greatsteven
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martedì 9 ottobre 2018
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l'arte del cinema vista con sguardo traslucido.
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IL REGISTA DI MATRIMONI (IT, 2006) diretto da MARCO BELLOCCHIO. Interpretato da MAURIZIO DONADONI, SERGIO CASTELLITTO, DONATELLA FINOCCHIARO, SAMI FREY, GIANNI CAVINA
Un regista cinquantenne, Franco Elica, si trova in una complicata situazione emotiva perché la figlia ha sposato un fervente cattolico e perché è obbligato controvoglia a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Quando poi sopraggiunge una delle tante attricette cui lui aveva promesso un provino in cambio di favori sessuali senza poi mantenere la parola data, che minaccia di denunciarlo alle autorità per violenza carnale, Franco decide di rifugiarsi in un paese marittimo della Sicilia profonda, dove incontra un uomo che si guadagna il pane quotidiano girando filmini di matrimoni e un suo collega che si spaccia per morto per ottenere finalmente il riconoscimento cinematografico cui aveva sempre ambito.
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IL REGISTA DI MATRIMONI (IT, 2006) diretto da MARCO BELLOCCHIO. Interpretato da MAURIZIO DONADONI, SERGIO CASTELLITTO, DONATELLA FINOCCHIARO, SAMI FREY, GIANNI CAVINA
Un regista cinquantenne, Franco Elica, si trova in una complicata situazione emotiva perché la figlia ha sposato un fervente cattolico e perché è obbligato controvoglia a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Quando poi sopraggiunge una delle tante attricette cui lui aveva promesso un provino in cambio di favori sessuali senza poi mantenere la parola data, che minaccia di denunciarlo alle autorità per violenza carnale, Franco decide di rifugiarsi in un paese marittimo della Sicilia profonda, dove incontra un uomo che si guadagna il pane quotidiano girando filmini di matrimoni e un suo collega che si spaccia per morto per ottenere finalmente il riconoscimento cinematografico cui aveva sempre ambito. Conosce pure un nobile spiantato, il principe Ferdinando Gravina di Palagonia, che gli propone di realizzare una pellicola sulle nozze di sua figlia Bona. Franco si invaghisce perdutamente dell’affascinante principessa, ne è ricambiato e insieme partono per sottrarre la donna ad un matrimonio di convenienza voluto dal padre. Il finale si può interpretare secondo tre versioni che non si escludono a vicenda: connubio, nubilato, fuga. Il terzetto di possibili epiloghi di un film olistico, che procede per sequenze incompiute e scene non finite, è la sua quintessenza, e dà al cinema italiano, o meglio, al nostro intero immaginario collettivo moderno, troppo banalizzato e televisizzato, un ampio respiro che assurge a toccasana e benedizione. Al centro del cinema di Bellocchio c’è ancora una volta un soggetto femminile, una principessa quasi sposa di cui viene osservata la progressione umana, l’enfasi emotiva e la decisione conclusiva di un sentimento (libero per Elica, costretto per lo sposo) che esiste imprescindibilmente da tutto: famiglia, società, religione. E si trasforma in un tutt’uno reale con la corsa al treno verso un amore probabilmente edonistico, e dunque non riproduttivo, ma alquanto seducente per lo spettatore. Bellocchio riesce, a questa sua 2° collaborazione con Castellitto protagonista, a lasciare confusi, angustiati, zeppi di stupende immagini, desiderosi di cogliere nell’opera quei dettagli così importanti che a una prima visione, essendo il film molto denso di significati reconditi, inevitabilmente sfuggono. Dimostra inoltre un’energia, una generosità, una voglia di rompere gli schemi che rivitalizzano l’esangue cinema italiano degli anni 2000 che già cominciava, come sopra accennato, a rivaleggiare in perdita con la televisione spazzatura. Sospeso fra una realtà tangibile e palpabile e alcuni momenti onirici di indubbio prestigio, Il regista di matrimoni vale per le sue superbe interpretazioni (Castellitto e Finocchiaro su tutti, lui sotto le righe e con pochi ma congegnati scoppi d’ira, lei inibita e sognatrice), per la scenografia (Marco Dentici) che bacia come un velo appena svolazzante i paesaggi siciliani quali ambientazione di un romanzo iniziatico cominciato da adulti che conduce a prese di coscienza ben chiare, per il tranquillo montaggio di Francesca Calvelli che aiuta a valorizzare lo svolgimento lento ma comunque ottimale e coriaceo della storia e per le musiche originali, con consulenza musicale, di Riccardo Giagni, le quali alternano una gaia giocosità ad una malinconica piattezza che insieme compongono una colonna sonora degna di sottolineare con eleganza una vicenda tanto educativa. Interessante anche il personaggio di Orazio Smamma, interpretato da un G. Cavina insolitamente burbero e al tempo stesso filosofo, regista ignorato dalla critica che, solo dopo quando ha inscenato la sua scomparsa, riesce a portare a casa un David di Michelangelo (!), salvo poi ripiombare nella sua soldatesca pazzia da solitario e procurarsi un suicidio autentico. A differenza di lui, Elica riesce a salvarsi perché sa aggrapparsi a piloni più saldi, che includono una contemplazione dell’affetto e il rifiuto di darsi arie da grande artista, quale poi forse non è, ma che sicuramente non gli interessa di essere perché svolge il proprio mestiere quasi con noncuranza, privilegiando il prodotto finito, maltrattando i comprimari e gli aiuti registi e attaccandosi di più a valori maggioritari come la ricerca di un senso nella vita e il bisogno di non sprecare tempo a rincorrere sogni irrealizzabili, per quanto, da quest’ultimo punto di vista, ciò che desidera non stia troppo in basso e ciononostante egli ce la faccia tuttavia ad ottenerlo dopo una strenua lotta. S. Frey (doppiato da Rodolfo Bianchi) gioca il ruolo del principe di Palagonia inscenando un antagonista freddo, manipolatore, cocciuto e perbenista che non è abituato a non vedersi entrare in tasca quel che brama: ecco spiegata la rivalità, tramutata così da un’iniziale seppur tremolante amicizia, fra lui e Franco Elica, la sua ostinata opposizione al corteggiamento che il cineasta propina alla figlia, opposizione basata anche su convinzioni menzognere elaborate dalla sua mente sadica e cospiratrice. La materia narrativa su cui Bellocchio ha messo le mani gli ha consentito di sfornare un capolavoro che riabilita la figura di chi si occupa del suo stesso campo e di chi anela ad un’esistenza non impostagli dalle alte sfere, da un deus ex machina che, a livello tecnico, non esiste, ma muove comunque i fili dei suoi "burattini" (o come vorrebbe chiamarli lui) nella maniera che lo compiace.
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howlingfantod
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lunedì 14 settembre 2015
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cinema di ricerca
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Che il cinema venga usato come autoanalisi non c’è niente di male e Bellocchio in questa come in altre sue opere dimostra quanto sia vero, prova a metterci dentro un po’ di tutto di quello che vorrebbe mostrare eppure non ci riesce fino in fondo, confessando anche in un intervista che durante la lavorazione ci sono state tante scene tagliate e che alcune addirittura, che avrebbero dato un altro significato al film non sono state girate per problemi di produzione. Film nel film quindi e un analisi a blocchi delle possibilità del cinema stesso, una esplicitazione del mestiere del cineasta, come il metafilm suggerisce e in ogni caso cinema di ricerca e sperimentale che lascia il segno.
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Che il cinema venga usato come autoanalisi non c’è niente di male e Bellocchio in questa come in altre sue opere dimostra quanto sia vero, prova a metterci dentro un po’ di tutto di quello che vorrebbe mostrare eppure non ci riesce fino in fondo, confessando anche in un intervista che durante la lavorazione ci sono state tante scene tagliate e che alcune addirittura, che avrebbero dato un altro significato al film non sono state girate per problemi di produzione. Film nel film quindi e un analisi a blocchi delle possibilità del cinema stesso, una esplicitazione del mestiere del cineasta, come il metafilm suggerisce e in ogni caso cinema di ricerca e sperimentale che lascia il segno. Ne esce fuori quindi naturalmente un film spiazzante, ricco di significanti si sarebbe detto negli anni 70, molto stratificato, criptico, a tratti surreale, caustico e convulso, tanto da farsi domandare a fine proiezione a cosa abbiamo assistito. Eppure delle tracce ci sono, il linguaggio disturbante non evita di far emergere delle figure narrative, il metafilm, la spietata analisi della società e dei soliti meccanismi del potere costituito sia questo la Chiesa, la politica, la società, il cinema stesso con la figura del regista Smamma che cerca il consenso del pubblico e della critica ossessivamente e per arrivare a questo deve fare come il Mattia Pascal fingendosi morto (“in Italia comandano i morti”). Il tema religioso, che ritorna quasi sempre ossessivamente in Bellocchio in modo integralmente laico per scandagliare soprattutto la microanalisi del potere, fa da sfondo a tutta la scenografia del film ed alla sua trama che narra di un regista in crisi ed in fuga alle prese con l’ennesima riduzione cinematografica dei “Promessi Sposi”. Questo come anche la storia d’amore che si sviluppa sottotraccia e che si snoda in un finale aperto, può bastare solo come pretesto, ad un analisi sul ruolo dell’artista Bellocchio, forse su sé stesso e sulle possibilità del cinema stesso che come ci dicono alcune scene memorabili, su tutte secondo me quella dei cani che guidano Castellitto nella villa alla ricerca della Principessa, che toccano l’occhio, la mente ed il cuore e che dimostrano sempre che queste possibilità possono essere infinite. Film sicuramente non per tutti.
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dario
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martedì 21 luglio 2015
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scombinato
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Solita minestra insipida di Bellocchio, un presuntuoso che anche qui non sa tenere in piedi la storia, perdendosi in barocchismi senza capo nè coda. La sceneggiatura praticamente non esiste, il film va avanti per improvvisazioni e ad ogni scena si dà un sacco di arie. Noioso, ripetitivo, inconcludente, sfasato. Gli attori non aiutano. Castelito sembra un pesce lesso e la Fiknocchiaro una venuta da Marte. Cavina si rovina da solo, colpa anche del suo personaggio assurdo. Non male la scenografia. Belle le foto e il set.
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celluloide
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martedì 23 giugno 2015
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il regista di tempo perso
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la mancanza di una storia e di un cast adeguato obbliga il regista
ad inventarsi svariati finali creando confusione nello spettatore,
che nella maggior parte dei casi andava al cinema per
rilassarsi.
il finto morto interessa solo il mondo dei registi che non hanno capito
che i premi non arriveranno più senza vere storie ed adeguate
sceneggiature e possibilmente attori che abbiano fatto il tirocinio
e non spinti dai parenti cinematografari.
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brando fioravanti
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giovedì 12 aprile 2012
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caro bellocchio il cinema d'autore è finito
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Un regista si trova costretto suo malgrado a girare i promessi sposi. Nonostante la sua bravura non ha grandi opportunità di lavoro.Castellito nel ruolo del protagonista immagina le scenografie anche quando non gira. Durante il film incontra un suo amico regista che ha finto la sua morte per avere maggiore successo. Il cinema d'autore è veramente richiesto? Bellocchio è un grandissimo regista gia dalle prime scene si può vedere una schiacciante superiorità rispetto al cinema italiano moderno, ma in pochi l'hanno apprezzato. Giusta polemica sul malgusto del cinema. Alla fine ci si chiede se fingersi morti sia veramente una follia.
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mara65
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martedì 9 agosto 2011
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profondo ma tecnicamente fiacco
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Bellocchio è della old school e quindi tutti i tecnicismi del nuovo cinema non li conosce (carrelli, steady cam, dolly). I suoi film sono stilisticamente vecchi. La profondità del messaggio però è forte. Un regista costretto a fare filmini di matrimoni, per poter continuare a lavorare. Questo succede ai vecchi registi, come lui, come Olmi, ormai lontano dalle scene. Sono registi del passato che hanno ancora dei guizzi, ma che devono far strada ai nuovi registi più determinati (Garrone, Sorrentino, Molaioli). Nonostante la pochezza tecnica, il regista di matrimoni è un gran bel film. Ha l'idea originale e il sapore delle grandi opere, che puntano al sodo e che non cercano gli estetisti tipici del cinema moderno.
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Bellocchio è della old school e quindi tutti i tecnicismi del nuovo cinema non li conosce (carrelli, steady cam, dolly). I suoi film sono stilisticamente vecchi. La profondità del messaggio però è forte. Un regista costretto a fare filmini di matrimoni, per poter continuare a lavorare. Questo succede ai vecchi registi, come lui, come Olmi, ormai lontano dalle scene. Sono registi del passato che hanno ancora dei guizzi, ma che devono far strada ai nuovi registi più determinati (Garrone, Sorrentino, Molaioli). Nonostante la pochezza tecnica, il regista di matrimoni è un gran bel film. Ha l'idea originale e il sapore delle grandi opere, che puntano al sodo e che non cercano gli estetisti tipici del cinema moderno. Ha quella melanconia, quella tristezza decadente che conferisce alla pellicola un sapore ricco, d'autore. Ma forse è proprio quella tristezza di chi ha quasi esaurito le frecce del proprio arco. Bellocchio è un vecchio leone ormai stanco che in quest'opera coglie (finora) per l'ultima volta il centro. Dovrà faticare per poter emozionare ancora, in futuro.
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weach
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venerdì 19 novembre 2010
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una " partecipazione primaria "
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Con questo film si rinnova il sodalizio felice fra Marco Bellocchio e Sergio Castellitto.
Dire che si tratti di un film “ateo “ mi sembra veramente “un’ eresia”.
Bellocchio è schietto , contro i formalismi di palazzo , contro i fronzoli agghindati della religione.
Se un fondo mistico lo si vuole recuperare lo si recupera solo abbattendo le ipocrisie di questo mondo: da questa morte potrebbe risorgere anche un nuovo misticismo laico , anche spirituale.
Il regista indugia sui primi piani di Sergio Castellitto che hanno una grande intensità introspettiva ,una densità di forte sentire, una partecipazione “primaria “ indiscutibile .
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Con questo film si rinnova il sodalizio felice fra Marco Bellocchio e Sergio Castellitto.
Dire che si tratti di un film “ateo “ mi sembra veramente “un’ eresia”.
Bellocchio è schietto , contro i formalismi di palazzo , contro i fronzoli agghindati della religione.
Se un fondo mistico lo si vuole recuperare lo si recupera solo abbattendo le ipocrisie di questo mondo: da questa morte potrebbe risorgere anche un nuovo misticismo laico , anche spirituale.
Il regista indugia sui primi piani di Sergio Castellitto che hanno una grande intensità introspettiva ,una densità di forte sentire, una partecipazione “primaria “ indiscutibile .
Se vogliamo il regista di matrimoni rappresenta simbolicamente “la celebrazione del formalismo”“da guastare “ ,da ridicolizzare perché sintetizza il vuoto sentire che occulta l’essere .
Sergio Castelletto è Franco Elica ” un piccolo grande maestro di regia di matrimoni “ che piano ,piano acquista consapevolezza “della sua piccola dimensione “.
Sembra Marco Bellocchio lanciare alcuni quesiti.
Perché ci si sottomette alle celebrazioni tanto passivamente ?
Perché si diventa prigionieri di formalismi sino all’uccisione della voglia di” vibrare” ?
Perché intorno c’è poco o nulla per la nostra "assenza " ?
Forse.
Mentre ci si guarda alla "specchio" lampi di luce illuminano la notte che è in noi e sembra possibile " interrompere l'effetto del narcotico " che ci è stato propinato.
Il film è celebrazione del vuoto solo per umiliarlo e per poi indurci ad una riflessione ,che potrebbe condurci verso una resurrezione o ad attimi di consapevolezza .
Il processo critico contro l’uomo che non sente “ dilaga “ e rende splendido questo film , la regia e Sergio Castellitto
weach illuminati
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daniele.mastri
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sabato 12 settembre 2009
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irritante
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Decisamente irritante.
Il film peggiore che abbia mai visto.
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lamisil
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sabato 31 maggio 2008
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unknown
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teschio
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giovedì 1 maggio 2008
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sono sempre io= teschio
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al posto di scrivere conversione laica ho scritto lirica ma solo nel titolo però. scusate
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