roby66
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domenica 7 maggio 2006
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bellocchio?
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Bellocchio? chi è costui?....quando un maestro del cinema riesce a partorire un simil prodotto mi vien da pensare se non sia ora d'appendere la macchina al chiodo e vivere di ricordi.....ricordi come si fa un film?.......e allora fallo.......non tediare gli spettatori con una cosa che solo una parte del pubblico (quella pseudo-intellettuale) dichiara d'apprezzare, quando la stragrande maggioranza si chiede perchè quella sera si è recata al cinema......alle volte una cosa più semplicemente comprensibile puòessere più soddisfacente per tutti a casa mia si chiama umiltà.
ciao Roberto
ps pseudo-intellettuali perchè anche se non lo ammetteranno mai anche loro non c'hanno capito niente
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diana di francesca
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venerdì 28 aprile 2006
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vero come un sogno
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Oppresso da una crisi esistenziale e creativa, Franco Elica sogna una fuga.Che per incanto lo porti,solo,davanti al mare.E quali sogni può sognare un ateo ossessionato dal cattolicesimo, un artista insidiato dal silenzio delle emozioni?Una Lucia che è anche un po’Gertrude,nozze forzate,bagliori di vita dove ogni incontro avviene in una chiesa,un succedersi di sorprese fantasmagoriche e viscerali.E un non-luogo dove tutte queste possibilità,queste ossessioni,possono mescolarsi e prendere vita,il non luogo come Paese delle Meraviglie-la
Sicilia,per l’uomo del Nord realtà
indecifrabile,rutilare di passioni,serenate,principi,mafiosi,pistole,fuochid’artificio,processioni.Qui Elica(anagramma di Alice)scoprirà un giardino segreto da violare, nonsense da impersonare più che da risolvere, cripte,rocce in cui esperire mondi ipogei(le viscere,l’abisso),mari custodi di odissee minime dove tornare a respirare,strani personaggi tra cui se stesso e il suo doppio;qui incontrerà la principessa bella e triste di cui innamorarsi(ma non è vero,gli unici momenti d’amore sono il velo sollevato di forza alla figlia,e la carezza commossa che accompagna il“brava”alla piccola, esaltata Lucia del provino).
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Oppresso da una crisi esistenziale e creativa, Franco Elica sogna una fuga.Che per incanto lo porti,solo,davanti al mare.E quali sogni può sognare un ateo ossessionato dal cattolicesimo, un artista insidiato dal silenzio delle emozioni?Una Lucia che è anche un po’Gertrude,nozze forzate,bagliori di vita dove ogni incontro avviene in una chiesa,un succedersi di sorprese fantasmagoriche e viscerali.E un non-luogo dove tutte queste possibilità,queste ossessioni,possono mescolarsi e prendere vita,il non luogo come Paese delle Meraviglie-la
Sicilia,per l’uomo del Nord realtà
indecifrabile,rutilare di passioni,serenate,principi,mafiosi,pistole,fuochid’artificio,processioni.Qui Elica(anagramma di Alice)scoprirà un giardino segreto da violare, nonsense da impersonare più che da risolvere, cripte,rocce in cui esperire mondi ipogei(le viscere,l’abisso),mari custodi di odissee minime dove tornare a respirare,strani personaggi tra cui se stesso e il suo doppio;qui incontrerà la principessa bella e triste di cui innamorarsi(ma non è vero,gli unici momenti d’amore sono il velo sollevato di forza alla figlia,e la carezza commossa che accompagna il“brava”alla piccola, esaltata Lucia del provino).Elica ha bisogno di uscire da se stesso,di non essere più “l’esteta gelido,il sofista” ma l’uomo innamorato che salva la principessa,l’eroe della fiction e del reality,capace di cantare un’assurda serenata, dall’altraparte,finalmente,dell’obiettivo,“diretto”,ripreso,forse spiato e perciò ancora più protagonista.Ora è lui che deve offrirsi, affidarsi.Perché il vero regista è il Principe.E’il Principe che architetta,che dà spessore al sogno impazzito di Elica conducendolo da un frammento all’altro di un puzzle dove si accostano tutti gli elementi che ne assediano la coscienza e il subconscio:la rabbia per il conformismo e l’impossibilità di esprimere la propria visione ed essere capiti,il bisogno di normalità,la presenza di un passato irrisolto dove urgono storie che nessuno vuole ascoltare-v.il colloquio con Smamma-(e dove la realtà narrata dall’arte è sconfitta dalla finta verità della vita),il suo odi et amo per la fede degli umili(e alla processione sulla spiaggia Elica manda il suo alter ego di colore,che gli ha regalato un non abbastanza magico braccialetto).
Il più surrealista e borgesiano dei film di Bellocchio privilegia sentieri che si biforcano e contraddittori orologi,le trasparenze del velo che foscolianamente“scherma”e distanzia la realtà,i riflessi degli sguardi e dei vetri a significare la tripla visione dell’occhio,dello sguardo interiore,del mezzo,ma anche il distacco feroce dalla realtà per cui niente è più spontaneo e vero,tutto diventa immagine mediata e mediatica.La crisi d’identità,la
desertificazione interiore hanno bisogno di un demiurgo che nobiliti e dia senso al reale- richiesta di arte e bellezza spesso non esaudita.Perciò gli sposi accettano con fede“perinde ac cadaver",di farsi inseguire e fare l’amore sulla spiaggia,purchè qualcuno gli assicuri che quel frammento d'esistenza avrà un senso.“Il regista di matrimoni”è un film di poche e molte parole, un film sull’immagine e sull’immaginare,dove le cose“succedono”con fluidità onirica,con vitalità incongrua, ridondante e barocca.Il mosaico non si compone,i protagonisti partono,col riso di chi“ha capito il gioco”-o sono già partiti,separatamente,in storie parallele.Perché la vita è sogno.Un sogno picaresco e postmoderno di cui parlare a lungo al risveglio,quando si riaccende la luce.
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maria cristina nascosi
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sabato 20 maggio 2006
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il metacinema di marco bellocchio,regista di nozze
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''Il regista di matrimoni'' di Bellocchio di Maria Cristina Nascosi
"Il regista di matrimoni" è l'ultimo film, in ordine di tempo, di Marco Bellocchio, ed è egregiamente interpretato da Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni, Bruno Cariello, Claudia Zanella .
Protagonista assoluto a Pesaro lo scorso anno, quando il Festival del Nuovo Cinema gli dedicò una completa retrospettiva curata da Adriano Aprà insieme con la Cineteca Nazionale e due splendidi volumi monografici, attribuendogli un premio speciale l'ultima sera alla rassegna Cinema in Piazza, Bellocchio torna alla pellicola con una storia di metacinema.
Dopo "L'ora di religione", sempre con Sergio Castellitto, un attore sempre più maturo che parla con il solo sguardo - cinema vero, fatto di faticosi ma quanto espressivi primi dolenti primi piani - il cineasta piacentino ritorna, in modo lieve eppur devastante, con una storia che mette a confronto le scelte individuali con quelle religiose e sociali.
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''Il regista di matrimoni'' di Bellocchio di Maria Cristina Nascosi
"Il regista di matrimoni" è l'ultimo film, in ordine di tempo, di Marco Bellocchio, ed è egregiamente interpretato da Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni, Bruno Cariello, Claudia Zanella .
Protagonista assoluto a Pesaro lo scorso anno, quando il Festival del Nuovo Cinema gli dedicò una completa retrospettiva curata da Adriano Aprà insieme con la Cineteca Nazionale e due splendidi volumi monografici, attribuendogli un premio speciale l'ultima sera alla rassegna Cinema in Piazza, Bellocchio torna alla pellicola con una storia di metacinema.
Dopo "L'ora di religione", sempre con Sergio Castellitto, un attore sempre più maturo che parla con il solo sguardo - cinema vero, fatto di faticosi ma quanto espressivi primi dolenti primi piani - il cineasta piacentino ritorna, in modo lieve eppur devastante, con una storia che mette a confronto le scelte individuali con quelle religiose e sociali.E lo fa mettendo in scena cinema nel cinema, in una sorta di metacinema d'aujourdoui.
E' da questa idea che nasce Il regista di matrimoni, come confessa in intervista lo stesso Bellocchio:
"Ho assistito ad un matrimonio di una giovane coppia a Scilla, in Calabria, e c'era un regista che filmava l'evento. Mi ha colpito l'obbedienza che i due sposi hanno messo in atto, facendo tutto ciò che gli si chiedeva di fare. Ecco, questa obbedienza, senza fare domande, in due giovanissimi che hanno tutta la vita davanti a sé mi ha fatto riflettere: la vita è fatta anche, per fortuna, di rifiuti, di disobbedienza, di ribellioni all'ordine costituito: perché loro la accettavano come fosse stata già preordinata? Come una resa definita, incondizionata, come se entrassero con il matrimonio nel mondo obbediente e razionale dei padri, e dei padri dei padri, che prima di loro si erano sposati".
Marco Bellocchio, da quarant’anni ormai, sulla scena cinematografica italiana, continua ad essere uno dei registi italiani più particolari, interessanti, ancora desiderosi di sperimentare e capaci di rimettersi in gioco ogni volta. I suoi film sono comunque sempre da vedere,analizzare, metabolizzare, anche per la mise-en-scéne ed il versante iconografico, sovrapponentisi, per certi versi.
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[+] oltre le parole inprigionate dalla cultura
(di weach)
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weach
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venerdì 19 novembre 2010
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una " partecipazione primaria "
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Con questo film si rinnova il sodalizio felice fra Marco Bellocchio e Sergio Castellitto.
Dire che si tratti di un film “ateo “ mi sembra veramente “un’ eresia”.
Bellocchio è schietto , contro i formalismi di palazzo , contro i fronzoli agghindati della religione.
Se un fondo mistico lo si vuole recuperare lo si recupera solo abbattendo le ipocrisie di questo mondo: da questa morte potrebbe risorgere anche un nuovo misticismo laico , anche spirituale.
Il regista indugia sui primi piani di Sergio Castellitto che hanno una grande intensità introspettiva ,una densità di forte sentire, una partecipazione “primaria “ indiscutibile .
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Con questo film si rinnova il sodalizio felice fra Marco Bellocchio e Sergio Castellitto.
Dire che si tratti di un film “ateo “ mi sembra veramente “un’ eresia”.
Bellocchio è schietto , contro i formalismi di palazzo , contro i fronzoli agghindati della religione.
Se un fondo mistico lo si vuole recuperare lo si recupera solo abbattendo le ipocrisie di questo mondo: da questa morte potrebbe risorgere anche un nuovo misticismo laico , anche spirituale.
Il regista indugia sui primi piani di Sergio Castellitto che hanno una grande intensità introspettiva ,una densità di forte sentire, una partecipazione “primaria “ indiscutibile .
Se vogliamo il regista di matrimoni rappresenta simbolicamente “la celebrazione del formalismo”“da guastare “ ,da ridicolizzare perché sintetizza il vuoto sentire che occulta l’essere .
Sergio Castelletto è Franco Elica ” un piccolo grande maestro di regia di matrimoni “ che piano ,piano acquista consapevolezza “della sua piccola dimensione “.
Sembra Marco Bellocchio lanciare alcuni quesiti.
Perché ci si sottomette alle celebrazioni tanto passivamente ?
Perché si diventa prigionieri di formalismi sino all’uccisione della voglia di” vibrare” ?
Perché intorno c’è poco o nulla per la nostra "assenza " ?
Forse.
Mentre ci si guarda alla "specchio" lampi di luce illuminano la notte che è in noi e sembra possibile " interrompere l'effetto del narcotico " che ci è stato propinato.
Il film è celebrazione del vuoto solo per umiliarlo e per poi indurci ad una riflessione ,che potrebbe condurci verso una resurrezione o ad attimi di consapevolezza .
Il processo critico contro l’uomo che non sente “ dilaga “ e rende splendido questo film , la regia e Sergio Castellitto
weach illuminati
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darko
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sabato 22 aprile 2006
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la vita è songo...
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Il nuovo film di Marco Bellocchio (regista eccelso de I PUGNI IN TASCA, suo vero capolavoro) torna sul grande gioco pazzo e abbondantemente sfruttato nel cinema del film "metacinematografico".
Trattasi infatti dell' ennesima vicenda di un regista noto, Franco Elica (Castellitto), tutti lo chiamano "Maestro", che a causa d'una serie di delusioni nei confronti della vita (e qui ci si butta in mezzo di tutto: odio nei confronti della Chiesa e del suo potere, del Potere stesso, della politica, insomma tutto) cerca di elaborare delle idee per la realizzazione dell'ennesima trasposizione cinematografica de I PROMESSI SPOSI. Lo fa andando in Sicilia. Scappa da Roma, dove ha un po' di problemini a scegliere le interpreti di Lucia e della monaca di Monza e dove pare stia avendo luogo nel suo studio cinematografico una indagine condotta dai Carabinieri a noi però oscura.
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Il nuovo film di Marco Bellocchio (regista eccelso de I PUGNI IN TASCA, suo vero capolavoro) torna sul grande gioco pazzo e abbondantemente sfruttato nel cinema del film "metacinematografico".
Trattasi infatti dell' ennesima vicenda di un regista noto, Franco Elica (Castellitto), tutti lo chiamano "Maestro", che a causa d'una serie di delusioni nei confronti della vita (e qui ci si butta in mezzo di tutto: odio nei confronti della Chiesa e del suo potere, del Potere stesso, della politica, insomma tutto) cerca di elaborare delle idee per la realizzazione dell'ennesima trasposizione cinematografica de I PROMESSI SPOSI. Lo fa andando in Sicilia. Scappa da Roma, dove ha un po' di problemini a scegliere le interpreti di Lucia e della monaca di Monza e dove pare stia avendo luogo nel suo studio cinematografico una indagine condotta dai Carabinieri a noi però oscura. Franco in Sicilia pensa di essere sfuggito alle proprie preoccupazioni e di potersi godere un po' di pace. Invece rimane invischiato in una nuova serie di vicende altamente rischiose. In fondo non è importante saperle o volerle decifrare, è uno sforzo inutile e capace di distruggere la poesia del film... Si potrebbe dire che Bellocchio, omaggiando sicuramente Bunuel, abbia voluto gettare in un grande pentolone le situazioni e personaggi a lui più congeniali e che abbia voluto sublimare il tutto nel fantastico. Gli occhi apertamente chiusi ("eyes wide shut") che citava molto bene nel più conciso e crepuscolare L'ORA DI RELIGIONE, qui si manifestano in modo per niente deprimente, anzi giocoso e vivido. La vita è infatti un sogno, o meglio il desiderio costante di sognare per sfuggire agli incubi a cui ci mette davanti la realtà fattuale delle cose. Questo del film lo potrà solo capire la parte del pubblico che Bellocchio può anche non amarlo, va bene, ma di sicuro il cinema dell' incertezza (e quindi del sogno) di sicuro sì. I film di Bellocchio sono sempre stati una presenza positiva nel panorama del cinema italiano, dagli anni 60 in poi, dandoci poche ma ottime opere di notevole impatto, capaci di elevarsi al di sopra dell'antipatia che tutto sommato suscita quest'uomo durante le interviste e le rassegne stampa e di raccontare situazioni diverse e nuove, che eludano il senso del comune e banale che pervade in tutto ciò che ci circonda nell'odierno abisso di tutti i giorni.
Pare doverosa una lista dei film più belli e importanti di Bellocchio all'interno del panorama cinematografico nazionale:
I PUGNI IN TASCA (1965), LA CINA E' VICINA (1967), SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA (1972), SALTO NEL VUOTO (1980), GLI OCCHI LA BOCCA (1982), ENRICO IV di Pirandello (1984), DIAVOLO IN CORPO (1986), LA CONDANNA (1990), IL PRINCIPE DI HOMBURG di von Kleist (1997), LA BALIA di Pirandello (1999), L'ORA DI RELIGIONE (2002), BUONGIORNO NOTTE (2003)
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luca
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domenica 14 maggio 2006
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la cornice (una delle tante interpretazioni)
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Un film sulla corince: sulla possibilità di uscire fuori dal campo, dalla telecamera, ecco allora tutti questi rimandi meravigliosi e ironici al simbolo più preciso del pregiudizio che un artista ha quando si mette a lavoro, e sceglie di inquadrare qualcosa. Ribellione all'oppressione del contesto (il padre di lei, la sicilia metafisica) che è simmetrica alla all'impossibità di definire le cose senza dovercisi ribellare. Di qui il meraviglioso fodeau della finestra in contro luce sul mare ( mare che é il desiderio, desiderio di lei). La finestra, oscura cornice va da franco (l'artista che si ribella a se stesso) al principe (il padre della sposa cui franco si ribella). Tutta questa tensione umana ma soprattutto artistica rimbomba in sequenze melodrammaticamente interrotte dal bianco e nero, o dagli stacchi violenti ma ritornano i rimandi interni al film, come l'espediente della telecamera fissa così ironico, prensentatoci nella sequenza sulla spiaggia del video del matrimonio, e ripropostoci in modo così surreale al momento della fuga "vera".
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Un film sulla corince: sulla possibilità di uscire fuori dal campo, dalla telecamera, ecco allora tutti questi rimandi meravigliosi e ironici al simbolo più preciso del pregiudizio che un artista ha quando si mette a lavoro, e sceglie di inquadrare qualcosa. Ribellione all'oppressione del contesto (il padre di lei, la sicilia metafisica) che è simmetrica alla all'impossibità di definire le cose senza dovercisi ribellare. Di qui il meraviglioso fodeau della finestra in contro luce sul mare ( mare che é il desiderio, desiderio di lei). La finestra, oscura cornice va da franco (l'artista che si ribella a se stesso) al principe (il padre della sposa cui franco si ribella). Tutta questa tensione umana ma soprattutto artistica rimbomba in sequenze melodrammaticamente interrotte dal bianco e nero, o dagli stacchi violenti ma ritornano i rimandi interni al film, come l'espediente della telecamera fissa così ironico, prensentatoci nella sequenza sulla spiaggia del video del matrimonio, e ripropostoci in modo così surreale al momento della fuga "vera". Chi ipotizza che questo film racconti un sogno non ha torto, nel senso che parla della paura dell'illusorietà del tutto soffocante e accecante, di un uomo ingrado di sopravvivere a sè stesso tramite le immagini, e che quindi ha l' oppressivo dubbio dell'autenticità del tutto. Mai titolo fu più giusto: è possibile filmare l'innamoramento? Esprimere qualcosa significa definirla (incorniciarla) e dunque negarla in certi termini. Su questo scandalo semiotico si fonda tutto il film che cerca costantemente di costruire un piano dove realizzare quest'evento (e un campo visivo). Chi critica al film mancanza di emotività ha paradossalmente ragione perché é proprio un film sulla impossibilità delle emozioni, sulla disperata ricerca di esse. Dunque il film è plumbeo, dunque é nevrotico. Di qui il finale tutto giocato sulla "falsità dei controcampi", sul treno: son insieme o non sono insieme? Ci sarà un'immagine che possa racchiudere i due per sempre, arrivo e non fuga? non vorrei svelarlo. Ma forse questo non è importante ai fini del film, poiché esso espone più che l'amore, la trafila che per desiderio dell'amore, spinge l'uomo ad evadere da sé.
A chi pensa che tutto questo metacinema sia fine a se stesso sfugge un punto fondamentale: l'importanza dell'evoluzione del linguaggio, come capacità dell'uomo di emanciparsi dalle forze che tendono a determinare la sua esistenza: e quindi questo film , che parla di questo, è anche una straordinaria tensione a questa ricerca, attraverso i simboli appunto, i rimandi, e abbiamo bisogno di un cinema che sviluppi al meglio le sue possibilità espressive, per essere più liberi, così come faceva Godard, che ne distruggeva la retorica o Antonioni a cui (forse) il film rimanda col nome di franco "elica", che é anche l'oggetto assurdo di blow-up, un altro gran film gelido che assolutamente parla del problema dell'artista e della sua "cornice".
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daniela
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domenica 7 maggio 2006
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forse è solo una storia mentale
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"Manzoni il protagonista" è una frase che ho preso dal commento di Costiluch,mi piace!E' vero per molti aspetti...E' molto acuta la sua analisi, vi suggerisco di leggere il suo commento anche per capire meglio il mio... Credo che forse sia qsto discorso manzoniano il filo che tanti di noi cercavano...ma non credo sia l'unico.
La cosa che +sconvolge di qsto film è che qndo esci dalla sala cinematografica non hai una parola per commentarlo,perchè,diciamolo,appena ti alzi non ci hai capito niente...Poi incominci a pensarci,ti rassicuri dicendo"un perchè,un filo, ci DEVE essere" e forse in questo aspetto manzioniano sotteso,che durante il film a volte si fa dimenticare,c'è il vero unicuum del film.
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"Manzoni il protagonista" è una frase che ho preso dal commento di Costiluch,mi piace!E' vero per molti aspetti...E' molto acuta la sua analisi, vi suggerisco di leggere il suo commento anche per capire meglio il mio... Credo che forse sia qsto discorso manzoniano il filo che tanti di noi cercavano...ma non credo sia l'unico.
La cosa che +sconvolge di qsto film è che qndo esci dalla sala cinematografica non hai una parola per commentarlo,perchè,diciamolo,appena ti alzi non ci hai capito niente...Poi incominci a pensarci,ti rassicuri dicendo"un perchè,un filo, ci DEVE essere" e forse in questo aspetto manzioniano sotteso,che durante il film a volte si fa dimenticare,c'è il vero unicuum del film..Manzoni in realtà è SEMPRE presente... ma non è il solo..ci sono anche altri rimandi ad esempio chiarissimo qllo al "Il Fu Mattia Pascal" di Pirandello..e allora?Non esiste più un solo protagonista...E' tutto un collage?Forse è qsto il senso della frase "in Italia comandano i morti"...I morti potrebbero essere i grandi della nostra letteratura,del nostro cinema,della nostra storia,coloro che hanno formato le nostre menti lasciandoci immagini che non dimenticheremo mai e che continueranno a essere presenti nell'immaginario comune...Qsto potrebbe spiegare la scelta dell'ambientazione in qsta Sicilia così lontana e magica da raccontarci ancora di principi e principesse,come nelle nostre migliori fiabe...E se allora fosse tutto un racconto della mente che mette insieme immagini scritte da altri ma ormai completamente nostre?Che il viaggio d Elica,su qsto strano treno dal quale egli scende per caso,perchè aveva visto il mare,e che lo fa capitare proprio lì su qlla spiaggia dove si sta riprendendo un matrimonio,fosse invece un viaggio nel tempo,mentale,un ritorno al passato, ad una dimensione quasi onirica dove la storia si svolge grazie ai rimandi di immagini scolastiche,di racconti letti da fanciullo?Potrebbe.. e forse lo è...la fine è infatti ancora su un treno dove non si sa se i protagonisti stanno viaggiando insieme oppure su binari diversi e opposti,forse qllo è il ritorno alla realtà dove ognuno ha scelto la propria strada... Forse qlle persone non si sono mai davvero incontrate ma hanno solo fantasticato su un loro possibile incontro,su una storia che li vedeva insieme ma sulla falsa riga di un racconto già ben più famoso qllo ad esempio dei Promessi Sposi... Forse, ma mi sto quasi convincendo che sia così almeno per me, qlla non è la fine del film ma forse il suo inizio... Bona sta tornando da Roma,dove ha cercato di fare un provino con Elica,in Sicilia, e non il contrario come sembrerebbe.. mentre il treno và, pensa ad una storia, ne cambia il finale come faceva qndo leggeva i Promessi Sposi alla madre malata,ne diventa lei la protgonista e il suo Innominato è l'uomo che non è riuscita ad incontrare...Dall'altra parte forse sullo stesso treno ma in vagoni diversi lui,Franco Elica,che sta scappando a causa dello scandalo che lo vede coinvolto, pensa al suo film che va a monte,pensa a come sarebbe andata,pensa a quella donna "bellissima ma completamente pazza" che è scappata prima di prendere un appuntamento con lui, e con la sua fantasia da regista crea un intreccio,una storia nella quale inserisce le sue paure,le sue angosce...i personaggi sono nuovi, ma la trama è sempre qlla.... sconosciuto stavolta è solo il finale.
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camilla
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giovedì 25 gennaio 2007
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alla ricerca dell’arte perduta
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L’opera di Bellocchio lascia lo spettatore decisamente disorientato riguardo al messaggio da cogliere, presentandosi sin dalle prime scene come una contorta esercitazione d’immaginazione, in grado di scivolare in surrealismo solo a metà.
Castellitto, come sempre all’altezza delle aspettative, è un operatore del cinema, un “maestro” delle arti visive cui viene affidato il compito, non proprio entusiasmante, di riportare sugli schermi “i promessi sposi”, e da cui viene distratto bruscamente sia a causa di vicissitudini giudiziarie, sia a causa, forse, della morte dell’amico regista Smamma.
Profondamente scosso dal matrimonio della figlia, sposa senza sorriso, sconcertato dall’irruzione della polizia e dalla notizia della morte dell’amico, Franco Elica (Castellitto) parte alla ricerca dell’arte perduta e si ritrova a Cefalù, luogo del presunto incidente di Smamma.
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L’opera di Bellocchio lascia lo spettatore decisamente disorientato riguardo al messaggio da cogliere, presentandosi sin dalle prime scene come una contorta esercitazione d’immaginazione, in grado di scivolare in surrealismo solo a metà.
Castellitto, come sempre all’altezza delle aspettative, è un operatore del cinema, un “maestro” delle arti visive cui viene affidato il compito, non proprio entusiasmante, di riportare sugli schermi “i promessi sposi”, e da cui viene distratto bruscamente sia a causa di vicissitudini giudiziarie, sia a causa, forse, della morte dell’amico regista Smamma.
Profondamente scosso dal matrimonio della figlia, sposa senza sorriso, sconcertato dall’irruzione della polizia e dalla notizia della morte dell’amico, Franco Elica (Castellitto) parte alla ricerca dell’arte perduta e si ritrova a Cefalù, luogo del presunto incidente di Smamma.
Da qui si dipana l’intera vicenda, paradossale, enigmatica, dove immaginazione e realtà si fondono senza soluzione di continuità, in un unicum fin troppo caotico.
All’interno di questa dialettica tra sogno e coscienza Bellocchio per bocca di Castellitto si espone con lo scopo di dare corpo ad alcune sue riflessioni sul ruolo del cinema oggi, nonché dell’arte in genere. Elica è in piena crisi espressiva, relegato alla realizzazione di fiction, perché il cinema dai contenuti sociali non trova più lo stesso spazio di un tempo. (“Non c’è più il rassicurante cinema dell’oratorio”…gli spiega il redivivo Smamma). Che fare allora? E soprattutto quale ruolo assegnare all’artista oggi? E’ forse questi un guitto, un servo delle mutevoli esigenze del pubblico a cui è concesso di creare solo per assecondare le platee, in ossequio del fatto che tale facoltà gli è garantita unicamente grazie al lavoro quotidiano degli altri, (così afferma seccamente una delle invitate al matrimonio per il quale Elica è stato assoldato) e tale privilegio ha un prezzo. L’arte dunque non può essere fine a se stessa ma deve risultare funzionale agli scopi di una società che muta gusti, pretese, e dunque per questo adeguarsi ad essa.
Da un mondo in cui comandano i morti, e per contare dunque vale la pena di farsi pure passare come tali, Elica fugge e si confina al sicuro reinventandosi regista di matrimoni, così, nel tentativo di ammortizzare i colpi della vita, forse ritrova se stesso: travolto da una storia che volutamente è un odierno romanzo manzoniano, è involontariamente coinvolto in un matrimonio che non sa da fare, quello di Bona, figlia del principe che in nome dell’arte ha dissipato un’intera fortuna, anch’essa vittima delle decisioni dei morti, in procinto di sposare un uomo che non ama.
E’ Bona, odiosa e anacronistica quanto la vera Lucia manzoniana, a destare dal suo torpore Elica, a ridargli il coraggio di ricominciare, e chissà forse che, il matrimonio impedito dall’inquieto regista, simbolicamente non rappresenti proprio quello della figlia, il quale, con un poco di coraggio in più, volentieri avrebbe reso impossibile…
Dopo la rocambolesca esperienza Elica riprende il treno con il quale era arrivato in Sicilia e riparte, lasciando noi liberi di decidere se quanto narrato sia una visionaria realtà, o forse più certamente solo una fantasticheria da cui trarre spunto per dire molte verità.
Il disordine espositivo sembra dunque trovare nel finale aperto il suo assestamento, senza comunque riscattare la pellicola, che, nonostante l’indubbio sforzo immaginifico, rimanendo per gran parte della sua durata eccessivamente sospesa tra sogno e concretezza, non solo non trae nessun vantaggio da questa ambiguità, ma risulta solo in condizione di perdere efficacia espressiva.
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etta
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mercoledì 23 maggio 2007
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inventare il film, non sempre si puo
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Bellocchio grande regista, che ci lasci alle spalle un film d'auore, Buongiorno,notte. E pure in quel lungometraggio tutto è lasciato sottointeso, ma ben comprensibile per una mente attenta e gli intrighi che si creano, i nodi apparentemente insolvibili trovano chiarezza nelle immagini,nel sapiente tilzzo di diverse tipologie di ripresa. Il regista di matrimoni è un film grigio sin dall'inizio, occulta la felicità che può esserci in un matrimoni, accusa e non scusa. Un film di posizione,che apprezzi e comprendi solo se appogi le idee dell'autore perchè gli scarni dialoghi non potranno spiegarti le azioni di nessuno. Insomma Bellocchio ha solo voluto manifestare il suo contro-famiglia e contro-matrimonio, la sua avversione per i film su ordinazione senza l'arte del creare.
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Bellocchio grande regista, che ci lasci alle spalle un film d'auore, Buongiorno,notte. E pure in quel lungometraggio tutto è lasciato sottointeso, ma ben comprensibile per una mente attenta e gli intrighi che si creano, i nodi apparentemente insolvibili trovano chiarezza nelle immagini,nel sapiente tilzzo di diverse tipologie di ripresa. Il regista di matrimoni è un film grigio sin dall'inizio, occulta la felicità che può esserci in un matrimoni, accusa e non scusa. Un film di posizione,che apprezzi e comprendi solo se appogi le idee dell'autore perchè gli scarni dialoghi non potranno spiegarti le azioni di nessuno. Insomma Bellocchio ha solo voluto manifestare il suo contro-famiglia e contro-matrimonio, la sua avversione per i film su ordinazione senza l'arte del creare. L'unico spiraglio per uno spettatore che vuol davvero capire il film è la conoscena stessa dei promessi sposi, sotto cui verte il film: il paesaggio rurale, i Bravi stessi, il convento il matrimonio che non s'ha da fare, tutti elementi della letteratura manzoniana, presi e stravolti. Insomma un film non per pochi o intellettuali, ma solo di punti di vista, ciò ke Bellocchio lascia all'imaginazione serve per la critica o per lo spettatore che condivide e cerca di immedesimarsi colmando i vuoti con la sua storia.
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greatsteven
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martedì 9 ottobre 2018
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l'arte del cinema vista con sguardo traslucido.
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IL REGISTA DI MATRIMONI (IT, 2006) diretto da MARCO BELLOCCHIO. Interpretato da MAURIZIO DONADONI, SERGIO CASTELLITTO, DONATELLA FINOCCHIARO, SAMI FREY, GIANNI CAVINA
Un regista cinquantenne, Franco Elica, si trova in una complicata situazione emotiva perché la figlia ha sposato un fervente cattolico e perché è obbligato controvoglia a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Quando poi sopraggiunge una delle tante attricette cui lui aveva promesso un provino in cambio di favori sessuali senza poi mantenere la parola data, che minaccia di denunciarlo alle autorità per violenza carnale, Franco decide di rifugiarsi in un paese marittimo della Sicilia profonda, dove incontra un uomo che si guadagna il pane quotidiano girando filmini di matrimoni e un suo collega che si spaccia per morto per ottenere finalmente il riconoscimento cinematografico cui aveva sempre ambito.
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IL REGISTA DI MATRIMONI (IT, 2006) diretto da MARCO BELLOCCHIO. Interpretato da MAURIZIO DONADONI, SERGIO CASTELLITTO, DONATELLA FINOCCHIARO, SAMI FREY, GIANNI CAVINA
Un regista cinquantenne, Franco Elica, si trova in una complicata situazione emotiva perché la figlia ha sposato un fervente cattolico e perché è obbligato controvoglia a girare l’ennesima versione de I promessi sposi. Quando poi sopraggiunge una delle tante attricette cui lui aveva promesso un provino in cambio di favori sessuali senza poi mantenere la parola data, che minaccia di denunciarlo alle autorità per violenza carnale, Franco decide di rifugiarsi in un paese marittimo della Sicilia profonda, dove incontra un uomo che si guadagna il pane quotidiano girando filmini di matrimoni e un suo collega che si spaccia per morto per ottenere finalmente il riconoscimento cinematografico cui aveva sempre ambito. Conosce pure un nobile spiantato, il principe Ferdinando Gravina di Palagonia, che gli propone di realizzare una pellicola sulle nozze di sua figlia Bona. Franco si invaghisce perdutamente dell’affascinante principessa, ne è ricambiato e insieme partono per sottrarre la donna ad un matrimonio di convenienza voluto dal padre. Il finale si può interpretare secondo tre versioni che non si escludono a vicenda: connubio, nubilato, fuga. Il terzetto di possibili epiloghi di un film olistico, che procede per sequenze incompiute e scene non finite, è la sua quintessenza, e dà al cinema italiano, o meglio, al nostro intero immaginario collettivo moderno, troppo banalizzato e televisizzato, un ampio respiro che assurge a toccasana e benedizione. Al centro del cinema di Bellocchio c’è ancora una volta un soggetto femminile, una principessa quasi sposa di cui viene osservata la progressione umana, l’enfasi emotiva e la decisione conclusiva di un sentimento (libero per Elica, costretto per lo sposo) che esiste imprescindibilmente da tutto: famiglia, società, religione. E si trasforma in un tutt’uno reale con la corsa al treno verso un amore probabilmente edonistico, e dunque non riproduttivo, ma alquanto seducente per lo spettatore. Bellocchio riesce, a questa sua 2° collaborazione con Castellitto protagonista, a lasciare confusi, angustiati, zeppi di stupende immagini, desiderosi di cogliere nell’opera quei dettagli così importanti che a una prima visione, essendo il film molto denso di significati reconditi, inevitabilmente sfuggono. Dimostra inoltre un’energia, una generosità, una voglia di rompere gli schemi che rivitalizzano l’esangue cinema italiano degli anni 2000 che già cominciava, come sopra accennato, a rivaleggiare in perdita con la televisione spazzatura. Sospeso fra una realtà tangibile e palpabile e alcuni momenti onirici di indubbio prestigio, Il regista di matrimoni vale per le sue superbe interpretazioni (Castellitto e Finocchiaro su tutti, lui sotto le righe e con pochi ma congegnati scoppi d’ira, lei inibita e sognatrice), per la scenografia (Marco Dentici) che bacia come un velo appena svolazzante i paesaggi siciliani quali ambientazione di un romanzo iniziatico cominciato da adulti che conduce a prese di coscienza ben chiare, per il tranquillo montaggio di Francesca Calvelli che aiuta a valorizzare lo svolgimento lento ma comunque ottimale e coriaceo della storia e per le musiche originali, con consulenza musicale, di Riccardo Giagni, le quali alternano una gaia giocosità ad una malinconica piattezza che insieme compongono una colonna sonora degna di sottolineare con eleganza una vicenda tanto educativa. Interessante anche il personaggio di Orazio Smamma, interpretato da un G. Cavina insolitamente burbero e al tempo stesso filosofo, regista ignorato dalla critica che, solo dopo quando ha inscenato la sua scomparsa, riesce a portare a casa un David di Michelangelo (!), salvo poi ripiombare nella sua soldatesca pazzia da solitario e procurarsi un suicidio autentico. A differenza di lui, Elica riesce a salvarsi perché sa aggrapparsi a piloni più saldi, che includono una contemplazione dell’affetto e il rifiuto di darsi arie da grande artista, quale poi forse non è, ma che sicuramente non gli interessa di essere perché svolge il proprio mestiere quasi con noncuranza, privilegiando il prodotto finito, maltrattando i comprimari e gli aiuti registi e attaccandosi di più a valori maggioritari come la ricerca di un senso nella vita e il bisogno di non sprecare tempo a rincorrere sogni irrealizzabili, per quanto, da quest’ultimo punto di vista, ciò che desidera non stia troppo in basso e ciononostante egli ce la faccia tuttavia ad ottenerlo dopo una strenua lotta. S. Frey (doppiato da Rodolfo Bianchi) gioca il ruolo del principe di Palagonia inscenando un antagonista freddo, manipolatore, cocciuto e perbenista che non è abituato a non vedersi entrare in tasca quel che brama: ecco spiegata la rivalità, tramutata così da un’iniziale seppur tremolante amicizia, fra lui e Franco Elica, la sua ostinata opposizione al corteggiamento che il cineasta propina alla figlia, opposizione basata anche su convinzioni menzognere elaborate dalla sua mente sadica e cospiratrice. La materia narrativa su cui Bellocchio ha messo le mani gli ha consentito di sfornare un capolavoro che riabilita la figura di chi si occupa del suo stesso campo e di chi anela ad un’esistenza non impostagli dalle alte sfere, da un deus ex machina che, a livello tecnico, non esiste, ma muove comunque i fili dei suoi "burattini" (o come vorrebbe chiamarli lui) nella maniera che lo compiace.
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