Il regista di matrimoni

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Un film di Marco Bellocchio. Con Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni.
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Drammatico, durata 107 min. - Italia 2006. - 01 Distribution uscita venerdì 21 aprile 2006. MYMONETRO Il regista di matrimoni * * * 1/2 - valutazione media: 3,66 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Tra fiaba e thriller vince l'ironia

di Natalia Aspesi La Repubblica

A vedere un film di Marco Bellocchio si va ormai con una certa inquietudine: amandolo moltissimo, parteggiando per lui con tutto il cuore di spettatore, si teme di provare, se non una delusione, una specie di incompletezza, il fastidio verso se stessi per non riuscire a capire sino in fondo, di essere insomma in torto verso un autore che da più di quarant'anni, e restando un uomo dall'eterno fascino mite e schivo, ci ha dato opere bellissime e importanti che hanno segnato il cinema italiano e la nostra stessa vita. Non si smette mai di aspettarsi da lui un capolavoro. Ma cosa è poi un capolavoro, nel mondo stanco e del tutto commercializzato del cinema contemporaneo, soprattutto di quello italiano? Un film osannato dai critici, uno che fa traboccare le sale di gente impaziente (come sta succedendo per Il caimano di Moretti) un film che commuove, che incanta, che provoca rabbia, che viene subissato di premi, le cui immagini restano per sempre dentro di noi? O, come nel caso di Il regista di matrimoni, un film che lascia confusi, angustiati, pieni di bellissime immagini, desiderosi di vederlo una seconda volta per uscire dalle riflessioni accademiche: la visione onirica, la metafora, l'ellissi, il finale aperto, il film sul film, il regista in crisi, la Sicilia arcaica, il pensiero antireligioso e antistituzionale.
Una fiaba, un pamphlet, un'autobiografia, un thriller, una storia romantica, un'opera ironica e autoironica, oppure di critica e di denuncia? Il regista Sergio Castellitto, chiamato da tutti Maestro, sta facendo i provini per l'ennesimo "Promessi sposi" nazionalpopolare e il suo pensiero viene infestato dalle immagini di quello girato da Camerini nel 1941, grondante cristianità punitiva: intanto la figlia sposa un neocatecumeno, con una di quelle cerimonie di mistica letizia in cui tutti cantano e ondeggiano ritmando i salmi conio schiocco delle mani. Orripilato da queste nozze e da altro (un'aspirante attrice gli grida "ti manderò in galera", carabinieri si aggirano nel suo studio), Castellitto si ritrova su una spiaggia ai piedi di un magnifico antico paese siciliano.
Un regista locale di matrimoni (Enzo Balocco) sta riprendendo una coppia di sposi, lo riconosce, gli chiede consigli: risposta, che la sposa si denudi, mostri l'inguine, lo sposo l'avvinghi. Compare nel suo sontuoso palazzo avito in totale rovina (all'esterno Villa Palagonia, completa di mostri) il Principe che ha il volto rapace di Sami Frey, ai tempi d'oro amante di Brigitte Bardot e attore di Godard e di Clouzot: sua figlia Bona, per pagare i debiti di gioco del padre, deve sposare un ricchissimo avvocato spettinato e succube della madre; il Maestro regista viene chiamato a girare il film del lussuoso matrimonio e la prima cosa che fa la futura sposa, la bella e malinconica Donatella Finocchiaro, è trascinarlo in una cripta e lì dopo baci e baci, gli si inginocchia davanti, ma lui si ritrae, già troppo innamorato per cose così svelte.
Castellitto, che come regista problematico ha un cognome criptico, Elica, tace quasi sempre balenando gli occhi, mentre gli altri sentenziano molto, anche sconsideratamente: il Principe e non solo lui, per esempio "Sono i morti che comandano", e qui lo spettatore se ne ha voglia, può spaziare, Belloccio intenderà chi, gli autori morti, i Papi morti, i politici morti, anche se poi sono quelli vivi a comandare con un certo successo? E il vecchio regista Smamma (Gianni Cavina, sempre con bottiglia) che si è dato per morto affinché il suo film "La mamma di Giuda" vinca finalmente il David (qui di Michelangelo) contro il favorito su Togliatti?
Se la prende con le "parrocchie" politiche, della Sinistra e della destra, che in nome della democrazia si accordano per premiare chi fa più comodo a tutti: e qui si rimane un po' male perché evidentemente a Bellocchio non gli è ancora passato il dispiacere per il Leone d'Oro atteso e negato a Venezia nel 2003, al suo Buongiorno notte, il bel film sull'assassinio Moro. Ma non si trattò di tradimento e complotto (di sinistra), anche se poi l'allora direttore della Mostra, De Hadeln, perse il posto: il film russo Il ritorno sembrò una rivelazione, e piacque di più alla giuria presieduta da Monicelli.Anche se poi ben pochi andarono a vedere il film premiato mentre quello di Bellocchio ebbe un grande successo di pubblico.
Cominciato come un film sulla realtà, (avulsa però dall'imperio attuale della politica) con un matrimonio di rito integralista, il disordine e l'approssimazione di uno studio cinematografico dove si cercano attori e si fanno provini, il cruccio di un autore che deve girare un film di cui non gli importa niente, Il regista di matrimoni arrivato in Sicilia pare abbandonare il presente per abbandonarsi a fantasie ironiche da romanzone ottocentesco: principessa costretta a sposare un vedovo per ricostruire un patrimonio dilapidato dal padre, si innamora, viene chiusa in convento, va all'altare e da qui vari colpi di scena da puro feuilletton cui Bellocchio ricorre per spiazzare continuamente lo spettatore. Il quale, paziente ma guastato probabilmente dalle ovvietà della fiction televisiva, a un certo punto non si raccapezza più. Finale aperto, ognuno, pare dire Bellocchio, si scelga la conclusione che più gli aggrada. Ma noi spettatori sempliciotti non abbiamo sempre voglia di arrovellarci: per cui puntiamo sulla principessa che sorridendo fugge in treno da sola, perché anche se il regista Castellitto è meglio del promesso sposo, una donna così mesta e bella ha capito che può certo trovare di meglio.
Da La Repubblica, 19 aprile 2006


di Natalia Aspesi, 19 aprile 2006

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