Anno | 2013 |
Genere | Azione |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 120 minuti |
Regia di | Ryoo Seung-wan |
Attori | Ji-hyun Jun, Werner Daehn, Ha Jung-woo, John Keogh, Numan Acar Seung-beom Ryu, Tayfun Bademsoy, Han Seok-kyu. |
MYmonetro | 2,97 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 10 ottobre 2016
Un agente segreto nordcoreano si trova a Berlino nel bel mezzo di un intrigo internazionale.
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CONSIGLIATO SÌ
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Al suo ottavo film Ryoo Seung-wan, specialista dell'action sudcoreano più violento, estremo e noir, ha trovato il terreno ideale per confezionare il suo maggiore incasso. Nel pieno di una rinnovata crisi tra Corea del Nord e Sud, scatenata da due discusse successioni politiche - l'una apertamente dinastica e interna al Partito Comunista, la seconda mascherata da elezioni democratiche, da cui è emersa vincitrice la figlia del defunto dittatore Park - Ryoo colloca a Berlino, storico crocevia di spie della Guerra Fredda, una spy-story che guarda allo stesso tempo al passato di Le Carré e al presente dello stato dell'arte dell'industria cinematografica di Seoul.
In una babele linguistica e culturale in cui abbondano gli stereotipi, si incrociano le vicende di agenti del Mossad, della CIA, della Lega Araba e naturalmente delle due Coree, tra doppiogiochismi, faide e personalismi che mescolano le carte della tensione tra i due blocchi.
Nonostante una sceneggiatura spesso claudicante, specie in una prima sezione confusa e figlia di un incipit in medias res che ragiona per accumulo di informazioni più che di emozioni, i dieci milioni di dollari del budget sono sfruttati appieno quanto a scene d'azione, guidando verso una seconda parte in cui possono svilupparsi i temi realmente a cuore a Ryoo Seung-wan. Come l'ammirazione per la coerenza di chi è fedele alla bandiera che si tramuta in derisione della stessa, sotto i colpi di un nichilismo che insegna che, a prescindere dal colore politico, l'uomo è un animale naturalmente portato al tradimento.
La lezione dell'ottimo The Unjust nell'ambito del poliziesco trasposta pari pari nel mondo delle spie. Non a caso è il personaggio interpretato dal fratello Ryoo Seung-beom, meschino agente nordocoreano disposto a tutto pur di privilegiare l'interesse suo e del padre in una lotta di potere interna agli uomini del regime di Pyongyang, quello tratteggiato in maniera più efficace, il villain attorno a cui ruota la vicenda e contro cui possono trovare riscatto etico tanto la coppia al servizio di Pyongyang che il disilluso anti-comunista Jung jin-soo (che "non gira a sinistra nemmeno agli incroci stradali"), cane sciolto fedele a Seoul.
Cast azzecatissimo, con un Ha Jung-woo ideale come in The Yellow Sea nei panni dell'eroe usato e reietto, costretto a lottare contro tutto e tutti, una Gianna Jun (My Sassy Girl) più trattenuta e meno bamboleggiante del consueto e un Han Suk-kyu che rimanda ai fasti di Shiri, capostipite della spy-story sudcoreana moderna nonché primo vero blockbuster della New Wave. I limiti di The Berlin File, che lo riconducono all'exploitation anche quando la volontà è quella di spiccare il volo verso un cinema più ambizioso, sono anche i punti di forza di un artigiano di genere come Ryoo Seung-wan, che non rinuncia neppure a un finale che apre palesemente alla filiazione di un sequel.
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Racconta non senza retorica la storia della Corea del Nord, della sua decadenza. Il film risulta ben realizzato, con belle scene d'azione. Ottima la fotografia.