Il regista di matrimoni

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Un film di Marco Bellocchio. Con Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni.
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Drammatico, durata 107 min. - Italia 2006. - 01 Distribution uscita venerdì 21 aprile 2006. MYMONETRO Il regista di matrimoni * * * 1/2 - valutazione media: 3,66 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Alla ricerca dell’arte perduta Valutazione 2 stelle su cinque

di Camilla


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giovedì 25 gennaio 2007

L’opera di Bellocchio lascia lo spettatore decisamente disorientato riguardo al messaggio da cogliere, presentandosi sin dalle prime scene come una contorta esercitazione d’immaginazione, in grado di scivolare in surrealismo solo a metà. Castellitto, come sempre all’altezza delle aspettative, è un operatore del cinema, un “maestro” delle arti visive cui viene affidato il compito, non proprio entusiasmante, di riportare sugli schermi “i promessi sposi”, e da cui viene distratto bruscamente sia a causa di vicissitudini giudiziarie, sia a causa, forse, della morte dell’amico regista Smamma. Profondamente scosso dal matrimonio della figlia, sposa senza sorriso, sconcertato dall’irruzione della polizia e dalla notizia della morte dell’amico, Franco Elica (Castellitto) parte alla ricerca dell’arte perduta e si ritrova a Cefalù, luogo del presunto incidente di Smamma. Da qui si dipana l’intera vicenda, paradossale, enigmatica, dove immaginazione e realtà si fondono senza soluzione di continuità, in un unicum fin troppo caotico. All’interno di questa dialettica tra sogno e coscienza Bellocchio per bocca di Castellitto si espone con lo scopo di dare corpo ad alcune sue riflessioni sul ruolo del cinema oggi, nonché dell’arte in genere. Elica è in piena crisi espressiva, relegato alla realizzazione di fiction, perché il cinema dai contenuti sociali non trova più lo stesso spazio di un tempo. (“Non c’è più il rassicurante cinema dell’oratorio”…gli spiega il redivivo Smamma). Che fare allora? E soprattutto quale ruolo assegnare all’artista oggi? E’ forse questi un guitto, un servo delle mutevoli esigenze del pubblico a cui è concesso di creare solo per assecondare le platee, in ossequio del fatto che tale facoltà gli è garantita unicamente grazie al lavoro quotidiano degli altri, (così afferma seccamente una delle invitate al matrimonio per il quale Elica è stato assoldato) e tale privilegio ha un prezzo. L’arte dunque non può essere fine a se stessa ma deve risultare funzionale agli scopi di una società che muta gusti, pretese, e dunque per questo adeguarsi ad essa. Da un mondo in cui comandano i morti, e per contare dunque vale la pena di farsi pure passare come tali, Elica fugge e si confina al sicuro reinventandosi regista di matrimoni, così, nel tentativo di ammortizzare i colpi della vita, forse ritrova se stesso: travolto da una storia che volutamente è un odierno romanzo manzoniano, è involontariamente coinvolto in un matrimonio che non sa da fare, quello di Bona, figlia del principe che in nome dell’arte ha dissipato un’intera fortuna, anch’essa vittima delle decisioni dei morti, in procinto di sposare un uomo che non ama. E’ Bona, odiosa e anacronistica quanto la vera Lucia manzoniana, a destare dal suo torpore Elica, a ridargli il coraggio di ricominciare, e chissà forse che, il matrimonio impedito dall’inquieto regista, simbolicamente non rappresenti proprio quello della figlia, il quale, con un poco di coraggio in più, volentieri avrebbe reso impossibile… Dopo la rocambolesca esperienza Elica riprende il treno con il quale era arrivato in Sicilia e riparte, lasciando noi liberi di decidere se quanto narrato sia una visionaria realtà, o forse più certamente solo una fantasticheria da cui trarre spunto per dire molte verità. Il disordine espositivo sembra dunque trovare nel finale aperto il suo assestamento, senza comunque riscattare la pellicola, che, nonostante l’indubbio sforzo immaginifico, rimanendo per gran parte della sua durata eccessivamente sospesa tra sogno e concretezza, non solo non trae nessun vantaggio da questa ambiguità, ma risulta solo in condizione di perdere efficacia espressiva.

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