Titolo internazionale | Dreams of the Salt Lake |
Anno | 2015 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 72 minuti |
Regia di | Andrea Segre |
MYmonetro | 2,67 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 14 dicembre 2015
Il Kazakistan vive oggi lo stesso sviluppo dell'Italia degli anni '60, con una crescita pari al 6%, basata soprattutto sull'estrazione di petrolio e gas.
CONSIGLIATO NÌ
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Il Kazakistan oggi vive lo stesso euforico sviluppo dell'Italia degli anni '60, con una crescita pari al 6%, basata soprattutto sull'estrazione di petrolio e gas. Viaggiando tra Aktau e Astana, Andrea Segre dà voce a contadini, pastori e giovani donne le cui vite sono rivoluzionate dall'impatto delle multinazionali del petrolio sull'economia kazaka.
Partendo da un dato di fatto, il boom economico del Kazakistan, e da una riflessione sui corsi e ricorsi dell'economia di mercato, Andrea Segre costruisce un film a tesi. Un incastro di parallelismi e accostamenti, di affinità e divergenze. Tra il Kazakistan del miracolo petrolifero e l'Italia anni '60, con immagini di Gela e delle speranze riposte nell'Agip; tra un lago salato su cui non sorge l'alba (o meglio sorge sempre dall'altra parte) e una laguna veneta che per il regista significa infanzia e l'occasione per un found footage di immagini dei suoi genitori, colti nella loro spensierata gioventù. E infine tra i pastori kazaki, attraversati dalla ventata di nuova ricchezza ma impermeabili ad essa, e i contadini analfabeti di Gela, protagonisti di interviste di repertorio. Spunti audaci e stimolanti, forse troppi per 72 minuti di film, che Segre fatica a gestire dopo averli sapientemente introdotti. Assumendo da subito i ruoli di narratore, demiurgo ed esegeta della propria opera, il regista svela infatti ogni possibile interpretazione e traccia tutte le possibili associazioni, finendo per soffocare la soggettività dello spettatore.
Delle note testuali precedono e contestualizzano l'opera e la voce narrante la pervade, incrementando l'effetto didascalico e la sensazione, molto malcelata, di un'architettura studiata per un unico fine, che non lascia spazio a repliche o voli pindarici. Fatto che stupisce ancor di più se si pensa che uno dei punti di forza di Io sono Li, debutto dell'autore, consisteva nell'opporsi a interpretazioni lineari o manichee della vicenda narrata. Un racconto dalle grandi potenzialità rovinato da un ricorso eccessivo a spiegazioni non necessarie.