Proprietà privata

Una famiglia e il senso di colpa

L'anomala dedica che figura in testa a Nuda proprietà di Joachim Lafosse è già tutto un programma: «ai nostri limiti». Già, ma è giustificazionista? Invoca cioè clemenza e comprensione, perora la causa del mal comune mezzo gaudio e del chiudere un occhio? Oppure al contrario è un'accusa e un'autoaccusa, un risveglio critico e autocritico, un monito? La risposta giusta è la numero due. E il bisturi dell'analisi affonda senza guardare in faccia nessuno ma debolezze, miserie e colpe (la colpa, con la c maiuscola, aleggia su tutto il film, anzi lo penetra come una colata inarrestabile) sono al contempo osservate a distanza ravvicinata attraverso la lente della compassione.
Isabelle Huppert, all'ennesima conferma della sua statura ciclopica, è una moglie non serenamente separata da dieci anni ed è la madre di due gemelli che abitano con lei nella bella e deprimente casa della campagna belga dove il marito, proprietario, l'ha lasciata. I gemelli, che sono veramente tali, sono due bambacioni viziati grandi e grossi e uno dei due, Thierry, è anche uno stronzetto arrogante e violento. La tensione esplode proprio intorno alla questione della casa. Pascale, la madre, vorrebbe venderla per rifarsi una vita in compagnia di un vicino col quale ha allacciato una relazione. Thierry, spalleggiato dal padre, le mette il bastone tra le ruote. Provata, logorata dal clima avvelenato la donna decide di allontanarsi da tutti e tutto, per conto suo, almeno per una pausa. Ma, non appena i due figli si trovano da soli, si scatena un litigio destinato a tragiche conseguenze. Nessuno in questa storia ha le mani pulite. Essa apre sgradevolmente — ma con quanta finezza — una finestra sullo stato contemporaneo della famiglia. L'egoismo del padre, la debolezza della madre, la pochezza del nuovo compagno di lei, l'immaturità e la superficialità colpevoli dei ragazzi.
Da La Repubblica, 8 settembre 2006


di Paolo D'Agostini, 8 settembre 2006