Una bella delusione Fincher, una notevole mattonata, non necessariamente in senso solo positivo o negativo. Parte tutto con un guizzo d' inventiva che tiene in piedi la struttura solo a metà, ossia è una più che discreta, efficace intuizione narrativa, quella del protagonista che "ringiovanisce" mano a mano, portata avanti sul solco dei trascorsi interpresonali alla Forrest Gump (che Hollywood ama tantissimo, per cui l'America perde le staffe a sentir critiche) quindi neanche troppo male si direbbe. Ma poi, ecco che c’è, quasi tre ore del nulla: non è possibile, mi dicevo, ebbene sì, incombono tre ore basate sul percorso che il protagonista inevitabilmente compie, quasi adempie vedendosi 'decrescere', nel fare esperienze di vita praticamente "a ritroso" nonostante gli avvenimenti, le ripercussioni, i cambiamenti diano l'idea di esser scanditi senza più di tanta stortura, distorsione profonda, scarto da un punto di vista squisitamente relazionale e di dispiegamento fino all'infanzia terminale (che prefigura una metastasi col nulla che non riesce però a tradursi in immagini)
Tutto diventa (purtroppo) “calligrafico”, già da dopo la suddetta premessa, sentimentalismo futile, momenti trascurabili a non finire, filosofia abbastanza spicciola e ricordi che si sgranano passo passo. Fincher fa il pieno di personaggi secondari di cui ci si sta già dimenticando durante le scene stesse in cui si prestano al racconto e alla linea della lettura da tanto che lasciano indifferenti (esempio su tutti, mai vista una figura paterna tanto pallida, scipita, brevilinea e poco caratterizzata).
Per il resto si susseguono stralci di vita imboccati da un diario letto al capezzale, tra rapporti illuminati alla bell' e meglio, senza profondità eccedente, secondo pochi e perlopiù scontati aspetti di affrontazione dell'anomalia. C'è da dire che il finale, per paradosso, risolleva anche ampiamente le sorti, ottenendo di prefigurare il riassorbimento nella nascita, ma forse Fincher non va abbastanza in fondo nella dinamica e si ferma qualche passo prima. In sé e per sé il difetto maggiore è che è troppo descrittivo, prevedibile, annacquato da qualsivoglia situazioni senza chiave di anelito ulteriore, sostenute solo da una delle migliori idee -lo concedo- che potessero saltar fuori per tirar fuori qualcosa da questo film. Quando l'idea da sola è più pregnante di quelle lunghissime, didascaliche, tre ore di visione, è segno che qualcosa tocca. La messa agli atti al limite della pedanteria, e il punto è proprio questo, che avendo e partendo da un materiale del genere, da un'anomalia dell'età così intrigante, ricca di risvolti psicologico-esistenziali (è tratto da un romanzo breve) la trasposizione è tutt'altro che valida, né concisa, con nessunissima sintesi di natura alcuna
Incisive sono solo certe immagini isolate, di giustezza poetica, quali la sfocatura dell'alba all'orizzonte, con il sole che spunta inversamente agli ultimi istanti di vita del padre, o il bel finale simbolico con il quadrante dell'orologio e l'acqua che allaga tutto. Accompagnamento e fotografia sono assolutamente stucchevoli, che non fa che appesantire, banali, o meglio alla lunga intiepidiscono. Uno dei più deboli film di Fincher su tutta la linea, in tutta sincerità (senza rancore per quello che rimane un gran bravo regista) avrei voluto prenderlo a sberle, a pensare che solo l'anno prima eravamo ai livelli di Zodiac, un capolavoro sfiorato. Si vede che il biografico/sentimentale non fa per Fincher, dovrebbe attenersi al suo forte che è il genere crime/investigativo perché raramente ho visto un film così affaticato, lezioso, tra lungaggini e senza un barlume di niente di altrettanto potente quanto l'implicazione di per sé della caratteristica principe, peraltro inverosimile, roba che neanche il primo venuto. Peccato. Per riprendere le parole del monologo: "spero che Fincher torni al thriller"
Voto: 4.5
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