio, musica e la voglia di scappare sempre e comunque. Dalla banalità. Dall'ovvio. Dall'obbligatorio. Per questo Happy Family ci mozza le gambe. L'impressione è che Salvatores sia amico di Alessandro Genovesi e abbia chiesto a tutti i suoi vecchi amici di "dare una mano". Abatantuono sembra preso, paro paro, da una puntata di Controcampo, la nonna con l'Alzheimer batte in banalità qualunque personaggio dei Vanzina, la comparsata (o il cameo ?) di Ugo Conti che si becca il vaffa di rito da De Luigi sembrava un match tra Christian De Sica e Jerry Calà. Spiace per tutto il cast coinvolto: professionisti come Buy, Bentivoglio e persino il buon De Luigi penso non metterebbero Happy Family nel loro curriculum vitae. La voce narrante che all'inizio ci spiega di cosa abbiamo paura è interminabile. Da lì a poco, la ragazza nella vasca da bagno ci racconta che le rosse puzzano, che lei è insicura.....la domanda è: nei quattro euro e cinquanta del biglietto è compreso anche l'onorario dello psicanalista ? Dopodichè, liberi tutti ! Ci piace pensare che l'unico momento che Salvatores non abbia dovuto condividere con Alessandro Genovesi sia la carrellata in bianco e nero su Milano con sottofondo di Chopin...come a dire: scusate, ma ho vinto un premio oscar nel 1991 ! Happy family: il dolce non riuscito da una nonna con l'Alzheimer. Alla prossima, Gabriele.....ma non più a scatola chiusa !
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