BARRY LYNDON (UK, 1975) diretto da STANLEY KUBRICK. Con RYAN O'NEAL, MARISA BERENSON, STEVEN BERKOFF, GAY HAMILTON, MARIE KEAN, HARDY KRUGER, PATRICK MAGEE
L’irlandese Redmond Barry, giovane dall’aspetto affascinante ma penalizzato dalle umili origini, affronta in duello un capitano dell’esercito inglese per contendersi con lui le grazie della cugina. Uscitone vincitore (si scoprirà poi che il proiettile che ha trafitto l’avversario era un tampone di stoppa), è però costretto ad allontanarsi dal paese natio in quanto la sua famiglia rimpiange l’ufficiale, in grado di offrire alla futura sposa, in caso di matrimonio, ben millecinquecento sterline annue. Redmond intraprende la carriera militare allo scoppio della Guerra dei sette anni nell’armata di Her Majesty, ma presto si stanca della vita del soldato e, con un espediente, entra nell’esercito prussiano, senza però evitare di venire smascherato dopo che ha finto di essere un tenente britannico recante un dispaccio a un certo generale. Diventa dunque il beniamino del capitano Potzdorf e presta servizio come spia alle sue dipendenze. Perseguitato nuovamente da circostanze avverse che lo obbligano a fuggire, si unisce a un raffinato avventuriero e, con la spada e la pistola, si apre una strada di tutto rispetto nella bella società. Ormai è un uomo appagato: gli manca soltanto il blasone. Sposando la contessa di Lyndon e assumendone il cognome, colma questa lacuna. Tuttavia il matrimonio si rivela infelice, poiché il figlio della moglie, nato da un precedente matrimonio, lo odia e per molti anni progetta una segreta vendetta. Patrigno e figliastro si affrontano in duello: Barry perde una gamba e tutti i suoi averi. Un malinconico esilio segna il suo definitivo destino. Tratto dal celebre romanzo settecentesco omonimo di William Makepeace Thackeray, Barry Lyndon appare immediatamente come un film anomalo nella produzione di Kubrick. Di difficile collocazione, spaventò alquanto la critica quando uscì nelle sale a causa della mancanza d’una chiave di lettura che consentisse di risalire alle origini del progetto. Dal canto suo, Kubrick non chiarì le sue intenzioni, avvolgendo in un fitto mistero la faccenda. Ad ogni modo, quest’opera elegante e potente, nelle vesti di un’anomalia, è certamente splendida: facendo esclusivo ricorso alla luce naturale e aiutandosi con le candele per gli spazi bui (merito del direttore della fotografia John Alcott, che compì un lavoro egregio), la storia è immersa in un’atmosfera che rende appieno il clima del tempo. Per le riprese, il regista si avvalse di speciali lenti all’avanguardia, fornite dalla Carl Zeiss e adattate da Ed Di Giulio. Nel complesso, il film è freddo e crudele, un’apologia solenne e nostalgica in cui, fra un miscuglio di ironia e pathos mastodontico, si ragiona sui motivi del Male che portano gli esseri umani a instaurare tra di loro rapporti resi sempre più aspri dal concatenarsi delle circostanze in un crescendo di rivalse sanguinarie. La pietà è del tutto assente: ogni atto e ogni pensiero è figlio di decisioni impulsive, mosse da intenti passionali, e in tale ruolo assume una posizione drammaticamente dominante nei confronti del singolo che subisce terrificanti conseguenze a partire dal momento in cui si perde nel dedalo dei rimorsi, delle occasioni mancate e degli imperdonabili errori. Barry Lyndon è un agnello che vuole atteggiarsi a leone, ma si ritrova le sue ambizioni contro di sé quando i veri leoni lo azzannano con la loro maggiore conoscenza dell’universo di cui sono esperti abitanti e verso il quale provano una stima tale da impedir loro di risparmiare uno sprovveduto infiltrato. La faccia scolpita nel dolore e la recitazione sotto le righe di R. O'Neal trasformano quest’interessantissimo personaggio, antieroe e perdente per eccellenza, in un mancato arrampicatore sociale fra i migliori che la settima arte abbia mai concepito. La voce narrante di Romolo Valli accompagna la sua ascesa e caduta con accento persuasivo e beffardo. Altro importante contributo al film sono le musiche assemblate da Leonard Rosenman: fra tutte, spicca il trio per piano in Mi Bemolle di Franz Schubert. Gli altri interpreti sono usati da Kubrick come pedine di un’immaginaria scacchiera che egli percorre assecondando un imperscrutabile disegno metafisico. Le leggi cosmiche e l’inevitabilità del destino accostano questo film a 2001: Odissea nello spazio (ma si ravvisano a tratti richiami lampanti anche a Orizzonti di gloria e Arancia meccanica): l’astronauta affronta l’ignoto del cosmo e ne cade vittima, come Redmond Barry si introduce in un mondo che non gli appartiene e ne paga la consueta glacialità. Suggestive le riprese all’aperto più di quelle in interni, specie quando la telecamera si sofferma sulle battaglie. Quattro Oscar: costumi, fotografia, scenografia, colonna sonora.
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