martina bady
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martedì 20 marzo 2007
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cose private
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Un tripudio di proprietà inviolabili:dalla casa di famiglia,una perla solitaria di pietra viva soffocata dai rampicanti,che i ragazzi non sono disposti a vendere,contrariamente alle aspettative della madre,alla vita privata di Pascale,che non vuole condividere con nessuno a prezzo di esacerabanti silenzi,fino all'estremo dolore,che la Famiglia vuole elaborare indisturbata da tutto e da tutti.
L'intreccio del film,come le nervature di una foresta incolta,si fonde panicamente con la natura,una campagna dai lugubri tinteggi che assomiglia ad una distesa di salici piangenti.La casa della discordia proietta ombre sinistre,alimenta le incomprensioni tra figli e madre,ben s'armonizza con la sviolinata finale,un lacerante strazio di corde nei troppi vuoti di senso e parole.
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Un tripudio di proprietà inviolabili:dalla casa di famiglia,una perla solitaria di pietra viva soffocata dai rampicanti,che i ragazzi non sono disposti a vendere,contrariamente alle aspettative della madre,alla vita privata di Pascale,che non vuole condividere con nessuno a prezzo di esacerabanti silenzi,fino all'estremo dolore,che la Famiglia vuole elaborare indisturbata da tutto e da tutti.
L'intreccio del film,come le nervature di una foresta incolta,si fonde panicamente con la natura,una campagna dai lugubri tinteggi che assomiglia ad una distesa di salici piangenti.La casa della discordia proietta ombre sinistre,alimenta le incomprensioni tra figli e madre,ben s'armonizza con la sviolinata finale,un lacerante strazio di corde nei troppi vuoti di senso e parole.
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suomii
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domenica 22 agosto 2010
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la proprietà è lì dove sta il tuo cuore.
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Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente,
sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica inziale "a nos limites" (ai nostri limiti),
per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori di battaglie che
nascono prima all'interno, nei cuori.
Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier), due gemelli venticinquenni
non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come un sacrificio, complice l'innamoramento con Jan,
Pascale inzia a progettare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono
cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.
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Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente,
sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica inziale "a nos limites" (ai nostri limiti),
per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori di battaglie che
nascono prima all'interno, nei cuori.
Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier), due gemelli venticinquenni
non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come un sacrificio, complice l'innamoramento con Jan,
Pascale inzia a progettare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono
cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.
Da una sensazione di fastidio per quella che può apparire una scelta egoistica della madre, soprattutto
perchè sottolineata dai continui commenti offensivi di Thierry il quale riproduce distortamente gli atteggiamenti
paterni, lentamente si arriva ad apprezzare lo sforzo di Pascale di costruire, attraverso la ricerca della propria
autonomia dalle dinamiche familiari alterate, anche l'indipendenza dei propri figli.
Il conflitto tra Thierry e Pascale, supportata dal più "materno" Francois, nel momento in cui la madre uscirà
fuori dalla scena, diventerà quello del fratello contro il fratello.
Per cose apparentementi minori: la moto presa senza chiedere il permesso, il modo di mangiare, una battuta.
Isabelle Huppert porta in scena una madre sul cui viso traspare stanchezza, mista ad una sorta di rilassetezza emotiva.
Non c'è dialogo tra la madre e i figli: alcuni atteggiamenti ambigui di Pascale anzi la espongono ai commenti sempre più
malevoli di Thierry sulla sua vita sessuale. Ma comunque, con la sua presenza, resta il fragile collante che tiene unita la famiglia.
Il padre Luc, interpretato da Patrick Descamps, una figura fisicamente imponente, è moralmente assente dalla vita dei figli,
eccetto per il sostentamento economico, paletto a cui si aggrappa per le sue rivendicazoni.
Il regista, Joachim Lafosse, resta sobrio e non ingombrante per dare risalto alla narrazione di dinamiche familiari le quali
richiedono sempre uno sforzo di interpretazione profonda: sono quelle catene che tutti conosciamo, un misto di sofferenza
e di interessi personali, dalle quali ci sentiamo legati e dalle quali proviamo a liberarci, con goffi e violenti tentativi, che
sortiscono l'effetto solo di restringerle più forti.
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stefano capasso
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sabato 7 settembre 2019
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la necessità di spezzare i vincoli famigliari
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In una casa della campagna del nord della Francia vivono Pascale e i suoi due figli gemelli Thierry e Francois, gemelli eterozigoti. I tre vivono in un mondo a parte, caratterizzato da un forte legame, a tratti morboso, che li mantiene tutti in uno stato di adolescenza, nonostante i due ragazzi abbiano venti anni. Ogni tanto appare il padre, verso il quale Pascale, ormai divorziata da tempo, nutre ancora una forte animosità. Le cose cambiano quando la donna si innamora di un vicino e progetta di vendere la casa.
Joachim Lafosse sceglie di mantenere la sua macchina da presa immobile sulle scene che si succedono per almeno due terzi del film; è l’immobilità che rappresenta la situazione del nucleo famigliare, incapace di evolvere e separarsi per fare emergere le singole individualità.
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In una casa della campagna del nord della Francia vivono Pascale e i suoi due figli gemelli Thierry e Francois, gemelli eterozigoti. I tre vivono in un mondo a parte, caratterizzato da un forte legame, a tratti morboso, che li mantiene tutti in uno stato di adolescenza, nonostante i due ragazzi abbiano venti anni. Ogni tanto appare il padre, verso il quale Pascale, ormai divorziata da tempo, nutre ancora una forte animosità. Le cose cambiano quando la donna si innamora di un vicino e progetta di vendere la casa.
Joachim Lafosse sceglie di mantenere la sua macchina da presa immobile sulle scene che si succedono per almeno due terzi del film; è l’immobilità che rappresenta la situazione del nucleo famigliare, incapace di evolvere e separarsi per fare emergere le singole individualità. Il rapporto tra i tre protagonisti è caratterizzato da una certa ambiguità di fondo che ha la funzione di mantenere tutti perennemente legati tra loro. L’elemento nuovo che arriva a rompere l’equilibrio è l’innamoramento della madre che la porta a cercare qualcosa di diverso. Spezzato in modo drammatico l’equilibrio, ognuno dovrà fare i conti con se stesso, a cominciare dalla coppia dei genitori che simbolicamente si ritrova a raccogliere i cocci di quello che è stato il fallimento del loro matrimonio. La macchina da presa riprende a muoversi a accompagni i protagonisti nell’espressione di nuovi bisogni. Un film che è quasi un Kammerspiel, in cui il regista, gemello anch’egli, ricostruisce e trasmette il senso di oppressione misto ad incoscienza giovanile che genera una situazione così strettamente vincolante
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