filippo catani
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domenica 6 maggio 2012
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la boxe come via d'uscita dalla provincia
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In una piccola cittadina della california un ex pugile giunto a un passo dalla consacrazione mondiale ma rovinato dal suo carattere e dalle donne sciagurate con cui si è accompagnato, incontra per caso in palestra un giovane che tira colpi. Impressionato dalla bravura del giovane lo manderà dal suo vecchio manager.
Ottima pellicola firmata John Huston a cui forse si può giusto rimproverare qualche sequenza leggermente troppo lenta. Per il resto il film mette in scena, senza filtri di sorta, le difficoltà della vita di provincia e di chi non riesce ad abituarcisi. E così un uomo giunto a un passo dal successo finisce per accettare lavori umili per sopravvivere ma non perde mai occasione nè per attaccare briga nè per gettarsi tra le braccia dell'ennesima donna sbagliata.
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In una piccola cittadina della california un ex pugile giunto a un passo dalla consacrazione mondiale ma rovinato dal suo carattere e dalle donne sciagurate con cui si è accompagnato, incontra per caso in palestra un giovane che tira colpi. Impressionato dalla bravura del giovane lo manderà dal suo vecchio manager.
Ottima pellicola firmata John Huston a cui forse si può giusto rimproverare qualche sequenza leggermente troppo lenta. Per il resto il film mette in scena, senza filtri di sorta, le difficoltà della vita di provincia e di chi non riesce ad abituarcisi. E così un uomo giunto a un passo dal successo finisce per accettare lavori umili per sopravvivere ma non perde mai occasione nè per attaccare briga nè per gettarsi tra le braccia dell'ennesima donna sbagliata. E così anche il nuovo giovane pugile che dovrà fare i conti con lo spietato (e mai troppo limpido) mondo della boxe cercando di capire se e quando sarà il momento di mettere su famiglia. Un film amaro come il suo finale che rende però senza giri di parole la situazione di questi uomini ai margini della vita e della società e che magari vedevano nella boxe una via di riscatto sociale e personale. Ottima anche la scelta del cast.
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francirano
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lunedì 1 febbraio 2016
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un gigante minimalismo
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Se ad un primo, distratto, sguardo, Fat city puo' apparire come un film ben fatto ma nulla più, è sufficiente soffermarsi un istante sui dettagli per comprendere che in questa pellicola nulla è lasciato al caso. Non lo sono i dialoghi, che solo ad un orecchio disattento potrebbero apparire vuoti o inconcludenti; non lo è la recitazione, posata e minimalista, di un cast inarrivabile; non lo è la colonna sonora semplice e toccante; non lo è la fotografia, priva di gigantismo eppure cosi' penetrante; e non lo è la regia che quasi pare non esistere eppure guida in maniera sublime l'intera opera.
Ogni cosa, in Fat city, è calibrata in maniera realistica ed emozionante. Da un vestito con la cerniera abbassata alle parole vomitate fino al silenzio pregno di significato che ci viene incontro nel finale.
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Se ad un primo, distratto, sguardo, Fat city puo' apparire come un film ben fatto ma nulla più, è sufficiente soffermarsi un istante sui dettagli per comprendere che in questa pellicola nulla è lasciato al caso. Non lo sono i dialoghi, che solo ad un orecchio disattento potrebbero apparire vuoti o inconcludenti; non lo è la recitazione, posata e minimalista, di un cast inarrivabile; non lo è la colonna sonora semplice e toccante; non lo è la fotografia, priva di gigantismo eppure cosi' penetrante; e non lo è la regia che quasi pare non esistere eppure guida in maniera sublime l'intera opera.
Ogni cosa, in Fat city, è calibrata in maniera realistica ed emozionante. Da un vestito con la cerniera abbassata alle parole vomitate fino al silenzio pregno di significato che ci viene incontro nel finale.
Pare, a tratti, di ritrovarsi tra i degradati personaggi di Bukowski, ma descritti con una finezza psicologica che rimanda piuttosto al più ispirato dei Carver. Il tutto condito con una secca ironia che fa da contrappeso alla tragedia umana.
Per comprendere la grandezza del film sia sufficiente citare il brevissimo passaggio (tre inquadrature, non più) con il quale è presentato lo sfidante Lucero. Tre inquadrature che improvvisamente danno la dimensione di tutta la sua umanità e finiscono per impattare sullo spettatore in maniera potente.
Non c'è banalità, in questo film. Tutto è dannatamente realistico, ivi compresa la costruzione della storia, le situazioni, lo sviluppo della sceneggiatura che evita con la semplicità di bere un bicchier d'acqua, tutti i luoghi comuni e gli sterotipi.
La grandezza di questo film è tale che se ne puo' parlare in termini di gigante minimalismo. POchi film hanno mai saputo essere cosi' semplici e cosi' complessi al tempo stesso; cosi' spogli e cosi' ricchi; cosi' parlati e cosi' silenziosi.
L'unica pecca, nella versione italiana, è il doppiaggio. Consigliabile assolutamente una visione in lingua originale. Tutt'alpiù sottotitolata.
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